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Il Giornale Rassegna Stampa
03.09.2019 E' ora di finirla con la retorica nostalgica di El Alamein: per fortuna gli italiani hanno perso
Commento di Giannino della Frattina in linea con la retorica militarista e fascista

Testata: Il Giornale
Data: 03 settembre 2019
Pagina: 1
Autore: Giannino della Frattina
Titolo: «Veglia dei parà della Folgore all'ultimo leone di El Alamein»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 03/09/2019, a pag. 1-16, l'articolo di Giannino della Frattina dal titolo "Veglia dei parà della Folgore all'ultimo leone di El Alamein".

E' ora di finirla con la retorica su El Alamein e la Folgore. Il Giornale oggi pubblica un articolo con richiamo e foto in prima pagina che elogia acriticamente gli "eroi" di El Alamein come vengono definiti i militari italiani. Quello che non viene riportato è che gli italiani a El Alamein combatterono insieme ai nazisti: per fortuna del mondo libero la battaglia è stata vinta dagli inglesi guidati dal generale Montgomery, se avessero vinto i nazifascisti avrebbero occupato l'Egitto e sarebbero penetrati in tutto il Medio Oriente, allargando la Shoah alla Palestina mandataria, abitata dagli ebrei. Gli arabi alleati del Terzo Reich non aspettavano altro. E' giusto il rispetto per chi è stato mandato a combattere una guerra che non ha scelto, ma se non viene fatta chiarezza su quello per cui combattevano gli italiani si sceglie una retorica nostalgica che è da rifiutare in blocco. Purtroppo la stessa retorica riempie i testi scolastici.

Ecco l'articolo:

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Un momento della battaglia di El Alamein

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Il Gran Muftì di Gerusalemme incontra Adolf Hitler

Mancò la fortuna, ma non il valore. E di El Alamein Santo Pelliccia era (e rimarrà per sempre) uno degli eroi. Uno di quelli, come sentenziò la Volpe del deserto Erwin Rommel, che se il soldato tedesco aveva stupito il mondo, da soldato italiano aveva stupito il soldato tedesco. Dopo la veglia dei parà del 185° Reggimento Paracadutisti, saranno celebrati oggi a mezzogiorno all'ospedale militare del Celio i suoi funerali, l'addio all'ultimo leone della Folgore, uno di quei trecento superstiti delle sabbie d'Egitto che perfino dai perfidi inglesi ricevettero l'onore delle armi. E così se n'è andato un altro hombre vertical, uno che in ogni occasione pubblica indossava orgogliosamente quella meravigliosa divisa dalla foggia coloniale che non aveva mai tradito, nemmeno in tempi in cui così poca riconoscenza si è portata a chi ha fatto grande il nostro Paese sui campi di battaglia. Solo un malanno l'ha preso a tradimento, trascinandolo in quel cielo azzurro e infinito che tante volte aveva sfidato solo con il suo coraggio e un paracadute. «Un altro pezzetto della nostra Storia vola via - lo ha salutato il comandante della Brigata Paracadutisti Folgore Rodolfo Sganga - Il leone Santo Pelliccia ha incarnato l'essere Paracadutista, l'essenza del Soldato. È diventato per tutti noi quasi un simbolo, un Gigante, fonte di motivazione per i più giovani e ispirazione per i Comandanti a tutti i livelli. Lo conoscevamo tutti. Onnipresente alla Festa di Specialità nella Sua splendida uniforme, che vestiva con orgoglio antico. Paracadutista tra Paracadutisti. Ci mancherai Leone. Anche se sappiamo che hai già occupato il posto che Ti spetta in quell'angolo di Cielo riservato ai Martiri, ai Santi, agli Eroi e ai Paracadutisti. Folgore!». Parole che in questi giorni hanno attraversato il web con migliaia di condivisioni e commenti per rendere il dovuto onore a lui che, nato a Casalnuovo di Napoli, nel '40 si era arruolato volontario a solo 17 anni. Nel Regio Esercito dove, superate le selezioni per la Regia Scuola di Paracadutismo di Tarquinia, ottenne insieme a un altro leone come il livornese Giuseppe Baroletti, il brevetto. Toccatogli in sorte il fronte d'Africa, Pelliccia tra il 23 ottobre e il 5 novembre del 1942 combattè da eroe nel Sahara Occidentale la Seconda Battaglia di El Alamein, nella 185° Divisione Folgore inquadrata nel X Corpo d'Armata Italiano (tre i Corpi d'Armata Italiani più l'Afrika Korp). Sotto i piedi la sabbia, davanti le divisioni corazzate britanniche, la punta di diamante di uno degli eserciti più forti del mondo da affrontare con mezzi e risorse di gran lunga inferiori. Ma con un coraggio e un eroismo che vergheranno le pagine di una storia destinata a durare in eterno. La resa solo dopo aver versato fiumi di sangue e distrutto le armi per evitare che cadessero nella mani di un nemico talmente colpito da quella disperata resistenza dei soldati italiani che concesse ai nostri paracadutisti l'onore delle armi. Dopo la guerra e una lunga prigionia, per Santo Pelliccia c'è una nuova divisa e ancora l'orgoglio di servire l'Italia con le mostrine della polizia di Stato. Fino al congedo nel 1983. Poi una vita ad andare dappertutto a raccontare dei suoi commilitoni dispersi nella sabbia del Sahara e di quelle bottiglie esplosive che attaccavano con la pece tra i cingoli dei carri inglesi, dopo essere stati nascosti in una buca. «A noi la morte non ci fa paura, ci si fidanza e ci si fa l'amor», cantava solo qualche mese fa nella sua divisa. Bellissima. E candida.

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