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Il Giornale Rassegna Stampa
23.10.2018 Caso Khashoggi: ecco la strategia aggressiva del sultano Erdogan
Commento di Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 23 ottobre 2018
Pagina: 12
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «E il Sultano gioca la carta verità per riemergere»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/10/2018, a pag.12 con il titolo "E il Sultano gioca la carta verità per riemergere" il commento di Gian Micalessin.

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Gian Micalessin


Mohammed Bin Salman con Donald Trump

 

Se non fosse una tragedia l'assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi sarebbe una farsa. Anche perché chi danza sul suo cadavere minacciando di rivelare oltre ai più truculenti dettagli della sua eliminazione anche le dirette responsabilità del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, è quel presidente turco Recep Tayyp Erdogan conosciuto, fin qui, come un titolato persecutore di giornalisti e dissidenti. Certo Khashoggi era un suo buon amico, ma lo sono stati, a suo tempo, anche quel Colonnello Gheddafi e quel Bashar Assad puntualmente pugnalati alle spalle. Fosse solo per l'amicizia Erdogan potrebbe, dunque, facilmente tacere. Qui invece parliamo di rivalità storiche e opportunità politiche. La Storia insegna che l'Arabia Saudita s'è conquistata il titolo di Custode dei luoghi santi dell'Islam strappando la Mecca e Medina al controllo degli Ottomani. Per capire i giochi politici basta, invece, guardare quant'è successo in Libia, Egitto e Siria dopo le Primavere Arabe ispirate dalla Turchia d'intesa con Qatar e Fratelli Musulmani. Mentre Erdogan è il miglior amico dei Fratelli Musulmani, da cui arrivava anche Khashoggi, il regno saudita è il loro peggiore nemico. In Egitto Mbs appoggia quel generale Abdel Fattah al Sisi che ha deposto il presidente Mohamed Morsi e fatto carne di porco della Fratellanza. In Libia è l'armiere e lo sponsor di quel generale Khalifa Haftar considerato il peggior nemico degli islamisti vicini ai Fratelli Musulmani.

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Ecco chi fa la predica a MBS

Come se non bastasse Mbs e le gerarchie religiose wahabite non hanno mai tollerato il sogno neo-ottomano di un Erdogan deciso a restaurare la potenza turca e proporsi come nuovo Sultano del Medioriente. Un sogno ridimensionato ultimamente dal colpo di mano con cui Mbs e i suoi alleati di Dubai e Abu Dhabi hanno rimesso al loro posto, isolandolo e minacciando d'invaderlo, il ricco alleato qatariota colpevole di non aver (come anche la Turchia) mai rotto con gli sciiti iraniani. Tutti fattori che rendevano la Turchia di Erdogan sacrificabile, agli occhi di Washington, rispetto al regno di un Mbs presentatosi non solo come il campione del mondo sunnita pronto a contrapporsi all'Iran, ma anche come il riformatore deciso a riallacciare il filo dei negoziati tra Israele e palestinesi. Un'illusione che il Sultano ha sciolto come neve al sole esibendo, pur senza intestarsele, le verità nascoste del caso Kashoggi. Ora però Erdogan è pronto per il secondo atto. Quello in cui entrerà in scena di persona per seppellire definitivamente il nemico Mbs, sfilargli l'egemonia sul mondo sunnita e tornare ad abbracciare l'America. Quell'America dove Khashoggi risiedeva e a cui Erdogan ha, guarda caso, appena restituito Andrew Craig Brunson il pastore evangelista detenuto da Ankara nel cui nome Donald Trump aveva imposto dure sanzioni alla Turchia. Una Turchia pronta ora a sfruttare l'occasione riproponendosi come l'unico alleato in grado di sostituire l'impresentabile e imbarazzante regno del sanguinario Mbs.

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