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Il Giornale Rassegna Stampa
04.02.2019 Venezuela: la democrazia con Juan Guaidó, il governo italiano con il dittatore Maduro
Paolo Manzo intervista Juan Guaidó, commenti di Roberto Fabbri

Testata: Il Giornale
Data: 04 febbraio 2019
Pagina: 1
Autore: Paolo Manzo - Roberto Fabbri
Titolo: «'Italia, stai con noi' - Un'astensione che ci isola fra gli alleati - Trump minaccia ancora ma Maduro non molla: 'È rischio guerra civile'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 04/02/2019, a pag.1-2, con il titolo 'Italia, stai con noi', l'intervista di Paolo Manzo a Juan Guaidó; con il titolo "Un'astensione che ci isola fra gli alleati", il commento di Roberto Fabbri; con il titolo "Trump minaccia ancora ma Maduro non molla: 'È rischio guerra civile' ", il commento di Paolo Manzo.

A destra: Juan Guaidó  

Ecco gli articoli:

Paolo Manzo: 'Italia, stai con noi'

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Paolo Manzo

San Paolo Per Moisés Naím, ex direttore della Banca Centrale del Venezuela e oggi famoso editorialista internazionale, inserito dal britannico Prospect nel 2013 tra gli intellettuali più importanti del pianeta, non ci sono dubbi. «Juan Guaidó rappresenta per il Venezuela la speranza». Già perché questo ingegnere 36enne, con nel curriculum anche due prestigiosi master negli Stati Uniti, alla George Washington University e un padre costretto a fuggire in Spagna dove fa il tassista è riuscito finora in quello che la notoriamente frammentata opposizione venezuelana non era mai riuscita. E cioè a prendere di petto il regime, in nome della Costituzione e a giurare come presidente ad interim del Venezuela. Guaidó per Moisés Naím «è il prodotto di questa nuova generazione di leader, è giovane, è un volto nuovo, trasmette credibilità». Una sorta di Obama dell'America Latina. Un compito davvero difficile per quale Guaidó sta dando tutto se stesso tanto da aver persino perduto la voce nelle ultime ore e da rispondere, per questo, alle domande del Giornale per iscritto. Dirigente del partito Voluntad Popular, deputato eletto nello stato venezuelano di Vargas la sua fama ha subito un'accelerazione nelle ultime settimane, quando da presidente - il più giovane nella storia del paese - dell'Assemblea Nazionale ovvero il Parlamento ha giurato lo scorso 23 gennaio da presidente ad interim del paese. Da lì in poi è stato un crescendo di notizie e fatti che hanno fatto dividere il mondo intero: o si sta con Guaidó o si sta con Maduro. Intanto i venezuelani, ormai quasi tutta la popolazione, anche gli esuli scappati all'estero, lo amano. Sembra non avere paura di nulla Guaidó: «Se mi succede qualcosa possono tagliare un fiore ma non fermare la primavera. Abbiamo vinto la paura. Parlano di un presunto colpo di stato, ma io sono ancora qui ad esercitare le funzioni perché siamo inquadrati nella Costituzione, abbiamo il sostegno internazionale e un popolo coraggioso determinato a cambiare». «Qui non c'è paura di una guerra civile, perché il 90% del paese vuole un cambiamento. Nessuno in Venezuela è disposto a sacrificarsi per un dittatore che non offre alcun tipo di soluzione alla gente. Nei prossimi giorni - ha annunciato - nomineremo il consiglio di amministrazione di Citgo e chiediamo anche la protezione dei beni in Europa, in modo che non vengano rubati». E confida ancora tantissimo nell'aiuto del vecchio continente: «Nelle prossime ore raduneremo molti altri sostenitori dall'Europa. L'aiuto umanitario è una necessità. Nei prossimi giorni chiederemo il sostegno di tutte le persone che ci accompagneranno per cercare aiuti umanitari, affinché possano effettivamente entrare in Venezuela. Non sarà semplice». No, non sarà semplice, è lui stesso a dirlo ma questo non tarpa le ali al sogno venezuelano. «Speriamo che più non saremo mai schiavi di nessuno, che saremo un paese libero, che i nostri fratelli torneranno, che vivremo con il nostro stipendio». Tutte cose che oggi il Venezuela ha perduto.

Signor Presidente ad interim Juan Guaidó, cosa si aspetta che succederà nei prossimi giorni in Venezuela? «Un risultato. In realtà, può essere questione di ore. Spero che il senso comune privi le forze che sostengono ciò che resta del regime di Nicolás Maduro, che sono diversi dagli alti comandi militari. Che si arrendano ai fatti, all'evidenza. Maduro non si può, né può essere tenuto al potere. Non c'è altro cammino oltre a quello della Costituzione. Realizzarlo e farlo realizzare in conformità alla rotta che abbiamo proposto: fine dell'usurpazione, governo di transizione, elezioni libere».

Quali saranno i programmi dei prossimi giorni e settimane per recuperare la democrazia e le istituzioni del Venezuela? «Questa settimana abbiamo annunciato il Piano Paese. Una proposta che è stata coordinata dall'Assemblea nazionale (il Parlamento, ndr) con un gran numero di esperti venezuelani in diverse aree, al fine di riavviare la ripresa del Venezuela, a cominciare dal suo ritorno alla routine istituzionale».

Che messaggio dà agli italiani dopo che l'Italia non ha riconosciuto il Presidente costituzionale, con una decisione che ha fatto infuriare la comunità italiana in Venezuela? «Nel raduno di massa a Caracas di ieri (sabato 2 febbraio, ndr) si sono espressi i rappresentanti delle varie colonie europee che vivono in Venezuela. Tra questi, ovviamente, quella italiana. Nella loro stima ci sono oltre due milioni di discendenti di italiani tra noi venezuelani. Come è accaduto lì dovunque sono arrivati, in Venezuela gli italiani hanno avuto un notevole impatto positivo sulla nostra cultura e in diversi settori della società e dell'impresa. Ci sono molti italo-venezuelani con un passaporto dell'Italia o con i diritti per averlo. Il governo italiano deve tenerlo presente e avere una responsabilità nei loro confronti, ma anche con la causa della libertà e della democrazia che noi difendiamo. A causa della sua storia contemporanea, gli italiani possono sentirsi molto identificati con ciò che accade in Venezuela oggi».

Quali sono le priorità in modo che la comunità internazionale possa portare aiuti umanitari alle persone sofferenti del suo Paese? «Abbiamo annunciato l'inizio del processo di aiuti umanitari che partirà da tre punti diversi verso il confine venezuelano: attraverso la Colombia, il Brasile e un'isola caraibica. Questo è imminente. Abbiamo bisogno di tutto il sostegno della comunità internazionale per portare avanti questo compito complesso. Le priorità sono cibo e medicine. Ci sono molti venezuelani, in particolare bambini e anziani, che muoiono ogni giorno a causa della malnutrizione e della mancanza di cure adeguate per malattie curabilissime».

I paesi e i partiti politici che sono con Maduro o che non la hanno ancora riconosciuto sostengono che sarà un bagno di sangue e parlano di guerra civile. Può rispondere una volta per tutte perché invece non sarà così? «Negli ultimi 15 anni, oltre 250mila venezuelani sono morti a causa della violenza. Abbiamo il più alto tasso di omicidi per 100.000 abitanti in America. In Venezuela, un bagno di sangue è già avvenuto. Negli ultimi giorni le forze di repressione che ancora rispondono a Maduro hanno commesso numerose violazioni dei diritti umani, incluse esecuzioni al di fuori di qualsiasi legge internazionale. Se i governi del Messico, Uruguay e quelli europei vogliono contribuire onestamente a fermarlo devono unirsi al pressing politico e diplomatico per convincerlo a iniziare la transizione del Venezuela verso la democrazia.

 

 

Roberto Fabbri: "Un'astensione che ci isola fra gli alleati"

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Roberto Fabbri

Contraddittori, confusi, impreparati a tutto. Non c'è davvero più nulla di sconsolante che possiamo dire sinceramente di non poterci aspettare dai ministri del governo gialloverde. Eppure, contro ogni attesa razionale, la banda di Giuseppe Conte riesce sempre a superarsi. Ricevere pubblicamente i ringraziamenti del grossolano e brutale dittatore filocubano del Venezuela Nicolás Maduro per il sostegno ricevuto dagli «amici italiani» significa davvero aver toccato il fondo. Maduro ci ringrazia perché, ricorrendo a motivazioni approssimative in perfetto stile grillino, l'Italia del trio Salvini-Di Maio-Conte sta riuscendo nell'impresa di paralizzare l'azione europea attraverso un'astensione che è la sintesi perfetta delle sue qualità negative. Incapace di trovare una sintesi tra i deliri guevaristi alla Di Battista e le posizioni anti-chaviste di Salvini, il nostro governo decide di mettere la testa sotto la sabbia. E mentre tutto il mondo si schiera da una parte o dall'altra su un tema che è al centro dell'attenzione delle cancellerie, noi preferiamo affermare l'equivalenza tra Maduro, un usurpatore liberticida ormai odiato dalla larga maggioranza della sua gente, e Juan Guaidó, il presidente ad interim che ha dalla sua il sostegno popolare. Con questo capolavoro al contrario riusciamo a mettere in fila una serie di errori che avrebbe dell'incredibile se non sapessimo chi li commette. Il primo è la pretesa di ignorare che un'astensione non ci mette al riparo (come i complimenti ricevuti da Maduro confermano) dall'accusa di avere di fatto scelto il campo sbagliato; il secondo è il danno che causiamo a ciò che rimane della nostra credibilità internazionale, perché chi non sceglie ha sempre torto e i nostri alleati (ammesso che questo governo non intenda sostituirli con l'internazionale dell'autoritarismo militarista che assembla la Russia di Putin e la Cina di Xi con l'Iran degli ayatollah e la Turchia del paranoico sultano Erdogan) se lo ricorderanno; il terzo è il male che facciamo alla nostra economia, perché pare difficile che l'Italia che ha strizzato l'occhietto a Maduro possa aspirare a un ruolo nella prossima riedificazione di un Venezuela che avrà bisogno di tutto ma resta un Paese potenzialmente ricchissimo; il quarto riguarda la nostra collettività nazionale a Caracas, che brama la liberazione da una dittatura rossa e ottiene invece squallidi equilibrismi senza prospettive. Ci sarebbe, infine, anche un problema di dignità politica, ma a quella abbiamo rinunciato da un pezzo.

Paolo Manzo: "Trump minaccia ancora ma Maduro non molla: 'È rischio guerra civile' "

San Paolo Mentre Trump ribadisce che l'invio di truppe in Venezuela rimane «un'opzione» possibile, i Faes, i gruppi speciali delle forze armate bolivariane, sono entrati anche ieri di notte nei quartieri più popolari di Caracas per uccidere. Certo, rispetto al 23 gennaio scorso, quando il presidente ad interim Juan Guaidó ha giurato seguendo alla lettera l'articolo 233 della Costituzione del Venezuela, il ritmo delle mattanze è calato. Non perché fosse domenica ma perché - come dimostrato tre giorni fa quando uomini dello stesso Faes circondarono la casa di Guaidó senza però arrestare nessuno della sua famiglia - anche al corpo più sanguinario della dittatura comincia a tremare la mano. Ieri Maduro, intervistato dalla tv spagnola La Sexta, ha evocato «il rischio di guerra civile», dicendo che tutto dipenderà «dal grado di follia degli imperialisti del Nord» ed assicurando di «essere pronto a difendere il mio Paese» e di avere «gente nelle fabbriche, nelle università e in altri luoghi che non vedono l'ora di combattere». «Veramente? Mi fa paura quello che lei mi dice» lo interrompe il giornalista mentre, di rimando, il delfino di Chávez gli risponde «a me no». Ecco, il problema sta proprio lì: nel volere fare credere al mondo che Maduro abbia ancora il popolo dalla sua parte. Oltre che la legge, altrimenti l'intervistatore non avrebbe dovuto chiamarlo presidente. Un favore alla dittatura andato in onda proprio a poche ore dalla scadenza dell'ultimatum di 8 giorni che 6 paesi europei tra cui la Spagna (Germania, Francia, Olanda, Portogallo e Regno Unito gli altri) avevano dato al caudillo di Chávez per indire nuove presidenziali: «Ora le organizzi Guaidó». Un riconoscimento non dovuto al dittatore che per la Costituzione venezuelana usurpa il potere dal 10 gennaio e che se mai le avesse indette, le presidenziali, le avrebbe comunque frodate, come quelle del 20 maggio scorso. A scanso di equivoci, comunque, Maduro ieri ha ribadito di infischiarsene degli ultimatum, annunciando invece elezioni anticipate per il Parlamento, ultima istituzione democratica rimasta a Caracas e da cui lo stesso Guaidó emana il suo ruolo di presidente ad interim. Sulla fine dell'appoggio popolare a Maduro, poi, non ci sarebbero dubbi, se solo si aprissero gli occhi facendosi un giro nelle marce dei suoi supporter, quasi tutti militari o persone costrette dalla minaccia di ritorsioni: sempre più deserte, nonostante gli sforzi per «rimpolparle», ricorrendo a foto d'archivio o a inquadrature sempre più strette. «L'altro ieri, in tutto il Venezuela, sono scese in strada circa 10 milioni di persone ad appoggiare Guaidó», spiega dati alla mano Nicmer Evans, un politico di sinistra che come tanti ha appoggiato il chavismo degli inizi. Lui, come l'opposizione venezuelana e il 90% della gente che vuole liberarsi di Maduro, chiede «l'entrata urgente degli aiuti umanitari e libere elezioni con la partecipazione di tutti». Compresi tanti altri ex chavisti che di Maduro ne hanno le tasche piene. Su tutti l'ex ministro del dell'Energia di Chávez tra 2002 e 2014 nonché presidente di PDVSA, Rafael Ramírez che ha fatto l'annuncio l'altro ieri, nonostante le tante accuse contro di lui per il saccheggio della statale petrolifera. E mentre ieri la polizia bolivariana si è abbracciata in tante piazze con la gente, rifiutando di sparargli addosso per fermargli il passo è successo a Barquisimeto, nella regione di Lara e in quella di Tachira - il vero problema di Guaidó è che continua ad essere definito da tanti media come «il presidente autoproclamato». No, è il presidente costituzionale, dal 10 gennaio l'autoproclamato è l'altro.

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