Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

Il Foglio Rassegna Stampa
23.12.2022 Meglio una fortezza di una casa che brucia
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 23 dicembre 2022
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Figli e fortezze. Il ritorno di Netanyahu col governo più a destra di sempre ha in sé un sogno: fare di Israele un misto di tribalismo e globalismo»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/12/2022, a pag. 1, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo ''Figli e fortezze. Il ritorno di Netanyahu col governo più a destra di sempre ha in sé un sogno: fare di Israele un misto di tribalismo e globalismo''.

Informazione Corretta
Giulio Meotti

Elezioni in Israele. Non solo Bibi, successo dell'estrema destra | AgenSIR

Roma. Un film del 1986 di Denys Arcand si apre con un professore universitario, Rémy, che spiega agli studenti “che nella storia contano soltanto tre cose: i numeri, i numeri e ancora i numeri”. Ci sono due numeri che spiegano come è cambiata la politica d’Israele: 313 e 170. Il primo è il numero dei figli dei deputati della Knesset che formano la nuova maggioranza di Benjamin Netanyahu, il secondo indica i figli di tutta l’opposizione. Ieri il ministro delle Finanze uscente Avigdor Liberman, che con Bibi ha formato molti governi prima di andare all’opposizione, ha parlato di “governo delle tenebre che promuoverà lo stato halachico” (la legge religiosa ebraica). Sicuramente nasce il governo più a destra della storia israeliana con Likud, l’estrema destra Otzma Yehudit, i sionisti religiosi, il partito Noam e gli ortodossi di Shas e United Torah Judaism, per un totale di 64 seggi. Hanno un piano ambizioso: riforma giudiziaria per mettere i giudici sotto il controllo della politica, legalizzazione degli insediamenti (la destra deve però spiegare cosa farà in caso di collasso dell’Autorità palestinese, sempre più in crisi), lotta contro il secolarismo a scuola (gender e Lgbt) e più influenza religiosa sulle istituzioni sociali. L’elettorato israeliano non è mai andato tanto a destra e, come spiega Haaretz, persino i kibbutz per la prima volta hanno tradito i loro due partiti storici di riferimento, Meretz e Labour, ormai votati dall’Israele bianco e ricco. Netanyahu torna al potere spinto dall’Israele che si sente ai margini della affluent society: le scuole religiose da dove entrano ed escono ragazzini con gli tzitzit in polemica con l’ambiente laico che li circonda e che a milioni sono accorsi al funerale del rabbino Ovadia Yosef, che non lesinava attacchi feroci alle femministe, alla Corte suprema e alla sinistra (“non tiene conto dell’essere umano, le interessa il potere”); l’ebreo etiope, marocchino, iracheno, iraniano, algerino, che fino a ieri hanno vissuto nella casbah e nei ghetti dell’islam, e gli yemeniti dai grandi occhi verdi, le barbe appuntite, il naso sottile, fino ai settler con la camicia bianca e i Salmi, intenti ad approntarsi un giaciglio qualunque in quelle roulotte poste su una terra contesa ai palestinesi da mezzo secolo e che hanno più in comune con gli arabi israeliani di Mansour Abbas che con un bar di Tel Aviv. Almeno si capiscono. Il padre di Bibi, lo storico Benzion Netanyahu, era solito dire: “Gli ebrei e gli arabi sono come due capre che si fronteggiano su un ponte stretto. La capra più forte farà saltare quella più debole e credo che la potenza ebraica prevarrà”. Con l’America di Joe Biden a vigilare, per Netanyahu e la sua coalizione sarà complicato fare la rivoluzione. Con un eventuale ritorno di Donald Trump potrebbero avere mano più libera. Ma peserà la cronica, più che italiana, instabilità politica-parlamentare israeliana (cinque elezioni in tre anni). Resterà invece, costante futura, un paese meno occidentale e più mediorientale, meno liberale e più identitario. Per dirla con il biografo Bibi, Anshel Pfeffer, “una società ibrida di paure antiche e speranze hi-tech, una combinazione di tribalismo e globalismo”. Lo scrittore David Grossman si è lamentato che il suo paese è una fortezza, ma non ancora una casa per tutti. Per la destra al potere è meglio una fortezza di una casa che brucia.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui