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Il Foglio Rassegna Stampa
18.02.2023 Ucraina/Polonia contro Putin
Analisi di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 18 febbraio 2023
Pagina: 1
Autore: Micol Flammini
Titolo: «A Leopoli assieme alle frontaliere, sul confine tra la guerra e la pace»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 18/02/2023, a pag. 1, con il titolo "A Leopoli assieme alle frontaliere, sul confine tra la guerra e la pace", l'analisi di Micol Flammini.

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Micol Flammini

Putin sull'Ucraina:
Vladimir Putin

Leopoli, dalla nostra inviata. Varcare il confine tra la guerra e la pace è diventato un rito per alcuni ucraini. Vanno e vengono, dall’Ucraina alla Polonia, ognuno con le sue missioni, gli affari da portare a termine, i pensieri da trascinare al di qua e al di là della frontiera. Si aspetta al freddo, il treno arrivato alla stazione di Przemysl, la prima fermata su rotaia in Polonia, fa scendere i passeggeri che, passati i controlli, sembrano scivolare via dal binario, come se si fossero tolti di dosso un peso. Chi va nella direzione opposta il peso sembra caricarselo in spalla a ogni passo verso il treno. Si attende a lungo, sia in un verso sia nell’altro, a placare il freddo ci pensano i volontari che portano tè caldo: sono polacchi che in questo anno di guerra hanno imparato qualche parola di ucraino. Przemysl è ormai bilingue. Attorno alla stazione, ormai cuore della città, la segnaletica è in polacco e in ucraino, tutto ha due vite, due modi di dire, due facce: l’insegna per il supermercato della stazione è indicata in due versioni, sklep e mahazin. Parlare l’una e l’altra lingua è spesso un gesto di cortesia venuto su in modo spontaneo e a volte le due si confondono formando una neolingua, un esperanto slavo. Questa è la quotidianità di una cittadina di sessantamila abitanti, che lo scorso anno nella sua stazione neobarocca ha accolto centinaia di ucraini che fuggivano, pochi erano invece coloro che si mettevano in fila e con pazienza aspettavano di tornare indietro. Si dormiva nei corridoi, si aspettava di capire dove poter andare, ci si affidava, completamente, a chi poteva dare una mano: sul primo binario è sempre appeso un grande striscione con la scritta “qui siete al sicuro”, ovviamente bilingue anche questo. “Ha ancora senso parlare di fuga, ma è una fuga ordinata. Chi arriva adesso spesso sa dove andare, ha un piano di viaggio, Przemysl è tornata a essere uno snodo, non più un centro della speranza. Sono aumentate invece le persone che fanno il viaggio al contrario, dalla Polonia all’Ucraina”, spiega al Foglio una volontaria che lavora nella stazione ormai da un anno e racconta l’evoluzione di un esodo ordinato. Il senso di urgenza è scomparso, ma non quello di necessità. In fila per prendere il treno, in un attimo ci si accorge che questo popolo che varca la frontiera tanto spesso è costituito soprattutto da donne, un fiume di frontaliere, tra la guerra e la pace. Sono di ogni età, più anziane, alcune con i nipoti, oppure giovani, tra le quali molte studentesse. Ci sono famiglie che accompagnano un parente che è andato in Polonia per una breve visita e si danno già appuntamento al prossimo mese, non si sa chi varcherà il confine ma sono convinti di rivedersi presto. In questo universo plurilingue, tra i suoni delle consonanti ammassate che si librano in sibili e fruscii, si parla di tutto. Tre signore dicono di aver trascorso più tempo della loro vita in Polonia che in Ucraina, e che il servizio alla frontiera è migliorato dal 24 febbraio, data di inizio dell’invasione. I controlli sono più rapidi, si sosta meno in fila e soprattutto c’è un’attenzione particolare a chi compie il viaggio. Ci si sposta più rapidamente, il controllo dei passaporti prosegue a ritmo vivace, gli intoppi sono pochi e una signora più ottimista delle altre dice che andrà sempre meglio perché più ci si stringe all’Europa, più tutto questo diventerà una formalità. Viaggiano leggere, pochi valigioni, stanno in fila come se fosse una manovra che sono abituate a compiere almeno una volta al mese e dispensano consigli su come fare la valigia rapidamente, su come hanno insegnato alle figlie rimaste in Ucraina a fare scorte, perché loro l’arte l’hanno appresa durante l’Unione sovietica, erano più preparate e certe cose non si dimenticano. Fanno elenchi di ricette, piatti perfetti per durare giorni, nell’evenienza sia meglio non uscire di casa o avere del cibo da portare con sé se bisogna andare via in fretta. Le ragazze invece attendono con gli auricolari, gli occhi sul cellulare, due parlano di esami all’università: una di loro studiava già a Varsavia prima della guerra, ma per quest’anno accademico ha deciso di trasferirsi alla Jagellonica di Cracovia, è più vicina a Przemysl e può tornare a casa più spesso, suo fratello è al fronte e lei preferisce stare più vicina ai suoi genitori. Nessuno parla di normalità, ma quello che lo scorso anno era il confine della fuga, oggi è un punto di contatto, è una catena di rapporti e scambi che arriva dritta fino a Leopoli e poi prosegue per tutta l’Ucraina. Anche Leopoli è bilingue, tante di queste frontaliere tra la guerra e la pace scendono qui, alcune sono accolte da mazzi di fiori, alcune hanno altri treni o autobus da prendere. Il loro viaggio prosegue, ma torneranno indietro.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

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