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Il Giornale Rassegna Stampa
13.05.2020 Silvia/Aisha: gli articoli che informano 2
Commenti e interviste di Marco Gervasoni, Gian Micalessin, Alberto Giannoni

Testata: Il Giornale
Data: 13 maggio 2020
Pagina: 1
Autore: Marco Gervasoni - Gian Micalessin - Alberto Giannoni
Titolo: «La tendenza sinistra all'islamofilia - Il ruolo decisivo del Qatar (e dei Fratelli musulmani) - 'Il riscatto agli jihadisti è vietato dalla legge e minaccia le aziende' - 'È tornata da noi con la divisa delle donne ridotte a schiave'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/05/2020, a pag.1, con il titolo "La tendenza sinistra all'islamofilia" il commento di Marco Gervasoni; a pag. 2, con i titoli "Il ruolo decisivo del Qatar (e dei Fratelli musulmani)", 'Il riscatto agli jihadisti è vietato dalla legge e minaccia le aziende', due pezzi di Gian Micalessin; a pag. 6, con il titolo 'È tornata da noi con la divisa delle donne ridotte a schiave', l'articolo di Alberto Giannoni.

Ecco gli articoli:

Silvia Romano è tornata a casa. Il saluto dal balcone:
Silvia/Aisha Romano

Marco Gervasoni: "La tendenza sinistra all'islamofilia"

Nell'Italia post 11 settembre capitava di finire in cene in cui militanti ed elettori, soprattutto intellettuali, degli allora Ds brindassero al «compagno Bin Laden» e inveissero contro gli Usa «che se l'erano cercata» e contro quella «pazza e isterica» di Oriana Fallaci, fresca di La rabbia e l'orgoglio. Salto temporale e spaziale. Parigi, 10 novembre dello scorso anno. Organizzat da Jean Luc Mélenchon, fino al 2008 senatore socialista, hanno sfilato militanti della sinistra, donne velate e tipi barbuti contro l' «islamofobia», ma lo slogan che ha risuonato più spesso è stato «Allah Akbar». Nel mezzo, tra il 2001 e il 2019, centinaia di attentati islamisti in tutto il mondo, non solo in Europa, e centinaia di migliaia di vittime. Eppure la sinistra ha sempre faticato, anche di fronte all'ecatombe di Madrid e del Bataclan, a pronunciare la parola «I», che mai uscì dalla bocca dei presidenti Obama e Hollande: meglio parlare di «odio» e di «follia omicida». Dobbiamo tenere presente questo filo-islamismo, neanche tanto nascosto e strisciante, della sinistra per capire le reazioni di giubilo al ritorno di Silvia Romano, o per meglio dire Aisha. Se infatti la ragazza non avesse sbandierato ai quattro venti la sua conversione, aggiungendo di essere stata trattata magnificamente da bande di terroristi islamisti, a cui il governo pare abbia regalato una cifra tra i 4 e i 40 milioni di euro, i progressisti sarebbero stati assai meno soddisfatti. Mentre invece la conversione, quasi più che la liberazione di Silvia, pare averli riempiti di gioia. Parliamo qui non dei ministri che hanno avuto il buon gusto di rinunciare alla sfilata (quello della Difesa, Guerini) ma proprio del popolo di sinistra, finalmente libero di esternare il proprio amore per l'islam, sia pure nella variante uso infanti come bombe umane. Vale allora la pena chiedersi da dove nasca il filo-islamismo della sinistra europea, quello che in Francia chiamano islamo-gauchisme, perché sarà destinato nel futuro a crescere. Individuiamo questi elementi; il mito del buon selvaggio, l'idea che l'islam sia la religione dei popoli sfruttati dall'«imperialismo», che trasforma Osama bin Laden in un nuovo Che Guevara e Al Shabaab nei nuovi vietcong. E come ai tempi del vietcong, l'antiamericanismo, un disprezzo antropologico per il popolo yankee, solo attenuato quando alla Casa Bianca siede un democratico ed esplosivo quando c'è un repubblicano. L'ostilità a Israele, che sempre c'entra, cioè l'antisionismo, difficile ormai da distinguere dall'antisemitismo. Poi un generico anticapitalismo, come se l'islam «anti imperialista» fosse più disposto dell'occidente a esperimenti socialisti - che nei paesi islamici veri e non immaginari non è però dato a vedere. E infine, la più importante variante, un nichilismo antioccidentale, cioè il disinteresse se non il disprezzo nei confronti della nostra cultura. Nozione, quella di occidente, che non nasce con la guerra fredda come crede qualcuno, ma dalla battaglia delle Termopili, che fonda l'identità occidentale da cui si svilupperà la tradizione greco-giudaico-romana e cristiana. Lo stesso disprezzo dell'Occidente, che ripudiando se stesso è diventato molliccio e decadente, spiega poi perché molti giovani, anche italiani, preferiscano ormai convertirsi spontaneamente all'islam, in cui percepiscono una religione e un modo di vita fondati su solidi valori: quelli che l'Occidente ha dismesso, nella sua delirante esaltazione dell'altro e della diversità.

