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Il Giornale Rassegna Stampa
17.09.2019 Nicola Chiaromonte, intellettuale da riscoprire per capire l'Italia
Recensione di Corrado Ocone

Testata: Il Giornale
Data: 17 settembre 2019
Pagina: 24
Autore: Corrado Ocone
Titolo: «Vita di Chiaromonte, eretico controvoglia e scrittore raffinato»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/09/2019, a pag.24, con ll titolo "Vita di Chiaromonte, eretico controvoglia e scrittore raffinato" il commento di Corrado Ocone.

Il libro  di Filippo La Porta merita attenzione, anche se il titolo non ha nessuna affinità con le idee di Chiaromonte, perchè 'controvoglia'?  Il libro di riferimento su Nicola Chiaromonte - intellettuale  liberale di prima grandezza nel Novecento italiano, ma colpevolmente dimenticato - è quello scritto da Cesare Panizza, di cui IC ha scritto in numerose occasioni: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=70004

Ecco l'articolo:

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La copertina (Bompiani ed.)

Non è una biografia quella che Filippo La Porta dedica a Nicola Chiaromonte (1905-1972) e che esce per i tipi di Bompiani con il titolo di Eretico controvoglia il sottotitolo Una vita tra giustizia e libertà (pagg. 143, euro 11). È piuttosto, potremmo dire, un atto d'amore. La Porta afferma subito che Chiaromonte è il suo «eroe culturale», l'autore alla cui sensibilità si sente più vicino. E anche se oggi il suo nome dice poco ai più, egli è stato uno degli intellettuali italiani più conosciuti (e influenti) nel mondo (e lo è ancora). Ciò anche grazie alle amicizie intellettuali che strinse nelle sue peregrinazioni fra Roma, Parigi e New York (da Albert Camus a Hannah Arendt, da Raymond Aron a George Orwell, da Mary McCarthy a Dwight Macdonald, solo per fare qualche nome). Il suo pensiero, allergico ad ogni dogma, è profondamente attuale. Ed è proprio questa contemporaneità, che tocca vari aspetti, che La Porta mette a tema in un dialogo serrato col suo autore che si dipana lungo i dieci capitoli del libro. Prima di tutto, va sottolineato che Chiaromonte fu un intellettuale «impegnato», attivo in molte battaglie culturali e politiche del suo tempo, ma lo fu in un modo del tutto diverso da quello usuale. Egli rifuggiva, infatti, dal perseguimento dei grandi ideali, che secondo lui o coprivano ipocritamente interessi concreti («il tempo della malafede» battezzò il nostro) oppure erano semplicemente utopistici.

Immagine correlata
La copertina del libro di Cesare Panizza (Donzelli ed.)

Forte l'influsso di Simone Weil, il cui pensiero egli più di tutti contribuì a far conoscere. Egli credeva che la morale non dovesse essere disgiunta dall'azione politica, ma la sua visione non fu mai moralistica. Anche la solidarietà e la giustizia, lungi dal porsi come ideali astratti e sovraindividuali, dovrebbero manifestarsi a suo dire nel concreto della vita quotidiana di ognuno: «bisognerebbe manifestare con i fatti la propria solidarietà a qualcuno» e non con appelli più o meno indignati. La Porta mette bene in luce un elemento centrale: Chiaromonte è stato uno dei pochi intellettuali italiani che, oltre ad essere antifascista, fu anticomunista in senso radicale, ma la sua posizione non può essere genericamente appiattita in un'area terzoforzista. Egli capì subito che quell'area, a cominciare dai giornali che l'avrebbero rappresentata (da L'Espresso a Repubblica) avrebbe presto tradito se stessa, ovvero quei contenuti «radicali e inconciliati» che fanno dell'uomo laico un uomo libero nel giudizio e sempre allergico agli intruppamenti. È in questa dimensione che egli fu veramente un «eretico», e manifestò la sua eresia in più occasioni, ad esempio quando capì subito il nuovo conformismo e lo spirito gregario che si agitava nel Sessantotto. E qui La Porta istituisce un paragone con un altro «irregolare» della cultura italiana, quel Pier Paolo Pasolini che però, al contrario di Chiaromonte, è stato fatto proprio e neutralizzato dalla sinistra italiana ufficiale. Chiaromonte era in sostanza un socialista umanitario alla Ignazio Silone, con il quale non a caso fondò e diresse quella che è forse stata la più bella rivista italiana del secondo dopoguerra: Tempo Presente (organo di quel Congresso per la libertà della cultura che era stato concepito in funzione anticomunista dall'establishment americano). Il suo socialismo era libertario ed etico: «ci si libera uno alla volta», amava dire. Se a Parigi entrò subito in contrasto con Carlo Rosselli per questa sua vena anarchica, a New York egli entrò a far parte di quel gruppo di «politics» (e in parte della Partisan review) che ancora oggi si mostra ai nostri occhi come un pensiero liberal raffinato ed elitario ma non ancora «corrotto» dal «politicamente corretto» che sarebbe sorto dalle sue ceneri a partire dalle esperienze della New Left degli anni Sessanta.

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