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Il Giornale Rassegna Stampa
19.09.2019 Israele al voto, ecco i risultati e gli scenari possibili
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 19 settembre 2019
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Fine di un'era?»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 19/09/2019, a pag. 10 con il titolo "Fine di un'era?".

A destra: i leader dei principali partiti, Benny Gantz, Benjamin Netanyahu

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Fiamma Nirenstein

Unità, governo di unità nazionale: in cima ai pensieri molto confusi di queste ore in Israele, campeggia la consapevolezza, ripetuta da tutti i discorsi post elettorali, che Israele è traumatizzato, spaccato, e che non essendo la Svizzera o la Svezia, deve curare rapidamente le sue ferite. Ma non si sa come fare ancora, e le convulsione di queste ore mostrano un Paese che comincia a pensare l'impensabile, a immaginare soluzioni machiavelliche, un pò come il governo che Shimon Peres formò con Yzchak Shamir nel 1984. La conta ancora non è completamente conclusa, ma in realtà i giochi sembrano fatti. «Blu e Bianco» ha un seggio in più del Likud: 32 a 31. Sono tanti, dentro e fuori di Israele, quelli che disegnano la situazione come la fine, il tramonto, la morte politica di Bibi e la vittoria assoluta di Benny Gantz.

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La Knesset, il Parlamento israeliano

In realtà il fatto che ambedue le parti siano lontane dal raggiungere col blocco che li sostiene il numero magico di 61 parlamentari che consente la formazione di un governo mette Netanyahu e Gantz in una situazione molto più complicata di quella disegnata dal tramonto di un'era e dal sorgere di un nuovo sole. Il blocco di centro sinistra può infatti contare su 55 seggi, e Netanyahu su 56. Bibi ha perso il posto, ma Gantz non l'ha guadagnato. Potrebbe averlo se riuscisse a tirare dalla sua parte Avigdor Lieberman, che ha 9 seggi, e ottenesse almeno l'appoggio esterno del partito arabo, 13 seggi, oltre ai due partiti socialisti, 6 e 5 seggi. Ma gli arabi non amano l'ex capo di Stato maggiore. E Lieberman il grande capriccioso, l'odiatore professionale di Netanyahu e anche però dei religiosi, ha già detto che il discorso vittorioso di Gantz, che auspicava ricomposizione e unità, non gli è piaciuto affatto, il governo deve essere liberale, ovvero laico (che vuol dire arruolamento obbligatorio per tutti, matrimoni e funerali civili, tagli delle spese dell'educazione religiosa) o preferirà restare fuori da tutto. Dunque, per ora Lieberman, che sembra esaltato dal suo ruolo di oppositore principe del più longevo Primo Ministro della storia di Israele, preferisce gonfiare il suo ruolo. Ma vedremo. Il presidente Reuve Rivlin ha un compito molto difficile: dare il mandato che eviti le terze elezioni in un anno, spingere a un governo di coalizione, unica soluzione, aggirando il macigno sulla sua strada, il rifiuto della persona di Bibi. Il primo ministro però è deluso, ma per ora non ha intenzione di farsi da parte. Dopo avere rivendicato il ruolo del Likud e invocato «un governo sionista» si è affrettato ieri a fare due cose: la prima è stata riunire il gruppo di partiti della sua parte, Shas, che ha 9 seggi, Unione della Torah, 9, Yemina, 7 in una specie di giuramento di Pontida: insieme vinceremo o moriremo. Ma chissà: l'impegno è per la consultazione col presidente, solo più tardi verrà il governo. Shas per esempio, il partito religioso sefardita, guidato dall'astuto Arieh Deri, molto attento alle sue scuole, sinagoghe, case, e non aggressivo con l'arruolamento, potrebbe passare all'altra parte. La seconda cosa che Bibi ha fatto, è stato cancellare la sua presenza e quindi il suo discorso all'Onu alla prossima assemblea generale. Così, proprio in queste ore in cui Trump su una linea che certamente ha avuto molti elementi di informazione e ispirazione da Bibi, inasprisce le sanzioni contro l'Iran, l'incontro a New York fra Netanayhu e il presidente americano viene cancellato. Israel Katz, ministro degli esteri andrà al suo posto. Un danno per Israele? Certo che sì, ma Netanayhu aspetta di capire cosa succede prima di prendere ulteriori decisioni. Così come segnala con la riunione immediata della sua parte la decisione di avere un blocco di ferro. Anche la breve conferenza stampa tenuta al pomeriggio ha segnalato la volontà di resistere. Dopo 13 anni di governo, non ha preso la maggioranza che voleva e che a chiesto con ordini, preghiere, promesse, minacce, con colpi di scena come quello di promettere l'annessione della valle del Giordano, o mostrando le foto della struttura in cui l'Iran seguitava fino ad ora a tenere l'uranio arricchito, o con scontri all'arma bianca con la stampa accusata di cercare di defenestrarlo a tutti i costi. Ora che sta per compiere settant'anni, il suo curriculum è insieme sazio ma rassicurante, dai tempi dei combattimenti a fianco dei suoi due fratelli nella Sayeret Matkal, via via su per la scala politica dopo aver cambiato il modo stesso di porsi di Israele sin da quando era ambasciatore all'Onu. Da allora ha l'ha disegnato finalmente come un Paese senza complessi nella sua propria difesa, fino a fronteggiare Obama, l'uomo più potente e popolare del mondo, fino alla sua audace politica economica, la tecnologia, la capacità di stabilire rapporti internazionali inusitati dall'India all'Africa al Medio Oriente sunnita. Fino agli incredibili successi con gli Stati Uniti. Metà di Israele non ne può più della sua scelta ribalda e forte, ci vede un elemento personale oggi ombreggiato dalle accuse legali che, per minori che possano essere, certo del tutto incomparabili con i furti di Olmert, andranno prima o poi davanti al giudice se l'immunità parlamentare non lo proteggerà. Tredici anni sono un patrimonio ma anche un termine di saturazione per un premier, si comincia a dire di lui che è un dittatore. Ma l'altra metà vede che Jibril Rajoub, un leader palestinese grande sostenitore della violenza, che una volta disse che avrebbe volentieri sganciato una bomba in testa a Israele, dichiara la sua grande soddisfazione col resto dei suoi conterranei. E certo, i più contenti del mondo oggi sono gli Ayatollah.

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