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Il Giornale Rassegna Stampa
07.07.2018 La fuga dalla Siria verso gli ospedali del 'nemico'
Reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 07 luglio 2018
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La fuga dalla Siria verso gli ospedali del 'nemico'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 07/07/2018, a pag.12, con il titolo "La fuga dalla Siria verso gli ospedali del 'nemico' " il reportage di Fiamma Nirenstein dal confine con la Siria

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Fiamma Nirenstein

L' urlo del vento non è il solito, sulle alture del Golan. Parla di dolore e proviene dalle tende di tutti i colori raggruppate dove ci sia un filo di ombra a pochi metri dal confine di filo d'acciaio. Siamo vicino ai villaggi di Bir Ajam e al Briga, ma potremmo essere ovunque sul confine guardato a vista dai soldati di Israele. L'armistizio con la Siria del 1974 prevede una breve area vuota. Subito oltre, stanno arrivando decine di migliaia di persone, si dice circa 60mila che stanno ammonticchiandosi lungo il confine israeliano, e centinaia di migliaia sono in movimento: l'offensiva in corso a Deraa, e poco più a nord a Harah e Kuneitra, dove ieri i ribelli hanno preso l'iniziativa, sta scalzando dal sud la popolazione e spingendo via senza casa, feriti, affamati cui la malasorte ha dato la Siria come patria. Il vento urla sul Golan israeliano e chiede aiuto per una massa in fuga da Assad, dagli hezbollah e dagli iraniani che spazzano il terreno con la loro ancestrale ferocia, dagli attacchi aerei russi dell'ultima settimana. Il mondo al solito tace, resta solo la pietà israeliana. E cosi qui si consuma una messa in scena ultimativa del tema che domina il mondo, quello dei profughi che bussano alla porta. La gente disperata si presenta fra le querce del Golan all'antico nemico, in zona di guerra. Ieri lo scontro ha investito Kuneitra, e se le forze iraniane dovessero farsi vive al confine israeliano, Israele non potrebbe stare a guardare. Ma per ora va avanti l'operazione «Buoni vicini» che è diventata, nei sette anni di guerra, sempre più poderosa: sono tonnellate di cibo, vestiti, giocattoli, attrezzature da campo, generatori, tende, coperte, casse di medicinali richiesti dalle telefonate con i disperati medici siriani. Nottetempo, sempre con i criteri di una cauta azione militare, i soldati di Israele aprono i cancelli e portano tutto oltre il confine. E là, spesso in emergenza, caricano i feriti e i malati, sulle camionette e sugli elicotteri. All'ospedale di Nahariya arrivano i feriti più gravi, quelli per cui diresti che non c'è più niente da fare. Un team di chirurghi incredibili, fra cui incontriamo il dottor Eyal Sela che ci mostra immagini inusitate. Qui si impara che un uomo può salvare un altro essere vivente anche quando sembra ormai perduto. Abbiamo visto facce cui erano rimasti solo la fronte e gli occhi: ricostruite dal niente col naso, la bocca, il mento reinventati; occhi spazzati via e recuperati, arti spappolati e protesi innestate. Trapianti, estensioni, invenzioni al computer. Eyal Sela, otorino e chirurgo del collo, determinato e di buon umore spiega: «Io ho un sogno, che i siriani svenuti sotto le bombe che si sono svegliati qui e hanno pensato «aiuto, gli israeliani», raccontino ora alle loro famiglie e a tutti gli arabi che le paure sono infondate, l'odio assurdo... che da noi ha incontrato medici e infermieri per metà ebrei e per metà arabi, che li abbiamo curati con amore». I siriani qui all'ospedale sono quaranta, non possiamo dire i nomi veri, potrebbero essere considerati spie. Nawras, 22 anni di Quneitra, raccolto dopo aver perso le mani e un occhio il 3 di giugno, ha un'aria triste ma quieta: ha già al posto delle mani due protesi innestate. «Quelli che mi hanno soccorso mi hanno detto: gli unici che ti possono aiutare sono gli israeliani, andiamo al confine, non è come ci dicono. La dinastia degli Assad insegna fin dalla scuola a odiare gli ebrei, da piccolo quando non vuoi mangiare la mamma dice: se non mangi viene un sionista e succhia tutto il tuo sangue». Nawras si guarda i monconi: «Invece gli essere umani, la vita, sono sacri qui, da noi la morte è normale»

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