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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale Rassegna Stampa
15.01.2008 Pro e contro Daniel Barenboim
le opinioni a confronto di Fiamma Nirenstein e R.A Segre

Testata: Il Giornale
Data: 15 gennaio 2008
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein - R.A. Segre
Titolo: «Una scelta che leggitima l'odio - Rispettiamo un Don Chisciotte»

Dal GIORNALE del 15 gennaio 2008, riportiamo due opinioni su Daniel Barenboim e sulla sua decisione di accettare il "passaporto palestinese".
Di seguito, l'editoriale di Fiamma Nirenstein:

È difficile per chi abbia ascoltato a Roma, nel maggio dell’anno scorso, il concerto numero tre di Beethoven suonato da Daniel Barenboim, o che a Milano a dicembre l’abbia visto dirigere Tristano e Isotta, criticare un musicista così grande. Per questo è triste che abbia accettato il passaporto palestinese. Capita alle volte ai grandi artisti di credere di capire tutto sulle ali della creatività, ma la colomba della pace vola nella direzione opposta alla sua, che crea invece irresponsabilità e quindi violenza.
Il passaporto palestinese non c’entra con la libertà di opinione: Barenboim per esercitarla in favore della pace o dello Stato Palestinese ha milioni di opportunità, podi, palcoscenici... ma l’accettazione di un passaporto indica adesione a un’identità; qui, c’è un israeliano che si identifica con chi esalta i “martiri” e la jihad, ovvero gli assassini di cittadini israeliani innocenti, sui canali televisivi ufficiali e sui propri giornali (cfr Palestinian mediawatch).
E non sono teorie: mentre scriviamo arriva la notizia che per la seconda volta in un mese un carico di due tonnellate di esplosivo travestito da “aiuto umanitario” in transito dal West Bank a Gaza, dalla Palestina che ha dato a Barenboim il passaporto. Materiale che serve ai terroristi suicidi, oppure alla preparazione dei missili Kassam che vengono lanciati da Gaza, 2500 in due anni. Barenboim ha preso il passaporto, e quindi giurato fedeltà, a un’entità che non ha mai accettato l’esistenza dello Stato ebraico, e vuole cancellare l’altro Paese di cui Barenboim ha il passaporto.
Egli è ben consapevole anche del fatto che assommare i due passaporti oggi si collega implicitamente alla prospettiva di un’unica statualità per due popoli, visione corrente fra gli intellettuali anti-israeliani anche ebrei, che imbocca la prospettiva della cancellazione demografica di Israele.
In secondo luogo: Barenboim, migliore amico di Edward Said, fondatore della teorizzazioni più raffinate dell’intolleranza intellettuale poi diventata vezzo verso l’esistenza stessa di Israele, ha sempre ripetuto che tutte le sue scelte, compresa quella ammirevole di fondare un’orchestra a Ramallah, sono state ispirate non dalla politica ma da motivi sociali.
Se fosse vero, Barenboim darebbe segno di sapere che il governo che emette il suo nuovo passaporto viola tutti i diritti civili dei suoi cittadini, specie degli omosessuali (che cercano rifugio in Israele) e delle donne, perseguita i giornalisti liberi, considera secondari i diritti dei cristiani, ha lasciato mano libera alla più spaventosa corruzione di regime; Barenboim sa che si “giustiziano” collaborazionisti per la strada, che la miseria è in gran parte dovuta al furto e allo spreco dei miliardi che il mondo rovescia nelle mani dei palestinesi.
Ma Barenboim sembra leggere la loro sofferenza solo in funzione antisraeliana. E non ha mai neppure detto una parola in nome dei diritti degli altri suoi concittadini innocenti rapiti, fatti saltare per aria, bombardati. Infine, è molto difficile non vedere come su questa linea Barenboim abbia sempre raccolto grandi consensi: si sa, l’odio antioccidentale è il salotto buono dell’intellettualità mondiale. Tanti ci hanno guadagnato addirittura il premio Nobel.

Quello di R.A Segre:

Cosa hanno in comune un concerto di Beethoven, un pianoforte a coda Steinway & Sons e una cittadinanza onoraria? Un grande musicista, Daniel Barenboim. Il che non avrebbe nulla di speciale se il Maestro non fosse israeliano, la cittadinanza conferitagli palestinese e il pianoforte probabilmente l’unico del genere in Palestina.
Non tutti gli israeliani e i palestinesi (specie gli islamici, che nella musica vedono la presenza del diavolo) apprezzeranno il triplice avvenimento. Ma per Barenboim, che si è dedicato al riavvicinamento tra israeliani e palestinesi (ospitando fra l’altro incontri segretissimi nelle sue case in Europa), rappresenta la consacrazione di uno sforzo donchisciottesco della sua decennale opera di pacificazione israelo-palestinese attraverso la musica, tanto nota quanto priva di risultati pratici. L’orchestra «binazionale» da lui creata ha fatto parlare molto del suo ideatore, ammirato per la sua fede nella pace, snobbato (quando non vituperato) per la sua idea di “oliare” con la musica gli ingranaggi arrugginiti del processo di pace in Medio Oriente. Ma questo concerto al Palazzo della Cultura di Ramallah ha un simbolismo più profondo. C’è, anzitutto, l’accettazione da parte sua e la concessione da parte del governo palestinese di una cittadinanza «al nemico». Forse né lui né i dirigenti di Ramallah se ne sono resi conto, ma questo gesto potrebbe un giorno essere portato come precedente per l’accettazione sul suolo palestinese (sinora considerato judenrei, «pulito da ebrei», come nel caso di Gaza) di ben altri israeliani con «doppia cittadinanza». Ve ne sono infatti almeno già 80mila che, se rifiuteranno di lasciare gli insediamenti «al di là del muro», dovranno prima o poi riflettere sul delicato rapporto fra nazionalità e residenza. E lo stesso vale per migliaia di arabi-israeliani che, in un eventuale scambio di territori, potrebbero trovarsi nella situazione di Barenboim, ma nello Stato palestinese.
Un altro elemento meno politico ma non meno simbolico è rappresentato dal prestigioso pianoforte a coda che una signora olandese ha voluto regalare all’orchestra del grande Maestro. Che io sappia, è il solo del genere esistente in Palestina. Un pianoforte Steinway può essere un oggetto molto pericoloso se visto come prova di quello che la società palestinese ha finora perduto lasciandosi trascinare dietro la bandiera della «nazione palestinese al posto di quella israeliana».
In Israele di Steinway ve ne sono molti e in uso quotidiano. Rappresentano il segno di una società che, nonostante il lungo stato di guerra, è diventata ricca e libera di poter fare dei concerti di Beethoven e dell’uso di pianoforti a coda non degli avvenimenti, ma un’abitudine. È un segno non di pace, ma di normalità e di opulenza e che i palestinesi possono vedere senza bisogno di cannocchiali dai tetti delle loro case ma che sinora hanno rifiutato di capire. Il concerto e la cittadinanza data a Barenboim ricorda loro anche questo e, come il Grande Maestro ha giustamente sottolineato, che la musica da sempre è capace di ispirare speranza. Anche per la pace, specie quando non viene usata come fanno quotidianamente le radio e le tv palestinesi per diffondere marce militari e canzoni che invitano i bambini a odiare gli ebrei e i grandi a immolarsi nell’ammazzarne il maggior numero possibile.

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