Gian Micalessin: "Il ruolo decisivo del Qatar (e dei Fratelli musulmani)"

E alla fine spuntò anche il Qatar. Proprio così. A rendere politicamente ancor più imbarazzante la trattativa per la liberazione di Silvia Romano s'aggiungono ora le indiscrezioni, rilanciate dal Corriere della Sera, sul ruolo dell'Emirato nella fase finale della trattativa. La fase in cui si discussero l'entità del riscatto, le modalità della sua consegna e la liberazione dell'ostaggio. Tutti dettagli messi a punto dai nostri servizi segreti e dagli emissari di Al Shabaab discretamente ospitati nei palazzi di Doha. Nell'ambito dei rapporti con lo jihadismo e il terrorismo, l'Emirato non è mai stato un attore neutrale. Il Dipartimento del Tesoro americano da oltre un decennio segue i finanziamenti usciti dalle casse dell'Emirato e finiti in quelli di Al Qaida prima e dello Stato islamico poi. E nel 2012 le forze speciali francesi mandate a preparare l'intervento nel Mali occupato dalle cellule jihadiste scoprirono, tra lo sconcerto di un Nicolas Sarkozy vicinissimo a Doha, che l'Emirato era tra i grandi sostenitori del nemico. Ombre allungatesi anche sul panorama del mondo islamico italiano. Doha oltre a essersi comprata i grattacieli di Milano, le coste della Sardegna e aver investito in alberghi di lusso e case di moda italiane, è anche la grande finanziatrice delle moschee legate alla Fratellanza musulmana. Da Doha predica, del resto, Yusuf al-Qaradawi, il leader spirituale dei Fratelli musulmani celebre per i sermoni sulla riconquista islamica di Roma e dell'Europa. Come se non bastasse il Qatar è anche il grande alleato della Turchia nella partita libica. Una partita in cui il principale nemico sono gli Emirati Arabi conosciuti come i principali sostenitori del generale Khalifa Haftar assieme a Egitto e Arabia Saudita. Ma anche l'Italia, un tempo grande alleata del premier libico Fayez Al Serraj letteralmente traghettato a Tripoli dai nostri servizi segreti e dalla nostra Marina, non è più un partner gradito. Oggi sia Ankara (che ieri ha celebrato ufficialmente come «grande successo dei nostri 007 la liberazione di Silvia Romano»), sia Doha puntano a tagliarci fuori dallo scenario libico in modo da annullare qualsiasi dipendenza di Tripoli dall'Europa e dall'Occidente e garantirsi l'egemonia dei gruppi islamisti legati alla Fratellanza. Del resto il Qatar è stato - assieme alla Francia di Sarkozy - il deus ex-machina di quella «rivoluzione» del 2011 messa in scena non solo per eliminare Muhammar Gheddafi, ma anche per estromettere definitivamente l'Italia della sua ex colonia. Insomma per liberare l'ostaggio Silvia Romano abbiamo consegnato un altro pezzo d'interesse nazionale ai nostri nemici.

Gian Micalessin: 'Il riscatto agli jihadisti è vietato dalla legge e minaccia le aziende'

«Sulla questione riscatto sono effettivamente sorpreso... in passato c'è sempre stato un pronto diniego da parte delle autorità italiane». Umberto Saccone, ex ufficiale dei carabinieri con alle spalle 33 anni trascorsi nell'Arma e nel Sismi prima di dirigere la sicurezza dell'Eni e dedicarsi poi alla consulenza per la sicurezza aziendale, si dice perplesso per le mancate smentite del governo sul pagamento di un riscatto nel caso Silvia Romano. «Anche perché il pagamento a un organizzazione terrorista spiega in questa intervista a Il Giornale - è esplicitamente vietato dall'articolo 2 della Convenzione di New York sottoscritta e ratificata dal nostro Paese».
Quali sono le conseguenze? «La prima è la minaccia per il personale delle nostre aziende presenti in contesti critici. Presupporre che lo Stato paghi significa mettere a rischio chi lavora in aree difficili e senza sufficiente tutela. Anche perché tantissime aziende non applicano le disposizioni del testo unico 81 sulla sicurezza».
Silvia è stata mandata allo sbaraglio. Servono leggi anche sulle Ong? «La commissione consultiva del ministero del Lavoro ha già chiarito che tutte queste organizzazioni hanno, nei confronti dei collaboratori, le stesse responsabilità del datore di lavoro. Il testo unico 81 richiede attenta valutazione del rischio. La presidente di Africa Milele non solo non l'ha fatto, ma come si è appreso dalla Romano non l'ha neppure informata correttamente. C'è una responsabilità oggettiva che verrà sicuramente presa in considerazione dalla magistratura».
Il portavoce di Al Shaabab ha detto che i soldi serviranno per la jihad. Quindi per autobombe e stragi... «La convenzione di New York e quella di Algeri, entrambe sottoscritte dall'Italia, vietano il pagamento di riscatti a organizzazioni terroristiche proprio perché mettono a rischio la sicurezza di tutta la comunità internazionale».
Premier e ministro degli Esteri hanno accolto Silvia senza neppure condannare i terroristi. «Molte volte il silenzio è peggiore di tanti rumori. Negli ultimi anni c'è stata una deriva presenzialista e una tendenza a spettacolarizzare questi eventi come nel caso del rientro di Battisti. In questi casi bisogna, invece, tenere un profilo basso».
Neppure la rapita li ha condannati. «Lo psicanalista ebreo Bruno Bettelheim reduce dai lager nazisti spiegò che in questi casi internati e sequestrati vivono un'identificazione con gli aguzzini. Probabilmente è successo anche alla Romano. Per questo era meglio farla interagire solo con familiari e psicologi. La presenza di estranei in questi casi non fa del bene ai sequestrati».
La foto di Silvia appena liberata con le insegne turche sul giubbotto antiproiettile serve a ricordarci il debito di riconoscenza verso Ankara? «Non penso vogliano mettere sulla bilancia qualcosa. Quella foto, come fa sapere l'Aise, è probabilmente falsa. I nostri servizi segreti e quelli turchi hanno rapporti consolidati e lo scambio d'informazioni e favori è reciproco. Non penso sul piatto ci sia di più di una leale collaborazione».
La foto fa intendere che il ruolo italiano è stato relativo... «I nostri servizi hanno sempre seguito la vicenda sia con una presenza costante sul terreno, sia dialogando con le nazioni coinvolte nelle trattative, sia lavorando per creare l'opportunità. In questi casi non basta sapere chi ha l'ostaggio. Bisogna anche creare le dinamiche di avvicinamento indispensabili per un'intesa».
Con la Turchia abbiamo rapporti controversi sia in Libia, sia nel Mediterraneo... «Quando c'è di mezzo l'interesse nazionale anche i migliori alleati, francesi e inglesi in testa, pensano ai propri affari. Per la Turchia la Libia resta un quadrante cruciale perché lì i suoi interessi si scontrano con quelli di Emirati, Egitto, Algeria pronti a combattere una guerra in parte religiosa, in parte economica».

