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Il Giornale Rassegna Stampa
01.09.2020 In viaggio verso la pace: primo volo commerciale Israele-Emirati
Analisi e video in esclusiva di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 01 settembre 2020
Pagina: 15
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «In viaggio verso la pace: primo volo commerciale Israele-Emirati»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 01/09/2020, a pag. 15 con il titolo "In viaggio verso la pace: primo volo commerciale Israele-Emirati" l'analisi di Fiamma Nirenstein.



Emirates and Israel formalize their relationship with the first direct  flight from Tel Aviv to Abu Dhabi - Teller Report

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Fiamma Nirenstein

Alle 11,15 di ieri mattina il volo LY 971 dell'El Al ha intrapreso il suo volo verso il futuro, per la prima volta nella storia un aereo israeliano carico di diplomatici, businessman, giornalisti in missione si è avventurato sul giallo deserto saudita col permesso di sorvolarlo in pace. L'avventura della più grande sfida che l'uomo deve affrontare, la pace, ieri ha toccato un'altra tappa nell'avventura in cui Israele e il mondo arabo ne sono i protagonisti dei nostri tempi. E' la terza volta, dopo le paci con l'Egitto e la Giordania, che lo Stato Ebraico sormonta divieti più spessi di qualsiasi muraglia: ma sta accadendo, è accaduto, e sull''aereo che al ritorno, oggi, si chiamerà LY972 (all'andata col prefisso telefonico degli Emirati, al ritorno con quello di Israele) ieri hanno viaggiato travolti dall'emozione il direttore del ministero degli esteri Meir Ben Shabbat con i rappresentanti governativi della sicurezza, della salute, della tecnologia, e una cinquantina di uomini di affari e di scienza; e con loro, indispensabili angeli custodi dell'accordo preceduto dalla cancellazione dello storico boicottaggio, il consigliere e genero di Trump Jared Kushner, quello per i negoziati internazionali Avi Berkovitz, per gli affari iraniani Brian Hook e per la Sicurezza nazionale Robert O' Brian. L'aereo è dotato di un sistema Elbit antimissile, di cui per esempio sono in possesso i nostri C27J e C130J italiani. L'evidente importanza del gruppo americano, che prosegue nel suo giro mediorientale dopo avere incontrato Netanyahu a Gerusalemme (Kushner ha anche fatto una visita concentrata e intensa al Muro del Pianto) è un segnale chiaro, alla vigilia delle elezioni del 3 novembre dell'importanza che Trump attribuisce all'accordo "Abraham" come è stato chiamato, alla sua capacità di spostare l'opinione pubblica americana dall'idea che i nemici di Trump hanno suggerito da sempre, ovvero che abbia reso il mondo un luogo più pericoloso a quella che sia finalmente il presidente che porta la pace in un Medio Oriente certo non perfetto, ma migliorato. Una pace realista e non ideologica, come l'invito negli Emirati a Papa Francesco nel 2019. Quello che i giornalisti israeliani con quel tocco di entusiasmo propria di chi desidera come un bambino di essere accettato dai suoi vicini hanno raccontato dai finestrini dall'autobus che li portava all'albergo era un bel Paese arabo avanzato, alieno dal terrorismo, desideroso di progresso di modernità, di chiudere la maledetta storia di un'inimicizia che è costata troppo. Che cosa è questa pace? In poche parole è una svolta fondamentale che come ha detto Kushner "non permette al passato di disegnare il futuro", ovvero cancella i "No"dettati dalla questione palestinese e dalla politica anti normalizzazione che Abu Mazen ha prescelto come la sua strada di mantenere il potere, col rifiuto delle offerte di pace, la scelta di finanziare i terroristi, la scelta che alla fine fa capo all'Iran e alla Turchia della Fratellanza Musulmana, con i rispettivi annessi estremisti sciiti e sunniti, gli Hezbollah e Hamas. Lo sfondo ideologico su cui l'amministrazione Trump ha potuto lavorare è doppia: da una parte la garanzia Israeliana anti-Iran e tecnologicamente splendente che ha contato decine di incontri palesi e segreti di avvicinamento; dall'altra un campo arabo in cui primeggiano gli emirati figli del loro fondatore Zayed bin Sultan al Hahyan, uno stato nato nel 1971, senza molti sentimenti verso il 1948, fondazione di Israele, o la guerra del ‘67. Il figlio Mohammed bin Zayed, il grande costruttore dell'accordo, è un appassionato del dialogo interreligioso dei figli di Abramo come dell'idea grandiosa (che si vede nelle sue torri, nel progetto tecnologico, spaziale, sportivo…) di un Paese unico al mondo, legato alla tradizione araba ma modernizzatore. E molto, molto distante dall'idea della Ummah islamica, un immenso territorio per il miliardo e 800 milioni di musulmani del mondo, un solo impero, un leader, molti nemici da battere:il panarabismo e poi l'Islam sciita dell'Iran e ora quello sunnita di Erdogan ne sono i portabandiera. Ma il pericolo che essi rappresentano oltre alla rispettabilità economica e la garanzia di sicurezza che Israele fornisce a chiunque gli sia vicino (dall'Egitto alla Giordania a vari stati sunniti) è cresciuto negli anni. E in tanto si è presentata l'opportunità per "MbZ" di diventare, come ripete, il salvatore dei palestinesi dalle annessioni previste dal piano Trump. E così è avvenuto: Netanyahu ha pagato volentieri, al momento, il prezzo della rinuncia alla sovranità sul 30 per cento della zona C sperando prima di tutto nella pace oltre che con gli Emirati anche con gli altri che vorranno seguire (si parla del Bahrain, dell'Oman, si desidera l'Arabia Saudita, in tanti ci stanno pensando) e si disegna, come hanno ripetuto ieri tutti i discorsi alla partenza e all'atterraggio, che finalmente i palestinesi vogliano sfilarsi dal loro perenne rifiuto per approdare a una trattativa. Le possibilità esistono, dato che il loro veto si è spezzato, non è più valido, la maledizione si è infranta. IL mondo arabo ripete che due stati per due popoli rimane il suo obiettivo, Israele conferma che è disposto alla trattativa, ma nessuno accetta la premessa della solita serie di "No" preventivi a qualsiasi soluzione che non sia quella imposta da una leadership palestinese di volere solo la guerra. Invece adesso c'è chi vuole la pace, e questa pace abramitica, fra ebrei musulmani e cristiani potrebbe crescere di giorno in giorno: da una parte il Medio Oriente infatti disegna l'immagine di alleanze con i colori di Tel Aviv e dei grattacieli di Abu Dhabi. Dall'altra, lo scoppio di Beirut e le stragi in Siria, le riunioni di Erdogan con Hamas e le minacce di Nasrallah colorano di nero il panorama.

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