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Il Giornale Rassegna Stampa
30.01.2019 Venezuela: il dittatore Maduro reprime l'opposizione
Commento di Paolo Manzo

Testata: Il Giornale
Data: 30 gennaio 2019
Pagina: 17
Autore: Paolo Manzo
Titolo: «Maduro accerchia Guaidò. Non può lasciare il Paese»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 30/01/2019, a pag.17, con il titolo "Maduro accerchia Guaidò. Non può lasciare il Paese" l'analisi di Paolo Manzo.

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Juan Guaidò

È bastato che Trump minacciasse di mettere fine all'ipocrisia di pagare miliardi di dollari cash al regime di Nicolás Maduro che, immediatamente, il Sebin (l'intelligence chavista) ieri ha cominciato a rallestrare decine di giovani nello stato petrolifero di Zulia, sequestrandoli dagli autobus per portarli in strutture militari. Obiettivo? Usarli come scudi umani in caso di attacco straniero. O che minacciasse di morte la giudice per l'infanzia Guedez Ochoa colpevole di «tradimento alla rivoluzione» solo perché si era mossa per liberare 11 minori arrestati, picchiati selvaggiamente e torturati per avere manifestato a favore del presidente costituzionale Juan Guaidó, il 25 gennaio scorso. Ma, soprattutto, ieri il regime ha sollecitato tramite il procuratore generale Tarek William Saab - da due anni sanzionato dall'Ue per crimini contro l'unanimità - che la Corte Suprema presieduta dal pluriomicida Maikel Moreno imponga quanto prima una serie di misure cautelari proprio contro Guaidó. Dal blocco di tutti i suoi conti bancari al divieto alla compravendita di qualsiasi bene mobile e immobile, sino al divieto di lasciare il Venezuela e, naturalmente, l'inizio di un'indagine, il presidente ad interim, la cui unica colpa è quella di avere rispettato alla lettera la Costituzione del Venezuela.

Che Maduro abbia ordinato quanto sopra era nell'ordine delle cose visto che da lunedì gli sono venuti meno 28 milioni di dollari in cambio di una media di 500mila barili al giorno, perché questo pagava sino all'altroieri il governo statunitense al Venezuela. Un flusso di cassa che, solo nel 2018, aveva reso alla dittatura qualcosa come 12 miliardi di euro. Denari indispensabili per pagare giudici corrotti come Saab, i collettivi paramilitari e i 900 generali delle forze armate che solo con una repressione sempre più brutale gli consentono di rimanere «por ahora» a Miraflores: 12 miliardi cash nel 2018 non era poco per un «impero Yankee» che a detta del delfino di Chávez «finanzia da tempo un golpe dell'estrema destra assassina contro la gloriosa rivoluzione bolivariana». Evidente che gli Usa si siano stufati di pagare cash per sentirsi pure apostrofare con i peggiori epiteti non solo da Maduro ma anche dai tanti media che ripetono come pappagalli la litania delle sanzioni come causa del disastro venezuelano. Chiarissimi del resto i due messaggi di John Bolton. Nel primo, rivolto ai soldati venezuelani, ha chiesto di «accettare un passaggio di poteri pacifico, democratico e costituzionale, approfittando dell'amnistia generale proposta da Guaidó». Nel secondo il consigliere per la sicurezza di Trump ha fatto un «appello a tutte le nazioni responsabili del mondo» affinché «accettino il presidente Guaido immediatamente, perché Maduro ha chiarito che non lo riconoscerà né indirà nuove elezioni». È ora «il momento di ergersi a difesa del progresso e della prosperità in Venezuela» ha concluso Bolton, mentre le annotazioni rubate sul suo block-notes sull'invio di 5mila in Colombia sono state seccamente smentite da Bogotà e potrebbero essere state solo un bluff. Bolton avverte anche Saab via Twitter: «Chi tocca Guaidó pagherà». E se l'appello alle nazioni responsabili del mondo sembra rivolto anche all'Italia, sinora assai divisa sul riconoscimento a Guaidó, resta da segnalare il movimento diplomatico dell'alta rappresentante Ue per politica estera e di sicurezza Federica Mogherini. Secondo quanto rivelato ieri dal presidente dell'Uruguay, Tabaré Vázquez, a Vtv, la tv di stato controllata da Maduro, Mogherini gli ha garantito al telefono che l'Europa non riconoscerà Guaidó e perciò vuole organizzare (con l'aiuto dei 5 Stelle visto che ieri Manlio Di Stefano twittava la stessa cosa) il quinto negoziato di pace sul Venezuela. In Uruguay o in Messico.

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