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Il Giornale Rassegna Stampa
03.07.2019 Caso Sea Watch, vince l'illegalità, quando il reato non è più tale
Commenti di Gian Micalessin, Luca Fazzo

Testata: Il Giornale
Data: 03 luglio 2019
Pagina: 2
Autore: Gian Micalessin - Luca Fazzo
Titolo: «Scelta ideologica, schiaffo al paese - Accoglienza, il business che piace alla malavita»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 03/07/2019, a pag.2 con il titolo "Scelta ideologica, schiaffo al paese", il commento di Gian Micalessin; a pag. 4, con il titolo "Accoglienza, il business che piace alla malavita", il commento di Luca Fazzo.

A destra: la Sea Watch sperona la nave della marina italiana

Il Gip di Agrigento ha liberato la capitana della Sea Watch Carola Rackete, decretando una vittoria per l'illegalità e premiando chi spinge per l'immigrazione incontrollata. Assolta anche dall'aver speronato la nave della marina italiana, a rischio di ucciderne i membri dell'equipaggio militare.  Contemporaneamente emergono nuove prove sul business dell'accoglienza che coinvolge Ong italiane finanziate dal governo italiano, come riporta Luca Fazzo.

Ecco gli articoli:

Gian Micalessin: "Scelta ideologica, schiaffo al paese"

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Gian Micalessin

Speronare una motovedetta della Guardia di Finanza e mettere a repentaglio le vite dei suoi uomini d'equipaggio non è reato. A spiegarlo, con una decisione che grida vendetta al cielo e al comune senso della giustizia, è il Gip di Agrigento Alessandra Vella a cui spetta il poco invidiabile merito di aver rimesso in libertà la capitana Carola Rackete. Il problema è evidente. A questo punto non stiamo più parlando di giustizia, ma di ideologia. E per capirlo basta leggere le capziose motivazioni con cui il Gip cerca di avvalorare la propria decisione. Escludere il reato di resistenza e violenza a nave da guerra sostenendo che entrambi siano stati giustificati da una «discriminante» legata «all'adempimento di un dovere» identificato nel «salvare vite umane in mare» è un autentica mostruosità giuridica. In primo luogo perché una corte - assai più rilevante nel merito - come quella per i «diritti umani» di Strasburgo aveva già escluso l'assenza di qualsiasi pericolo immediato per i migranti. In secondo luogo perché l'articolo 54 del vigente codice penale prevede sì la non punibilità per chi agisce nella necessità di «salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave» - ma sempre e solo a condizione «che il fatto sia proporzionato al pericolo». Invece di proporzionato e sensato nella condotta di Carole Rackete non c'è assolutamente nulla. La «capitana» ha deciso di tenere sulla tolda per quasi tre settimane il suo carico di umani non in base ad un dovere, ma semplicemente in virtù della scelta politica di farli sbarcare solo ed esclusivamente in Italia. Del resto come sancito dai giudici di Strasburgo, e comprovato dalle visite mediche successive allo sbarco, nessuno di quei migranti era in pericolo di vita. Ma la bestemmia giuridica contenuta nella decisione del Gip è comprovata dalle parole dello stesso Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. Subito dopo il fermo di Carla Rackete il capo della Procura aveva escluso l'esistenza di qualsiasi «ragione di necessità» capace di giustificare lo speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza. «Le ragioni umanitarie aveva detto Patronaggio - non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti». Ma evidentemente il Gip Alessandra Vella ha un'altra visione del diritto e della legge. Per lei, come per la tedesca Carola Rackete, pur di portare dei migrati irregolari in Italia è lecito non solo infrangere il codice penale, ma anche mettere a rischio le vite degli uomini in divisa chiamati a far rispettare la legge e a difendere le nostre istituzioni.

