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Il Giornale Rassegna Stampa
05.01.2020 Iran/Usa: ecco gli scenari dopo la fine di Suleimani
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 05 gennaio 2020
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La prossima mossa»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 05/01/2020, a pag. 5 con il titolo "La prossima mossa" l'analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: Donald Trump, Ali Khamenei

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Fiamma Nirenstein

Che cosa può succedere adesso? Naturalmente nessuno lo sa, ma leggere la politica di Donald Trump, se non si indossano occhiali ideologici e non si comincia a sproloquiare sulla sua erraticità, la sua incompetenza, la sua imprevedibilità.. il suo comportamento strategico appare chiaro. La sua scelta di campo è trasparente, ed è sincero quando dice che non vuole la guerra, come lo è Pompeo quando ripete che l'esecuzione di Qassem Suleimani non punta a questo. Si capisce anche che, tuttavia, se gli iraniani dovessero reagire furiosamente, ci si può aspettare un'escalation. Il piano non è certo una Terza Guerra Mondiale, Theodore Roosevelt prima di farsi coinvolgere nella Seconda ci mise un bel po’... In democrazia la guerra non è mai popolare, specie a fronte delle elezioni. Semmai il problema è che l'Iran non è una democrazia ed è guidato da una visione messianica che si conclude nello scontro finale di Gog e Magog per il trionfo del Mahdi, il messia sciita; pure la leadership è calcolatrice e abile, e adesso sa che Trump non è un chiacchierone. Dal maggio del 2019 l'Iran ha inaugurato una nuova escalation antiamericana in mare minando le navi nel Golfo, in cielo tirando giù un drone, poi in settembre prendendo di mira le "facilities" militari, poi uccidendo un contractor; e poi portando i suoi adepti iracheni a assediare l'ambasciata, gesto sbagliato, dati i precedenti dell'ambasciata a Teheran ai tempo di Carter, e di quella di Bengasi ai tempi di Obama. Trump non sopporta che l'Iran bruci la sua bandiera mentre cerca l'egemonia sul Medio Oriente , e ha reagito uccidendo il generale al comando di quella battaglia. Ha avuto ragione? Si, anche legalmente: l'ha detto il famoso avvocato Alan Dershowitz, democratico, Trump ha più ragione di Obama quando ha fatto giustiziare Bin Laden. Infatti Suleimani era un combattente in divisa, Bin Laden uno sconfitto in fuga. Trump persegue dal 2018, quando ha cancellato il trattato sul nucleare, una politica anti regime iraniano: la sua decisione di chiudere il trattato dei P5 più 1 di Obama era molto ben argomentato. L'Iran non dava segno di voler aderire agli accordi, e si comportava in maniera aggressiva sul piano balistico e di conquista imperiale del territorio. Infatti non ha mai smesso di fabbricare missili in grado di trasportare testate nucleare e, come ha poi dimostrato il Mossad, di costruire la bomba atomica. L'Iran dopo il 2018 non ha frenato di fronte alle sanzioni, ne ha cercato un nuovo rapporto con gli USA. Al contrario, sotto il comando militare di Suleimani si è lanciato in una serie di politiche molto sostenute da Khamenei per battere i poteri sunniti e a assediare Israele: è riuscito a consolidare Assad, a dare potere agli Hezbollah in Libano e a utilizzarli in Siria, a indebolire l'Arabia saudita tramite l'attacco degli Houthi dallo Yemen. Ha cercato di terrorizzare Israele, e qui si è imbattuto in una novità strategica: un presidente americano che ammira Israele fino a riconoscere la capitale a Gerusalemme e a compiere il gesto di riconoscere la sovranità sul Golan. La politica di Suleimani è stata quella di minacciare Israele con incursioni e aggressioni dai confini e con l'aiuto a Hamas, e anche questo è stato visto come una rottura pericolosa. La politica iraniana apre le porte a Russia e Cina, e anche questo tema è saliente nella strategia mondiale degli USA. Suleimani era il nodo di una scelta strategica per cui ancora gli USA mantengono 90mila uomini in Medio Oriente, alcune basi aeree e navali, e uno stretto rapporto con Israele e i Paesi Sunniti. Trump vuole aiutare la parte amichevole. Ieri nelle case iraniane e anche in quelle irachene, mentre le tv mostravano i singhiozzi e le minacce di vendetta di Rouhani e di Zarif, si ballava di gioia per aver visto sparire dalla circolazione il persecutore numero uno, quello che nel 2009 aveva ordinato alle sue Guardie della Rivoluzione di sparare sulla folla e che anche adesso manteneva una funzione repressiva in Iraq. Trump seguiterà a sostenere i Paesi sunniti mantenendo però la indispensabile guerra all'Isis e contrastando il più pericoloso potere sciita. Se ci saranno attacchi di mare, risponderà sull'acqua, se verranno dal cielo distruggerà droni e aerei, se le milizie dei "proxy" Hezbollah o Houthi o siriani e iracheni faranno gesti ostili l'Iran, diventeranno obiettivi di guerra. Una strage di americani o anche di israeliani non è consigliabile agli iraniani o agli Hezbollah le loro forze sono comunque molto minori di quelle nemiche. Peraltro è difficile immaginare un'invasione di terra in un Paese come l'Iran gigantesco e popolato. Ma è facile immaginare che Trump si figuri che un terremoto internazionale faciliti un cambio di regime, che la folla delusa e sofferente per la politica imperialista e dispendiosa del Governo a fronte della miseria del Paese tenti di voltare pagina. Questa probabilmente è la strategia americana. Ma l'Europa, dov'è? Si renderà finalmente conto che nel Medio Oriente la guerra rischia di travolgerla, e non per colpa di Trump, ma del terrorismo e delle ideologie islamiste? Smetterà di borbottare scongiuri cabalistici, con Trump inteso come, si capisce, il Grande Satana, e Israele quello piccolo?

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