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Il Giornale Rassegna Stampa
23.10.2018 La Giordania fa la voce grossa contro Israele
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 23 ottobre 2018
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La Giordania sfida sui terreni gli israeliani»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/10/2018, a pag.12, con il titolo "La Giordania sfida sui terreni gli israeliani" il commento di Fiamma Nirenstein.

A destra: il re giordano Abdullah con Benjamin Netanyahu

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Fiamma Nirenstein

 

Nel 1994 sotto un sole terribile Yzchak Rabin e il re Hussein di Giordania con l'abbraccio di Bill Clinton firmarono nel deserto la pace fra Israele e Giordania. Un gesto da giganti: la cronista, seduta per ore al sole su gradinate di legno, li guardava commossa e si domandava come potevano resistere senza un cappello in testa. I due concordarono anche uno speciale arrangiamento per delle particule di terra vicino al confine, e il re le affittò fino al 2019 a Israle perché le coltivasse prevedendo poi un rinnovo per altri 25 anni. Di fatto oggi quella terra produce avocado e olive, i contadini israeliani vengono dai kibbutz ogni mattina. Un arco di pietra con le immagini di Hussein e di suo figlio Abdullah, il re odierno, segnano la proprietà. Ma in quel luogo resta anche la memoria del marzo 1997 quando un soldato giordano sparò a un gruppo di bambine israeliane in gita e ne uccise sette. Hussein andò personalmente a inginocchiarsi davanti ai genitori e a chiedere scusa. Così si fa quando si vuole la pace. Ma re Abdullah non ha la stessa sensibilità e ha annunciato con molte fanfare che quella parte del trattato è abrogata, che la Giordania non darà la sua terra a nessuno, che lui sceglie «Terra Giordana e interessi giordani». È successo qualcosa? No. E' un'osservazione impropria dato che nessuno la mette in discussione.

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Israele e Giordania

Certamente, però, molto gradita alla popolazione composta per il 75 per cento da Palestinesi, percorsa da fremiti islamisti molto minacciosi, invasa da profughi siriani, pronta a accusare la monarchia di ignorare la causa palestinese. La terra in questione non è importante in sé: ma lo è il simbolo della pace con Israele. Così, sull'altare del consenso il re sacrifica una parte della pace: la crisi economica, la crescita della disoccupazione, le dimostrazioni contro la crescita dei prezzi, vanno insieme all'incuria verso l'opinione pubblica, all'incitamento antisraeliano, alla diffusione di menzogne e pregiudizi, sempre una carta di riserva per ogni leader arabo. Attacca Israele e troverai il consenso. E allora perché Israele non si preoccupa? Perché l'acqua che fornisce alla Giordania, il gas che comincerà fra breve a fluire, tutta una serie di disponibilità verso quel Paese e la redditizia immagine di stabilità presso l'amministrazione americana, costituiscono una certa garanzia: se adesso Israele si impegnerà a compensare adeguatamente il re, e lo farà, le cose possono ragionevolmente essere sistemate e l'accordo può rinnovarsi. Ma non sottovalutiamo il Medio Oriente: può anche darsi che, poiché fra le varie ipotesi sul misterioso piano di pace di Trump c'è anche quello di una soluzione giordano-palestinese, il re se ne difenda creando una situazione di tensione impraticabile. Se fosse così, Abdullah, potrebbe persino abbandonare gli accordi con Israele. Contro ogni logica. Contro la pace, contro il benessere dei suoi. Questo è il Medio Oriente.

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