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Il Foglio Rassegna Stampa
03.05.2023 Repubblicani Usa e guerra in Ucraina
Analisi di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 03 maggio 2023
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «Repubblicani Usa e guerra in Ucraina»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 03/05/2023, a pag. 1, con il titolo 'Repubblicani Usa e guerra in Ucraina', l'analisi di Paola Peduzzi.

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Paola Peduzzi

Zelensky delivers impassioned address ahead of invasion
Volodymyr Zelensky

Milano. Ci sono due notizie degli ultimi giorni che fanno pensare a un assestamento a favore della difesa dell’Ucraina nel mondo conservatore americano, dilaniato da lotte interne talvolta difficili da decifrare che si sono manifestate con crepe che possono minare la struttura (e la determinazione) del sostegno americano a Kyiv. Sono due buone notizie, insomma. La prima è uno scoop del sito Semafor intitolato “The Murdochs’ Ukraine connection” che racconta le telefonate intercorse a marzo tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e i Murdoch. Max Tani e Morgan Chalfant scrivono che in primavera Rupert Murdoch, il tycoon di News Corp., ha parlato con Zelensky in occasione del primo anniversario dell’uccisione poco fuori Kyiv di due giornalisti di Fox News, Pierre Zakrzewski, e Oleksandra Kuvshynova, il 15 marzo del 2022. Anche Lachlan Murdoch, il figlio-erede che gestisce Fox News, ha parlato con il presidente ucraino: secondo le fonti di Semafor, si è discusso della guerra, della necessità del sostegno di Washington ma Zelensky non avrebbe fatto riferimenti espliciti all’ostilità di alcuni conduttori di Fox News nei confronti suoi e del suo paese. Il conduttore più ostile, nonché il più popolare dell’emittente, era Tucker Carlson, che definiva Zelensky “un dittatore” e che attaccava non soltanto l’Amministrazione Biden ma tutti i repubblicani che al Congresso sostengono la linea della Casa Bianca. Qualche settimana dopo quelle conversazioni telefoniche, Carlson è stato licenziato, la sua trasmissione è stata chiusa nel giro di un fine settimana e a lui è stata notificata l’estromissione poco prima che diventasse pubblica. Questo avveniva il 25 aprile e a oggi non si sa ancora, nonostante le tantissime ipotesi e speculazioni, quale sia la ragione del licenziamento – così come ancora non si sa quali saranno le conseguenze per Fox News, anche se intanto c’è stato un crollo netto degli ascolti nel segmento che da anni (dal 2016) era occupato da Carlson. Lo scoop di Semafor introduce nell’elenco delle insubordinazioni del conduttore nei confronti del management – sfacciate e fuori controllo – anche l’Ucraina e questa è una buona notizia perché, come scrivono gli autori, la fuoriuscita di Carlson “toglie pressione ai sostenitori di Kyiv al Congresso che sono stati criticati con veemenza in diretta dal conduttore – e a volte anche dietro le quinte per convincerli a cambiare posizione sulla guerra”. In particolare c’è il caso del deputato texano Michael McCaul, uno dei repubblicani che più si sono esposti a favore di Zelensky, costantemente attaccato da Carlson. In diretta, un giorno Carlson ha detto che McCaul aveva definito la sua trasmissione “disinformazione russa”, e ha commentato: “Quindi non soltanto siamo nel torto, cosa che è ok, ma siamo anche americani sleali, e questo non è ok, questa è una calunnia”. Questo è solo un esempio di come Carlson trattava in generale l’establishment repubblicano con cui era in disaccordo e in particolare i sostenitori dell’Ucraina. Jason Zengerle, che sta scrivendo un libro sul conduttore, racconta che questo trattamento vale per tutti, anche Donald Trump ne è stato vittima (e quanto si arrabbiava per il fatto che Carlson non gli rispondesse al telefono), ed è per questo che oggi, fuori da Fox News, rischia di essere ancora più pericoloso: ha costruito un pubblico che lo considera leale perché è contro tutte le élite. Non è un caso che i conduttori russi e Russia Today abbiano subito detto: sei sempre benvenuto da noi. Al di là del futuro di Carlson, Fox News, che è considerata un’istituzione dentro al mondo conservatore, ha tolto dalla diretta un megafono del disimpegno nei confronti dell’Ucraina. La seconda buona notizia è che anche lo speaker del Congresso, il repubblicano Kevin McCarthy, ha fatto lo stesso, ed è stato sorprendente. McCarthy è diventato il più importante repubblicano alla Camera grazie al voto dei trumpiani (che sono antiucraini) e da sempre gioca nell’ambiguità di chi pensa di saper domare il trumpismo ma di fatto ne viene domato. Per di più, McCarthy era stato il primo ad aprire la crepa conservatrice sull’Ucraina dicendo in un’intervista a dicembre che bisognava smetterla con gli “assegni in bianco” a Kyiv. Lunedì, in visita in Israele, un giornalista russo ha detto in conferenza stampa a McCarthy: “Sappiamo che lei non sostiene le forniture senza limiti e senza controllo di armi e aiuti all’Ucraina”. McCarthy non lo ha fatto finire: “Ha detto che non sostengo gli aiuti all’Ucraina? No, ho votato a favore di questi aiuti. Non sostengo semmai quel che il suo paese ha fatto in Ucraina. Non sostengo nemmeno l’omicidio di bambini. E penso che dovreste ritirarvi, mentre noi continueremo a sostenere Kyiv perché il resto del mondo vede le cose come stanno”. Nelle 320 pagine della legge sul tetto del budget volute da McCarthy, che evidenziano le priorità del Partito repubblicano e i condizionamenti sono tanti, non compare la parola Ucraina, a dimostrazione che il movimento anti Zelensky è tornato sotto controllo, più piccino.

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