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Il Giornale Rassegna Stampa
31.01.2019 Venezuela: oltre 500 manifestazioni contro la dittatura comunista, Maduro in difficoltà
Commento di Paolo Manzo

Testata: Il Giornale
Data: 31 gennaio 2019
Pagina: 11
Autore: Paolo Manzo
Titolo: «Maduro, dittatore solo. Esercito e chavisti pronti a cambiare capo»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 31/01/2019, a pag.11, con il titolo "Maduro, dittatore solo. Esercito e chavisti pronti a cambiare capo" l'analisi di Paolo Manzo.

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Juan Guaidò

San Paolo «Bolton e l'amministrazione Trump sono del Ku Klux Klan ma ad aprile annuncio sin d'ora che avremo 2 milioni di soldati pronti a respingerli se solo osano metteranno piede sul suolo della nostra patria». Così a reti unificate ieri Nicolás Maduro, il dittatore oramai senza legge dalla sua (per la Costituzione venezuelana usurpa l'incarico) ma, soprattutto, senza popolo. Da un anno non riesce a portare in strada più di 50mila persone nonostante paghi loro il trasporto e un po' di cibo, ma sempre meno. Secondo la logica «sono sempre più i chavisti, ne ho molti amici in posti anche di responsabilità che ne hanno le tasche piene, è oramai questione di giorni» ci spiega una fonte che per ovvi motivi chiede di rimanere anonima - tutto lascia intendere che ad aprile Maduro sarà già fuori gioco. Estromesso da quegli stessi generali che sempre ieri e sempre in diretta su tutti i canali tv, gli hanno promesso «fedeltà eterna» correndo con lui per 50 metri in una dimostrazione più fantozziana che di forza.

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Un manifestazione contro la dittatura di Maduro in Venezuela

La realtà è che nonostante gli squadroni della morte del Faes e del Sebin continuino ad uccidere lontano dalle telecamere chi vive nelle zone più povere di Caracas - per la cronaca ieri espulsi due giornalisti cileni - ormai Maduro fa più ridere che paura. Ed allora succede che nonostante le minacce, in Venezuela continuano a protestare a milioni. Anche ieri. Solo che stavolta le concentrazioni non sono state 54 come lo scorso 23 gennaio, quando Guaidó ha giurato da presidente, ma molte di più. Ben 5000 proteste per chiedere due cose, annunciate da Guaidó una settimana fa, ovvero l'apertura agli aiuti umanitari internazionali e una legge di amnistia generale che copra tutti i membri del regime e delle forze armate. Una partecipazione senza precedenti ma, soprattutto, piena di chavisti che, come oramai il 90% della popolazione, vuole che Maduro se ne vada subito. La paura, semmai, adesso la cominciano ad avere quelli che, sino a ieri, hanno approfittato del regime per fare carriere e milioni di dollari altrimenti per loro impossibili. A cominciare da Maikel Moreno, il presidente della Corte Suprema illegittima (quella legale nominata dal Parlamento è in esilio), che avendo ricevuto dall'alto un foglio con su scritto l'annuncio per fare arrestare Guaidó, si è ben guardato dal leggerlo. Era in diretta su Venezolana de Televisión, la tv di stato controllata «por ahora» da Maduro, che attendeva con ansia quel momento ma, improvvisamente, qualcuno dal canale ha interrotto la diretta tv, visto che Moreno stava dicendo tutt'altro.

Come scritto due anni fa da Il Giornale, Moreno ha sì ucciso una signora e un ragazzo quando lavorava per l'intelligence della polizia venezuelana negli anni Novanta ergo è un duplice omicida amnistiato dal chavismo che lo ha assurto addirittura alla guida della «giustizia» di Maduro per servigi altrettanto sporchi. Ma non è stupido e già nel 2017 aveva chiesto la cittadinanza italiana grazie alla moglie ex miss, Deborah Michelucci, perché avere un «piano B» può essere utile. «Nessuno sa come se ne andrà Maduro spiega l'ex ambasciatore Usa a Caracas Otto Reich - se pacificamente come accadde in Cecoslovacchia quando il regime comunista si fece da parte con un bilancio di appena tre morti oppure se ce ne saranno migliaia come in Romania, con l'esercito e la Securitate (la polizia politica di Ceausescu, ndr) contrapposti in quella che fu invece una breve guerra». Di certo c'è che senza più i 12 miliardi di dollari di Trump, a Maduro restano solo gli introiti del narcotraffico per pagare i suoi sgherri. E l'oro estratto illegalmente nelle terre degli indios Pemón e nel cosiddetto Arco Minerario. L'altroieri ne sono partite 20 tonnellate, valore di mercato di circa 800 milioni di dollari, alla volta della Russia di Putin. È il prezzo pagato dal dittatore in cambio dei mercenari inviati a Caracas nei giorni scorsi da Mosca.

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