venerdi 29 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Giornale Rassegna Stampa
22.06.2018 Ramin Bahrami: amo la Persia, ma non tornerò mai più in Iran
Elogia anche la Persia dello Scià. Colloquio con Luca Pavanel

Testata: Il Giornale
Data: 22 giugno 2018
Pagina: 31
Autore: Luca Pavanel
Titolo: «Bahrami e il suo Iran: 'Bach ha salvato me ma non la mia terra'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 22/06/2018, a pag.31, con il titolo "Bahrami e il suo Iran: 'Bach ha salvato me ma non la mia terra' " il colloquio di Luca pavanel con  Ramin Bahrami, autore di "Come Bach mi ha salvato la vita".

Immagine correlataImmagine correlata
                                                                          Luca Pavanel

Anche coraggioso, oltre che sublime interprete di Bach, si dimostra Ramin Bahrami. Elogia lo Scià di Persia, cosa rarissima.

Immagine correlata

Da decenni non rientra nel suo Paese, nonostante i diversi inviti. Ma se oggi dovesse riscrivere il suo libro Come Bach mi ha salvato la vita (Mondadori) - nell'Iran degli ayatollah che hanno vietato la musica un bambino di sei anni sogna di passeggiare felice con il grande compositore Johann Sebastian - probabilmente, ammette, lo farebbe diversamente: «Parlerei di più della mia Persia, sono orgoglioso di essere persiano», dice il pianista Ramin Bahrami, in questo periodo in pista per raccontare col pianoforte e con le parole la sua ultima fatica discografica, il primo volume del Clavicembalo ben temperato di Bach appunto. Nella sua storia non solo virtuosismi alla tastiera e fughe - in senso musicale - scritte dall'antico e amato Kapellmeister di Lipsia - ma anche tragedie familiari. Verso la fine degli anni Settanta, con la «rivoluzione» venne istituita la Repubblica islamica dell'Iran, definita come una «democrazia con tendenze teocratiche». Risultato: molti dei collaboratori stretti del precedente governo, quello dello Scià, finirono nel mirino, come il padre di Ramin che mori in carcere mentre lui, ragazzino, si trovava in viaggio in Italia. «Come è la situazione ora? Se è cambiata, non è meglio. Certo io non rientro più, con quello che è successo non mi fido - spiega - Però custodisco molti ricordi del mio meraviglioso Paese. Penso alla brezza del Mar Caspio dove andavo in vacanza coi miei genitori, il tè con il Samovar della nonna, le noci fresche, il pane di Teheran, il più buono che ho mangiato». L'iraniano Bahrami, 41 anni, che oggi vive a Stoccarda in Germania - uno dei musicisti più noti al mondo per il suo impegno nello studio e nell'approfondimento del repertorio bachiano - quando parla della sua terra, anche se scandisce le parole in maniera distaccata, è visibilmente toccato. Segnato dai ricordi, ancora «bruciato» dall'esperienza giovanile. Chissà, riaffiorano le immagini dell'infanzia quando viveva là, con la sua famiglia. Erano altri tempi. Ramin, che si definisce «un monarchico», racconta le sue impressioni sullo Scià: «Una delle migliori persone che ci potessero essere. Sicuramente un uomo di potere, ma mi domando e domando, forse i politici che ci sono oggi non sono uomini di potere?». In quegli anni l'Iran - che è uno dei primi produttori di petrolio a livello mondiale a suo dire era la Svizzera del Medio oriente. Nel 1979 cambia la politica col putsch della dinastia Pahlavi, che aveva portato il Paese a «essere una realtà florida», giura il virtuoso: in quel periodo si viveva molto all'occidentale, le ragazze giravano fino alle tre del mattino e nessuno le sfiorava con un dito, potevano vestire senza problemi all'europea. Il gentil sesso, precisa, al di là delle dicerie e delle «favole» ribadite dai media, in Persia «ha sempre comandato». In passato ci sono state donne regnanti, quando nel vecchio continente ancora non c'erano bagni e servizi igienici. «La cultura - prosegue - prima del cambio politico veniva portata sul palmo di mano e ben finanziata. Il pianista Arthur Rubinstein ogni anno veniva a suonare». Il governo aveva fondato nella città di Shiraz uno dei festival a livello internazionale più importanti per gli artisti, dove personaggi come il compositore Karlheinz Stockhausen, i violinisti Yehudi Menuhin e Isaac Stern e il compositore Luciano Berio erano di casa. «Di tutto questo - vuole aggiungere - credo che sia rimasto ben poco. Adesso la cultura è trattata meno bene, così come la gente». Parla di una casta sempre più ricca e del «popolo che fa fatica a tirare a metà mese. Questa cosa non va certo bene da nessuna parte, tanto meno nella culla della civiltà mesopotamica», conclude. Bahrami arriva in Italia con un visto turistico, accompagnato dalla madre, aveva 10 anni. A Milano va a studiare al Conservatorio «Giuseppe Verdi» col pianista musicologo Piero Rattalino. Poi i concerti, una camera ad altissimi livelli, fino a diventare uno degli interpreti più quotati e ammirati. «Io fuggito altrove? Se tutto questo lo consideriamo come una fuga dalle ideologie sbagliate - continua - allora sì, la mia è stata una fuga. Del resto sono trenta anni che non metto piede a Teheran, da libero la penso diversamente. E l'ho sempre detto da uomo di cultura, con civiltà e rispetto». E al di là di tutto comunque «l'Iran avrebbe bisogno che gli occidentali smettessero di saccheggiarlo, non avrebbe bisogno di europei pronti a fare i loro affari e basta». Critiche ma, come si legge, anche difesa del suo Paese, il dolore personale insieme alle contraddizioni che restano. «Ma Bach salva davvero le vite sa? Riesce ad arrivare nel cuore di tutti. E così è stato anche per me - rimarca - Mi ha fatto da padre e madre, ma è stato fratello, sorella e anche zio». Gran finale sul suo lavoro: «Sono estremamente orgoglioso dell'ultima fatica discografica, perché conclude un ciclo fondamentale per chi ama questo autore - spiega - Dopo aver affrontato quasi tutto, i capisaldi del suo repertorio, mancava appunto "La tastiera ben temperata". Che non è il Vecchio testamento della musica ma l'unico "Testamento possibile". Probabilmente Johann Sebastian avrebbe voluto scrivere anche il terzo volume». Ma non ne ha avuto il tempo.

Per inviare al Giornale la propria opinione, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT