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Il Giornale Rassegna Stampa
28.10.2019 La fine del Califfo/1
Analisi di Fiamma Nirenstein, Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 28 ottobre 2019
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein - Gian Micalessin
Titolo: «Non commuove. Ultime vittime i suoi tre figli - La rottura Usa-Turchia e il baratto di Al Baghdadi»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 28/10/2019, a pag. 9 con il titolo "Non commuove. Ultime vittime i suoi tre figli", il commento di Fiamma Nirenstein; a pag. 10, con il titolo "La rottura Usa-Turchia e il baratto di Al Baghdadi", il commento di Gian Micalessin.

A destra: Abu Bakr al Baghdadi

Ecco gli articoli:

Fiamma Nirenstein: "Non commuove. Ultime vittime i suoi tre figli"

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Fiamma Nirenstein

Come vive, come muore, che cosa ha nella mente al momento del rendiconto un terrorista che si crede il re del mondo? «Come un cane» ha detto il presidente americano. Una definizione pesante, popolare, mirata a ristabilire il dovuto confine fra esseri umani (che possono persino uccidere) e terroristi assetati di sangue. Trump ha descritto Al Baghdadi come uno che non solo non è un leader, ma che non è nemmeno un uomo, ma un pazzo pericoloso e anche codardo, ululante di paura di fronte ai cani addestrati che lo inseguono e agli uomini delle unità K9. Nella scena che Trump ci ha rappresentato vediamo uomini che rischiano la vita per difendere tutti i cittadini del mondo dalla bestia umana che vuole ucciderli crudelmente senza discriminazione terrore. È «il film americano». Come un John Wayne del nostro tempo, Trump ha disegnato una linea di confine rispetto al terrorismo, si è mostrato pieno di orgoglio per aver tolto di mezzo il capo «della più feroce organizzazione terrorista del mondo», l'ha descrito inseguito dai cani, terrorizzato, urlante, codardo, piangente, quello che era il gran comandante avvolto nel manto nero che ordinava a Jihadi John di tagliare la testa degli infedeli preparati col camice arancione, in ginocchio davanti al boia che imponeva la sottomissione all'Islam. Ha descritto di cosa è fatto un terrorista del genere, gli ha tolto ogni ragione sociale, coloniale, ogni rivendicazione: lo ha ridotto a un miserabile pazzo pericoloso che trascina alla morte con sé tre dei suoi figli dopo aver tentato una fuga idiota in una grotta senza sbocco. Una strage di innocenti come quella dei sei figli di Goering nel bunker di Hitler. Un'incoronazione della propria viltà è stato il suicidio, secondo quello che dice Trump; ma per un jihadista questo è un gesto classico, dovuto. Al Baghdadi aveva saputo stabilire un potere territoriale con più di 8 milioni di persone, aveva uno Stato Islamico, aveva distrutto beni cristiani e musulmani. Contava sulla potenza del suo messaggio che suggeriva che con le decapitazioni, le esplosioni, l'uso della violenza più impensabile: la Sharia. Lo Stato islamico alla fine avrebbero dominato tutto il mondo e non solo l'Irak e la Siria. Si era costruito tutte le credenziali necessarie, era discendente del nipote di Maometto, membro della sua tribù, ed era anche stato prigioniero degli americani per 5 anni come ufficiale di Al Qaeda. Il suo famoso discorso di Mosul nel 2014, tutto nero nella Moschea di al Nouri che poi i suoi hanno fatto saltare in aria, fu un ringhio d'odio verso ciascuno di noi «miscredenti». Le sue lacrime di sconfitta non fanno pena. Fanno pena i suoi tre figli, le sue ultime vittime.

Gian Micalessin: "La rottura Usa-Turchia e il baratto di Al Baghdadi"

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Gian Micalessin

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Vladimir Putin, Recep T. Erdogan, Donald Trump

Da una parte il destino degli alleati curdi già traditi da altri, illustri predecessori. Dall'altra la testa di un Califfo che in tempo di presidenziali può valere la rielezione. La scelta di Donald Trump di fronte a un'occasione irripetibile e impossibile da rifiutare era praticamente scontata. Ma i luoghi e le circostanze temporali dell'eliminazione di Abu Bakr Al Baghdadi, offerte ieri dalla ricostruzione della Casa Bianca e da altre fonti, consentono di inquadrare meglio anche le circostanze che hanno portato al via libera di Washington all'offensiva turca contro i curdi, all'instaurazione della cosiddetta forza di sicurezza sul confine e al momentaneo ritiro delle forze speciali americane dalla Siria. Un ritiro peraltro revocato con la scusa della difesa dei pozzi di petrolio non appena si è capito che il Califfo in fuga non aveva più vie d'uscita. Ma dietro la caccia finale ad Al Baghadi, innescata un mese fa dalle segnalazioni di fonte irachena sui movimenti dei suoi familiari verso Idlib, si cela un complesso e cinico gioco di specchi e maschere. Un giochino in cui Recep Tayyp Erdogan concede, in cambio del via libera all'operazione anti curda, quelle informazioni sull'ultimo rifugio del terrorista che i suoi servizi segreti avevano sempre tenuto ben nascoste. Ma quella concessione non è né semplice, né scontata. Si consuma dietro le quinte dell'apparente rottura tra Washington e Ankara di due settimane fa. Così mentre Erdogan rivela di aver buttato nel cestino una lettera di Trump e la Casa Bianca minaccia le sanzioni più pesanti della storia ai danni dell'alleato, la Cia tesse la tela capace di mettere con le spalle al muro il presidente turco. Una tela in cui, grazie anche a molte informazioni di fonte curda, sono enumerate tutte le connivenze dell'«alleato» con lo Stato islamico. Da quando nel 2015 ne acquistava il petrolio razziato in Siria a quando, negli ultimi mesi, si teneva ben strette le informazioni dei propri servizi segreti sui movimenti del Califfo e dei suoi ultimi fedelissimi. Un gioco sottile arrivato a compimento nella partita di scacchi consumatasi lo scorso 17 ottobre nel palazzo presidenziale di Ankara. Una partita in cui Erdogan fa i conti con le prove sbattutegli in faccia dal vice presidente Mike Pence e da quel Mike Pompeo, che prima di occupare la Segreteria di Stato aveva guidato la Cia. La posta di quella partita è il baratto segreto con cui Trump potrà rivendicare la vittoria finale sull'Isis. Ma una consegna più o meno ufficiale del Califfo agli Usa renderebbe evidente le passate complicità. Molto meglio spingerlo verso Idlib, verso quella discarica del jihadismo dove il Califfo si ritroverà stretto tra i nemici di Al Qaida, i Russi, l'esercito siriano, gli agenti turchi presenti in zona e i segugi della Cia. Un recinto senza vie d'uscite dove in cambio di un ostaggio prezioso come Al Baghdadi, parcheggiato a soli quattro chilometri dal proprio confine, è possibile esigere un congruo supplemento di prezzo. Soprattutto se la sua cattura richiede l'utilizzo di una base in territorio turco come Incirlik e un'operazione aerea con elicotteri e jet. Un'operazione durata ore e condotta a cavallo della frontiera turco nell'indifferenza assoluta di radar e antiaeree di Ankara.

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