 

Luca Fazzo: "Accoglienza, il business che piace alla malavita"

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Luca Fazzo

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Carola Rackete

Ci sono i personaggi delle fiction come Sara Monaschi di Suburra, la signora della Roma bene che capisce in fretta qual è l'affare del secolo. E poi ci sono gli sciacalli in carne e ossa, i boss malavitosi come Massimo Carminati, «er Cecato» dell'inchiesta «Mondo di mezzo», anche loro con le idee chiare sulla fonte di guadagno a basso rischio. E come lui - in piccolo, a volte meschinamente, ma con altrettanta determinazione - centinaia di furbacchioni, di faccendieri, di spregiudicati, di politici. Sul tavolo, c'è una torta da cinque miliardi di euro: il grande affare della accoglienza. Intorno a loro, centinaia di migliaia di comparse senza volto: sono i profughi, i disperati che piombano sulle nostre coste e che spesso della gigantesca truffa allo Stato sono le prime vittime. Perché l'accoglienza è spesso una finta accoglienza: che però costa soldi veri. Lo racconta bene l'inchiesta che ha portato ieri alla retata della Procura di Milano: i mediatori, gli psicologi, gli educatori che dovevano servire a integrare i profughi esistevano solo sulla carta; la vita quotidiana nei centri non era un percorso verso la normalità ma solo parcheggio e degrado. Ad altri profughi ospitati da altre onlus in questi anni è andata peggio. Ci sono quelli che venivano spediti a lavorare nei campi a quattro euro all'ora, dai caporali collusi con gli pseudovolontari. O quelli costretti a vivere come bestie, in condizioni igieniche inimmaginabili, nutriti con cibo che valeva un decimo dei soldi stanziati dallo Stato. Per essere precisi, ad essere effettivamente alla portata dei criminali non sono tutti i cinque miliardi stanziati annualmente dallo Stato: circa un miliardo e mezzo se ne va tra soccorsi in mare e sanità, e qui (in teoria) le mani dei disonesti non arrivano. Ma restano 3,4 miliardi, spesi interamente per l'accoglienza. Più che sufficienti a supportare il teorema di Carminati: «I migranti rendono più della droga». Si tratta di esseri umani, ma l'approccio criminale è grossomodo il medesimo usato verso un altro affare emergente, il traffico di rifiuti: pochi controlli, molti soldi, pochi rischi. Così si spiega la passione che per l'affare migranti sviluppano vecchi narcotrafficanti come Santo Pasquale Morabito e Pietro Mollica, divenuti soci di una delle onlus sgominate ieri a Milano. O quella dei boss di Isola Capo Rizzuto, che per mettere le mani sulla cassa erano riusciti a tirare dalla loro parte persino il parroco della zona. O la decisione con cui Calogerino Gambrone, il vecchio capomandamento di Cammarata, aveva deciso di impadronirsi della coop San Francesco: le onlus che si occupano di migranti hanno sovente nomi pii ed umanitari, ma i boss non si formalizzano. L'importante è che ci siano i soldi, i 35 euro (poi ridotti a 20) stanziati dallo Stato. Da Foggia a Brescia, da Gorizia a Crotone: sono innumerevoli (e equamente sparse sul territorio nazionale) le realtà in cui è stato assodato che l'accoglienza era diventata truffa. Non sempre c'è di mezzo la mafia o la 'ndrangheta. Per creare una falsa onlus basta poco, un consulente amico, un commercialista di bocca buona. Il sistema di controlli quasi non esiste, anche se ancora quattro anni fa Raffaele Cantone, garante anticorruzione, aveva chiesto che si aprissero gli occhi, dopo lo scandalo che aveva investito la onlus «Ala di riserva», con i fondi pubblici finiti addirittura in Montenegro. Ma da allora nulla è cambiato. A scegliere le onlus sono le prefetture, che di strumenti di controllo reali ne hanno pochi, di fronte ai numeri in continua crescita; per non parlare dei casi in cui è il viceprefetto di turno a chiudere deliberatamente un occhio e poi (è accaduto anche questo) finisce anche lui sotto processo insieme ai truffatori. A venire inquisiti per avere imbrogliato lo Stato capita che siano anche personaggi in vista: come Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che per favorire le onlus a lui vicine bypassò allegramente tutte le regole su affidamenti e appalti. Ma almeno Lucano lo fece (secondo lui) a fin di bene, e senza mettersi in tasca quattrini. Gli altri, le decine e decine di faccendieri dal volto accogliente scoperti in questi anni dalla Guardia di finanza qua e là per l'Italia avevano invece in mente solo quelli: i soldi, i piccioli. Per questo si inventavano migranti inesistenti, o spariti da tempo verso altre nazioni europee, o tornati in patria, o finiti in galera. E c'è stato persino chi ha fatto la cresta sulle sepolture, buttandone i corpi in un camposanto senza neanche la bara di legno, per risparmiare. Tanto sono solo migranti.

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