Alberto Giannoni: 'È tornata da noi con la divisa delle donne ridotte a schiave'

Non era un vestito tradizionale somalo, quello indossato da Silvia Romano al suo arrivo in Italia. «Non ha nulla di somalo» ha scritto Maryan Ismail, musulmana e attivista per i diritti delle donne, in una lettera indirizzata alla giovane milanese ostaggio del gruppo jihadista «Al Shabab». «Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito (che non ha nulla di somalo, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza) né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura». La Somalia «tradizionale» erano drappi sgargianti, sete preziose e colorate che esaltavano le donne. Non i veli plumbei che oggi le mortificano. Ora quella Somalia non esiste più, se non nel cuore di chi l'ha vissuta. «Non siamo noi le straniere» dice Layla Yusuf imprenditrice italo-somala, da molti anni nel nostro Paese. «Sono cambiati gli altri, noi siamo rimaste uguali. Portiamo i capelli scoperti se vogliamo, scegliamo liberamente i vestiti. Facciamo qui quello che si faceva allora. Era una vita bella e felice, ora è drammatica». Mogadiscio ora è ostaggio degli islamisti. Allora c'erano due chiese cattoliche, una sinagoga, un tempio induista e uno buddista. Ciascuno pregava il suo Dio. Poi è arrivata l'onda nera, la cappa jihadista che ha soffocato un popolo. Chi ha visitato Mogadiscio negli anni Sessanta e Settanta conserva un ricordo opposto, il ricordo dei colori, delle botteghe di stoffe con rotoli variopinti provenienti perfino dall'India. La Somalia tradizionale era quella in cui eserciti di sarti erano chiamati a soddisfare le richieste di matrone, figlie e amiche. Una società matriarcale. «A casa mia comandava mia madre - racconta Layla - mio padre lavorava fuori e gestiva tutto lei. Sono sempre state matriarche. Guidavano casa e famiglia. La nostra Africa non c'entra niente con gli arabi, nella nostra tradizione ci sono i vestiti colorati delle donne, come il guntino, elegante fatto e a mano, che si usava normalmente o anche nelle cerimonie, di seta». Così è stato fino alla fine degli anni Ottanta. Poi la guerra civile: «Quella che abbiamo vissuto noi, e poi questa onda nera da cui non siamo usciti. Prima c'era la libertà, alcune donne si coprivano sì, ma con vesti colorate. Quello che aveva addosso Silvia è arrivato dopo, la mia generazione non l'ha visto. Siad Barre, l'ultimo dittatore, teneva testa agli islamisti. Quando sono usciti di scena i regimi socialisti, i Fratelli musulmani hanno trovato terreno fertile, e le prime vittime sono state le donne». «Nel 1990 - ricorda l'imprenditrice - sono venuta in Italia per sei mesi. Al mio ritorno in Somalia molte cose erano cambiate. Mio padre mi disse che non potevo guidare come prima: Se vedono una donna sola la fermano, e la picchiano se ha i capelli scoperti. Iniziava il caos. Un mese dopo è iniziata la guerra. Tutto è cambiato totalmente. Sono comparsi gli wahabiti, noi li chiamavano Salamaleikum perché non usavano saluti somali. All'inizio lo facevamo ironicamente, erano una minoranza, poi piano piano in un Paese sbandato la minoranza siamo diventati noi. Ti dovevi coprire da capo a piedi, come le saudite, perché alla fine è questo che interessa loro. Non è fede ragionata, solo lavaggio del cervello. E questa moda di coprirsi ha dilagato alla fine anche nella diaspora, e quelle che di noi hanno continuato a vestirsi normalmente, hanno cominciato a essere stigmatizzate, denigrate come troppo occidentali. Un gruppo di ragazze tornate a visitare il Paese d'origine ha creato scompiglio, solo perché erano vestite con jeans, maglietta e con un foulard». «Fra i nostri figli però c'è un cambiamento: oggi quelle come me e Maryan sono ammirate». Resta l'incomprensione della politica italiana. E Layla fa politica. «Da una parte, a destra, vedo confusione e vorrei vedere una destra liberale - ammette - ma dall'altra parte mi viene la rabbia, semplificano la questione delle donne musulmane, non capiscono l'islamismo, lo negano, non vogliono vederlo, non vedono le donne oppresse».

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