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Il Giornale Rassegna Stampa
13.11.2019 Da Gaza raffica di missili sulle città d'Israele
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 13 novembre 2019
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Raid israeliano a Gaza: ucciso leader della Jihad, poi razzi contro Tel Aviv»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/11/2019, a pag.12, il commento di Fiamma Nirenstein, con il titolo "Raid israeliano a Gaza: ucciso leader della Jihad, poi razzi contro Tel Aviv".

A destra: Hamas come lo Stato islamico

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Fiamma Nirenstein

Gerusalemme L'ultima volta che Israele compì a Gaza l'eliminazione mirata di uno dei capi terroristi, Ahmad Jabari, nel novembre del 2012, questo causò la guerra con Hamas detta Pillar of Defense. Adesso, col fiato sospeso, si aspettano e si discutono le possibili conseguenze dell'attacco al cuore della Jihad Islamica a Gaza, quando l'esercito ha eliminato, ieri alle cinque di mattina, il potente capo militare del settore Nord, Bahaa Abu Al Ata con un'esplosione che ha risuonato in tutta Gaza. Dunque, da ieri alle cinque Israele aspetta sotto le bombe e spera: lo stato d'allarme è stato proclamato, si sono aperti i rifugi, le scuole di metà del Paese sono rimaste chiuse, le ferrovie bloccate, le strade quasi deserte. I responsabili della popolazione civile hanno seguitato a chiedere ai cittadini di non esporsi, a scendere nei bunker senza esitare a ogni sirena: insomma, a restare al riparo delle case. Mentre la voce pacata («se siete lontani da casa sdraiatevi per terra con le mani in testa») fluiva dalla radio, la interrompeva ripetutamente la sirena, a Sderot, a Ashkelon, a Ashod, a Beersheba fino a Tel Aviv, e le parole: «zeva adom», colore rosso. La mappa degli obiettivi cui con i suoi missili ha mirato negli ultimi mesi la Jihad Islamica, che Hamas fosse d'accordo oppure no, è larga, ambiziosa, e così è la vendetta. Più di 180 missili sono stati sparati ieri su Israele. Il sistema di difesa «cupola d'acciaio» ha fatto il suo lavoro, intercettandone gran parte. Ma nell'annuncio israeliano la parola Hamas non si è sentita, si è parlato solo di Jihad Islamica, segno che si spera che le cose non degenerino necessariamente in una guerra guerreggiata.

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Dipende da questo: se Hamas deciderà di affiancare l'organizzazione che con maggiore frequenza attacca Israele o altri piani, nonostante coltivi lo stesso odio. L'Egitto è già all'opera per mediare una tregua. Ma l'Iran è il maggiore finanziatore della Jihad Islamica, con cui era in costante contatto Abu Al Ata, il forte, intraprendente, barbuto leader dell'organizzazione che è stato colpito a casa sua, con sua moglie, in una delle sue rare visite era il grande nesso con gli aiuti iraniani. Più tardi mentre venivano lanciati missili da Gaza, di nuovo l'esercito ha colpito cinque miliziani palestinesi in azione. E le Brigate al-Quds, braccio armato della Jihad Islamica, minacciano una «risposta senza limiti». L'Iran è probabilmente doppiamente colpito dalla giornata di ieri: gli ha tolto un interlocutore prezioso e gliene ha probabilmente colpito un altro, anch'esso importante. A Damasco infatti è stato bombardato un edificio accanto all'ambasciata libanese di un importante capo della Jihad Akram al Ajuri. Il ministero degli Esteri iraniano infatti ha emesso un comunicato in cui insieme condanna gli attacchi a Gaza e a Damasco. Netanyahu, spiegando l'attacco a Gaza, ha parlato della certezza che Abu al Ata stesse per compiere attentati che sono così stati fermati: missili, bombe, rapimenti, dopo aver bombardato per mesi tutto il sud d'Israele e aver distrutto una casa a Sderot il primo novembre. «L'uomo era una bomba innescata sulla strada verso altri attentati» ha spiegato Netanyahu e con lui i capi dell'esercito e dei servizi segreti dell'Interno, lo Shin Beth. Adesso si spera che le cose non debbano svilupparsi in una guerra: Netanyahu ha sempre pensato che con Hamas la politica di contenimento sia oggi la sola applicabile. Ma lo stillicidio della popolazione civile è proibito, e lo è anche l'alleanza aggressiva con l'Iran: qui Israele ha colpito. Cerca così, contrariamente a quel che può sembrare, una situazione di calma, in cui Gaza non sia trascinata in uno scontro globale islamista come vuole l'Iran.

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