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Il Giornale Rassegna Stampa
28.06.2018 Il rapporto tra islam e omosessualità
Cronaca di Alberto Giannoni

Testata: Il Giornale
Data: 28 giugno 2018
Pagina: 14
Autore: Alberto Giannoni
Titolo: «L'islamico gay: gli imam contro di me»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 28/06/2018. a pag.14, con il titolo "L'islamico gay: gli imam contro di me" la cronaca di Alberto Giannoni

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Alberto Giannoni                Wajahat Abbas

Interessante il pezzo di Alberto Giannoni, sempre molto accurato nell'affrontare l'islam italiano. Dall'intervista con Wajahat Abbas apprendiamo:
1. la sua famiglia è in Italia da molti anni, integrata, come lo è lui, vivono a Brescia, paese di origine il Pakistan
2. Comprensibile il suo tentativo di tenere lontanto Maometto e Allah dagli imam, anche italiani. Come racconta, ha cercato di coinvolgere le autorità istituzionali islamiche italiane, senza mai ricevere una risposta.
3. Gli sarà passato per la testa che Allah in qualche modo deve entrarci, ma che è meglio soprassedere? Il titolo del libro che ha scritto è, infatti "Allah ama l'uguaglianza", tutto bene finchè è il titolo di un libro, ma quando si guarda alla realtà, allora si tocca con mano che i cattivi non sono solo gli imam, ma anche gli Stati, i governi, le istitizioni politiche musulmane, con il risultato che la vita per le persone omosessuali è un inferno.
4. Wajahat Abbas è un fortunato, vive in Italia, dimostra anche coraggio, tale che gli si perdona il titolo del libro, perchè Allah non ha mai amato l'uguaglianza, come ci insegna la vita del su profeta Maometto.

Ecco l'intervista:

«Non c'è mai stata una battaglia fra me e Allah». Wajahat Abbas è in pace con se stesso. Oggi a Milano presenta il suo libro e racconta la sua battaglia. «Allah loves equality» è anche il nome del documentario, girato nel suo Paese d'origine: il Pakistan. Wajahat Abbas Kazmi, 32 anni, è un regista. E un attivista. E tante altre cose. E omosessuale e credente. «Si può essere gay e musulmani?» chiede il sottotitolo del libro. E lui risponde «assolutamente sì». Certo, non è mai stato facile per lui. «Io non ho mai avuto dubbi, ero innamorato del mio prof di matematica - racconta, sorridendo - eppure non avevo internet, non avevo mai visto un film, nel mio Paese non c'erano nemmeno le parole per spiegare tutto questo, ma io sono sempre stato sicuro e non mi sono mai sentito in colpa». La famiglia Kazmi da molti anni è in Italia. Prima il padre, poi la madre e i figli. Arrivano da Gujrat, città grande ma rurale nel distretto del Gujranwala, lo stesso di Hina e Sana, le due giovani italo-paldstane uccise dal «clan», una a Brescia, l'altra in patria, per lo stesso identico motivo: non volevano sottostare alle regole tribali, e decidere della loro vita, come si fa in Occidente. Anche per Wajahat era stato pianificato tutto. «A 18 anni ero fidanzato con mia cugina - racconta - e lo sono stato per 7 anni. Sei mesi prima del matrimonio ho fatto coming out». L'idea di quella vita gli pareva un incubo. «Per me e soprattutto per lei - racconta - perché io avrei comunque potuto fare la mia vita. Lei no, avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa». Lui non c'è stato. E oggi combatte la sua battaglia per un islam che tolleri tutti: «Anche solo usare la parola gay è un problema. C'è uno stereotipo, la cosa viene vissuta come una malattia che viene dall'Occidente». Wajahat non è solo, ma certo non ha avuto la strada spianata, neanche in Italia: «Ho scritto a tutti gli imam, anche al presidente della moschea di Roma Khalid ChaouId che da deputato aveva approvato la legge Cirinnà. Nessuno mi ha risposto. Eppure il Corano non condanna l'omosessualità esplicitamente. Non c'è una battaglia fra me e Allah - dice - a volte c'è con le persone».

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