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Il Giornale Rassegna Stampa
13.12.2009 Fiamma Nirenstein spiega al Re Sole la realtà di un paese minacciato dal terrorismo
Ma Vittorio Sgarbi, anche questa volta, non capirà niente

Testata: Il Giornale
Data: 13 dicembre 2009
Pagina: 11
Autore: Vittorio Sgarbi-Fiamma Nirenstein
Titolo: «Io trattato da nemico, A Gerusalemme non tornerò mai più-Israele si difende. Tu non sai che cos'è l'incubo terrorismo»

Sul GIORNALE di oggi, 13/12/2009 a pag.11, Vittorio Sgarbi si scatena contro Israele, reo di "maltrattamenti" nei suoi confronti. L'illustre critico ha nuovamente commesso l'errore che gli è abituale, dettato dall'enorme arroganza che lo accompagna da tutta la vita. Ma in Israele il " lei non sa chi sono io" non funziona, Sgarbi ha, reiteratamente, manifestato la sua ignoranza verso le abitudini altrui credendosi superiore ai normali cittadini. Ma la lezione ricevuta non gli servirà, l'ego che lo contraddistingue aumenterà ancora di volume. Fiamma Nirenstein gli risponde sulla stessa pagina, cercando di fargli capire la realtà israeliana, ma, temiamo, invano. Per chi si crede la reincarnazione del Re Sole ci vorrebbe ben altro.
Ecco gli articoli:

Vittorio Sgarbi- Io trattato da nemico, A Gerusalemme non tornerò mai più

Certo molte me ne sono capitate nei miei innumerevoli viaggi. E anche prolungate soste, controlli, specialmente nei Paesi del Terzo Mondo ai confini fra lo Yemen e le aree controllate dai beduini; o tra Etiopia e Eritrea. Rallentamenti, disagi, incomprensioni. Ma non mi era mai accaduto di dovere sperimentare l’assurdo dei controlli aeroportuali come al rientro in Italia da Tel Aviv. Mi avevano annunciato dell’opportunità di presentarmi ai controlli tre ore prima e avevo subito manifestato irritazione. Controllare che? Si controllano i presunti nemici e i malintenzionati, non gli amici invitati. E infatti qualche mese fa come sindaco di Salemi ero stato invitato al primo festival delle arti e delle tradizioni di Gerusalemme, organizzato dall’Ufficio per la cooperazione allo sviluppo che, in quei luoghi difficili, sotto il controllo militare e politico degli israeliani invia straordinarie quantità di aiuti economici anche per compensare il minore impegno dello Stato di Israele nelle aree abitate dai palestinesi. Mitigando quindi i serpeggianti conflitti.
Missione culturale e di pace con una delegazione composta da due artigiane chiamate per fare il pane, uno storico e architetto, custode delle tradizioni Peppe Greco, il capo ufficio stampa Nino Ippolito e una giovane volontaria dell’assessorato alla creatività Daria Di Mauro. Ho esposto le buone ragioni della presenza di Salemi a Gerusalemme sia rispetto allo spirito della città, del dialogo e della tolleranza delle religioni rispecchiate nella stessa struttura urbanistica con i quartieri ebraico, musulmano il «Rabato» e cristiano, senza prevalenze e ghetti. Ho indicato la consonanza tra i nomi delle due città affini, l’uno contenuto nell’altro: Jeru-Salem. Sono stato al Muro del Pianto e ho visto nel segno della pace (Salem) ebrei, cristiani e musulmani. Alla partenza mi sono reso conto che le parole, gli inviti e i buoni propositi non contano niente. Improvvisamente, benché invitati e accompagnati da un rappresentante dell’Alitalia e dell’Ufficio per la cooperazione, siamo stati guardati con sospetto e trattati come possibili nemici. Certo capisco la situazione di emergenza e i possibili rischi. Ma non capisco come si possa, se non per arroganza e prepotenza sequestrare a un responsabile di un ufficio stampa italiano la stampante del computer con cui è entrato in Israele per fare il suo lavoro. In che cosa una stampante è pericolosa? Così Ippolito è ripartito lasciando una parte dei suoi strumenti di lavoro a Tel Aviv. Gli verranno, forse, rimandati. Violazione, per me intollerabile. Per quello che mi riguarda ho denunciato di avere, come avevo, una valigia di soli libri. Io parto senza bagagli dovunque debba andare e acquisto camicie e mutande nei Paesi in cui sono ospite. La mia valigia pesante conteneva libri d’arte, documentazione sui luoghi santi, cataloghi di mosaici e di restauri come quelli compiuti, con soldi italiani, a Sebaste dove è la tomba di San Giovanni Battista. La valigia è stata aperta e i libri controllati uno a uno, pagina per pagina con un macchinoso e inutile sensore, per trovare fra le carte chissà quali minacciosi documenti. Le artigiane che avevano fatto il pane sono state perquisite per verificare cosa portassero con sé per la loro minacciosa pratica di fornaie. La giovane Daria è stata completamente spogliata, interrogata come ognuno di noi sulle ragioni della presenza in Israele, e guardata con sospetto perché il passaporto era stato rilasciato il giorno stesso del viaggio. Essendo una ragazza giovane, avevo io stesso chiesto al questore di Catania di rilasciarle il passaporto dal momento che non poteva partire con la carta di identità. Perquisita, spogliata e guardata con grande diffidenza perché fra i doni avuti a Betlemme aveva in borsa anche un gagliardetto palestinese. Finita questa prima fase tra interrogatori e sequestri abbiamo proceduto per almeno altri cinque controlli in barriere successive, dove venivano chiesti ossessivamente i documenti e ricontrollati attraverso il metal detector i bagagli. Non ho capito il senso, se non provocatorio, di questi controlli a una delegazione italiana invitata e annunciata, non si capisce in che cosa minacciosa. Ma ciò che era stupefacente era la quantità di addetti a controlli inutili indisponibili ad accettare spiegazioni, e il miserabile spettacolo di valigie aperte con indumenti sporchi e libri controllati con inutile minuzia. Migliaia di persone, in lunghe file, uomini e donne rassegnati e umiliati in questo rito automatico ormai consueto in ogni aeroporto ma parossistico a Tel Aviv dove ognuno sembra avere accettato regole insensate che ignorano la dignità delle persone e presuppongono che ognuno sia pericoloso o nemico. Anche gli italiani e anche gli amici che hanno celebrato la dignità di Israele e il popolo ebraico. La malinconia prevale sulla rabbia e il primo pensiero è di non ritornare a Gerusalemme, non ritornare in Israele e andare in luoghi dove chi è invitato e chi è amico è rispettato.

Fiamma Nirenstein- Israele si difende. Tu non sai che cos'è l'incubo terrorismo.

