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Il Foglio Rassegna Stampa
03.07.2003 Neocon, Israele, Islam
Ecco come la pensa Paul Berman

Testata: Il Foglio
Data: 03 luglio 2003
Pagina: 2
Autore: Christian Rocca
Titolo: «Cari compagni di sinistra, in corso c'è una rivoluzione e non ve ne siete accorti»
Paul Berman parla e scrive come un neoconservative, quel gruppo di intellettuali di sinistra che dagli anni Settanta pensa che la sinistra sia diventata conservatrice e che i classici principi del liberalismo siano difesi meglio dai conservatori rivoluzionari alla Ronald Reagan.'

Di Berman si discuterà molto quando uscirà in italiano il suo libro "Terrore e Liberalismo"

Paul Berman è l'intellettuale di sinistra che ha spiegato ai suoi compagni che la guerra al terrorismo arabo-musulmano è l'ultima tappa delle due guerre contro i totalitarismi che l'Occidente ha combattuto nel secolo scorso, quella contro il nazifascismo e quella contro il comunismo. Lo ha scritto in un bellissimo libro, Terror and Liberalism, che il Foglio ha recensito il 12 aprile ("il più conciso e intelligente commento sul mio libro", ha detto Berman), e che presto sarà pubblicato in Italia dall'editore Einaudi. Terror and Liberalism è recensito con imbarazzo in America, perché sfugge alle classificazioni e agli schieramenti. Berman è di sinistra, è un libertario, quasi anarchico, che ha pubblicato per The Nation, per il Village Voice, la New York Review of Books, The New Republic, e ora per Dissent e il New York Times. E' un avversario di George W. Bush, però pensa che il presidente abbia fatto benissimo a cacciare i talebani e Saddam. Berman parla e scrive come un neoconservative, quel gruppo di intellettuali di sinistra che dagli anni Settanta pensa che la sinistra sia diventata conservatrice e che i classici principi del liberalismo siano difesi meglio dai conservatori rivoluzionari alla Ronald Reagan. Ma Berman non è un neoconservative. Infatti a destra il suo libro è piaciuto a metà, nonostante Commentary abbia definito Berman come uno della schiatta di George Orwell e Arthur Koestler. Berman è falco come un neocon. La questione delle armi che non si trovano, per esempio, non lo appassiona. Gli importano le dittature, gli assassini, i massacratori che in una sola fossa comune hanno ucciso più persone di tutta la guerra in Iraq. L'arma di distruzione di massa è la dittatura. E si chiede come mai la sinistra, con l'eccezione di Tony Blair, non combatta più per queste cose. "Stiamo vivendo un periodo rivoluzionario ­ dice Berman seduto su una poltrona a dondolo nel suo appartamento di Brooklyn ­ In 19 mesi due feroci dittature sono cadute e una terza, la più importante, è in crisi. L'effetto domino funziona, il totalitarismo musulmano ha subito sconfitte devastanti. In così poco tempo due, quasi tre, paesi di fila sono stati liberati. E poi c'è lo scontro all'interno dell'Autorità palestinese. Non sappiamo come andrà a finire, ma in Afghanistan c'è uno Stato che pur limitandosi alla città di Kabul è in mano a un liberale come Hamid Karzai. In Iraq non c'è ancora uno Stato ma per la prima volta c'è speranza, e in Iran siamo al primo stadio di una rivoluzione liberale". Berman si chiede per quale motivo la sinistra non faccia salti di gioia. Si dà due risposte. La prima è legata a Bush. "La sinistra odia Bush, non lo può vedere. Quello che fa Bush è sempre sbagliato. Per loro il nemico è Bush, anche se combatte le dittature". La seconda ragione, secondo Berman, è l'ignoranza: "E' vero che gli occidentali non conoscono la cultura islamica, ma sono soprattutto quelli di sinistra a non averne idea". Secondo Berman, la sinistra "disprezza i musulmani", ha atteggiamenti razzisti nei loro confronti, pensa che non siano in grado di poter vivere in un mondo libero e democratico. Infatti i morti e i massacri all'interno del mondo islamico non hanno mai fatto notizia, sono sempre stati considerati come una cosa ovvia. "I milioni di vittime islamiche sono invisibili, al contrario del puntuale conteggio che si fa in Cisgiordania". La sinistra non crede che la libertà si possa esportare, ma Berman davvero non si spiega come "gli italiani e i tedeschi possano pensarla in questo modo". Tanto più, dice, che l'oscurantismo islamico, quel mix nazi-comunista che ha governato il Medio Oriente in questi 50 anni, è esso stesso un'importazione: "Il vero pericolo non è solo al Qaida, ma il culto della morte e del suicidio come atto di ribellione alla società borghese. E' un'idea nata in Occidente, scritta nelle poesie di Baudelaire e nei libri di Dostoevskij, e diventata poi movimento di massa, con il fascismo, il franchismo, il nazismo e il comunismo. In Occidente è stata sconfitta, ma è stata esportata nel mondo islamico e lì si è sviluppata". In questi anni non ce ne siamo occupati, dice Berman, così come ora non raccontiamo i movimenti democratici che per la prima volta si fanno sentire. "Sono invisibili, è come se non esistessero. Negli anni Ottanta, una parte della sinistra fece conoscere gli intellettuali del dissenso sovietico. Adesso non sappiamo niente dei professori liberali egiziani, come Said Ibrahim, mentre un democratico come Ahmed Chalabi è trattato come se fosse il nemico. Tutto il mondo, poi, crede che Colin Powell sia quello buono. Powell invece è il cattivo, è quello che risolverebbe i problemi del Medio Oriente mettendo altri dittatori al posto di quelli che abbiamo appena deposto". La sinistra questo non lo capisce, "dovrebbe criticare Bush perché non invia più truppe in Medio Oriente, perché non si impegna abbastanza per ricostruire l'Iraq, invece di chiedere il ritiro e marciare per la pace". E' questa la cosa che preoccupa maggiormente Berman: "Bush è un grande distruttore, ed è stato bravo. Ma sembra che non gli interessi molto ricostruire quei paesi. Non è neanche contrario, ma non si impegna abbastanza. Al contrario dei neocon e dello stesso Cheney, Bush non è un ideologo, è un presidente che crede molto nei rapporti personali. La mia paura è che alla fine i suoi rapporti con i sauditi lo convinceranno a fermare la rivoluzione".

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