Caro Vittorio,
all’aeroporto, lo so, chi soffre di più è chi come te ascolta le ragioni di Israele e cerca sempre di portare un raggio di luce nel buio del pregiudizio che purtroppo prevale quando si parla dello Stato ebraico. Proprio come me, ho sofferto anche io tante volte, squadrata, interrogata, bloccata per ore da ragazzotti a volte sordi e insistenti, a volte persino arroganti e aggressivi. Mi sono detta spesso che dovevano essere ignoranti, addestrati male a riconoscere il delinquente terrorista, che c’era qualcosa di personale in quel farmi pagare, innocente e anzi amichevole, il rischio che loro e le loro famiglie corrono ogni giorno, le discriminazioni cui sono soggetti a partire dalle gare sportive fino alle Università europee. A volte, sappilo, io, con tutti i miei libri e i miei articoli, sono finita seduta al piano superiore, scrutata, fotografata con qualche signora proveniente dall’Europa orientale che cercava di entrare per lavorare in settori disparati. Avevano ragione? Beh, alla fine sì, e tu lo sai.
Oggi il terrorista aereo non si serve quasi più di armi, pensa all’11 di settembre; è l’intenzione che crea il terrorista, e nessuno la porta scritto in fronte. In secondo luogo, il profiling può non funzionare affatto: nel ’72 fu l’Armata Rossa Giapponese che all’aeroporto Ben Gurion fece 24 morti. Il terrorismo, l’ho imparato bene negli anni dell’Intifada, può uscire da qualsiasi angolo, da ogni parola gentile, da qualsiasi faccia d’angelo o abbigliamento elegante.
Intanto per loro la tua fama, la regalità del privilegio italiano che senz’altro ti viene tributato a ogni barriera della tua vita, loro non le conoscono. Per loro sei un signore molto elegante, certo, ma impaziente e difficile da decifrare, che non ha amici o famiglia in Israele, che non ha motivi oggettivi per essere fedele a quel Paese, che forse ha alloggiato a Gerusalemme est, che semmai ha fatto una quantità di giri nelle zone palestinesi, quelle dove si possono ricevere ordigni, ordini, consigli... c’è qualcosa di male, o di oggettivamente riprovevole in questo? No, di oggettivo non c’è nulla. C’è però una lunga storia di oggetti che sembrano tutt’altro, magari un paio di scarpe o una Coca Cola oppure un mangianastri.. e invece sono una bomba, o un pezzo di una bomba da consegnare a qualcun altro.
Alla popolazione israeliana si sta in questi giorni distribuendo di nuovo una maschera antigas per ogni padre madre, bambino, talora persino per il cane della famiglia. Perché, sta succedendo qualcosa di nuovo? No, niente, è solo la normale persecuzione cui è sottoposta la gente d’Israele; è notizia di questi giorni, Hamas ha fatto sapere di avere rafforzato il suo sistema di tunnel e di aver pronti missili kassam che stavolta possono raggiungere anche Tel Aviv. Come in un sandwich gli israeliani, che si preparano a questo attacco dal sud, ricevono anche annunci per cui da nord gli Hezbollah, con le loro decine di migliaia di missili ormai legalizzati dal governo libanese, ogni giorno fanno sapere che faranno la guerra e che preparano attentati contro il nemico sionista.
Lo sfondo, caro Vittorio, della tua spiacevole avventura all’aeroporto di Gerusalemme (ma dì la verità, non è fra i più belli e ben tenuti del mondo, e anche fra i più commoventi per come le famiglie si ritrovano dopo anni, si abbracciano, baciano la terra) è l’apocalisse stessa, e tu che queste cose le sai vedere, non scorgi la nuvola nera oltre il ragazzo che ti ha così oltraggiato? Se l’Iran è pronto a giocarsi tutta la possibile simpatia internazionale pur di preparare una bomba che distrugga lo Stato degli ebrei, se spende miliardi in terrorismo pur di tenerlo sulla graticola, quanto investirebbero per infilare nella borsa di un Vittorio Sgarbi, per famoso che sia, o anche di una Fiamma, chiunque essa sia qualcosa di minuscolo e micidiale, che io non so immaginare ma che certo esiste. Quei ragazzi, in genere, siccome Israele è un Paese molto povero anche se ci tiene a far bella figura con l’aeroporto Ben Gurion, di notte lavorano là e di giorno studiano, o viceversa. In genere vengono da tre anni di esercito in cui hanno rischiato di brutto la pelle. Molto spesso hanno perso il loro migliore amico, o un fratello, o la fidanzata, mentre viaggiava su un autobus o mangiavano al ristorante. Non è retorica. Vittorio, non smettere di amare Israele per così poco. Ho visto alcune delle tue sfuriate, ma so che riconosci le cose vere da quelle false, recitate, fatte per stupire o per povertà di spirito. Là non c’è niente di tutto questo. Si tratta di salvare la vita.

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