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Il Foglio Rassegna Stampa
12.12.2022 Cina, Iran, Russia: modelli repellenti
Analisi di Le Monde

Testata: Il Foglio
Data: 12 dicembre 2022
Pagina: 10
Autore: la redazione del Foglio
Titolo: «La Cina, l’Iran, la Russia: contro-modelli diventati dei perfetti repellenti»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/12/2022, a pag.10 con il titolo "La Cina, l’Iran, la Russia: contro-modelli diventati dei perfetti repellenti" l'analisi tratta da Le Monde.

The China-Iran-Russia Triangle: Alternative World Order? – The Diplomat

Per porsi come contro-modello bisogna anzitutto apparire come un modello per se stessi. Né l’Iran, né la Russia, né la Cina sono in grado di incarnare questa ambizione. Legati senza essere formalmente alleati da una combinazione di fattori militari, politici e economici, così come dalla convinzione del presunto del declino dell’occidente, l’altro motore di questo asse informale, i regimi di questi tre paesi condividono ormai, a intensità differenti, lo stesso carattere repellente. La Repubblica islamica iraniana si trova ad affrontare da quasi tre mesi una contestazione radicale delle sue fondamenta religiose, contestazione che ha preso alla sprovvista un apparato repressivo notoriamente agguerrito. Dopo aver accelerato, da quando ha invaso l’Ucraina, una fuga di cervelli che potrebbe rivelarsi devastante a lungo termine, la Russia si riduce per ora a una serie di fallimenti militari che la indeboliscono anche nel suo “estero vicino”.

New York Times:
Vladimir Putin con Xi Jinping

La conferma di tutto ciò è arrivata mercoledì 23 novembre con la riunione agrodolce dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un’alleanza che raggruppa le ex repubbliche sovietiche, dominata da Mosca, nel corso della quale Vladimir Putin è stato guardato di sbieco da dei partner dubitativi. La strategia zero Covid di Xi Jinping ha infine provocato un’esasperazione sociale inedita, meno di sei settimane dopo il Ventesimo congresso del Partito comunista cinese (Pcc), che voleva invece mettere in scena la superiorità del marxismo dal carattere cinese. Prima il tempo sembrava giocare a favore delle potenze revisioniste, quella cinese e quella russa anzitutto. Bastava avere un po’ di pazienza affinché la leadership mondiale passasse dalla loro parte. Efficacia, stabilità: erano queste le presunte virtù dinanzi al disordine identificato nell’ovest. Era ciò che Mosca e Pechino promettevano ai loro cittadini in cambio del loro silenzio, ma queste promesse sono state spazzate via dalla realtà. La molla dell’orgoglio nazionale di cui beneficiava il regime iraniano per portare avanti un programma nucleare concepito come un’assicurazione per la vita non ha più effetto. I danni delle sanzioni internazionali scatenate da questa ambizione sono troppo grandi per gli iraniani, e vanno avanti da troppo tempo. L’avventurismo imperiale di Vladimir Putin ha inoltre messo in discussione il tacito accordo imposto alla popolazione russa, che prevedeva che quest’ultima non avrebbe pagato col sangue e proprio per questo doveva acconsentire. La vittoria avrebbe potuto far accettare questo accordo senza troppi danni, ma sono invece le sconfitte ad accumularsi dallo scorso autunno sui fronti ucraini. Il riorientamento della direzione cinese operato da Xi Jinping, che non fa più della crescita e dei suoi dividendi il cuore della sua politica economica, ha prodotto lo stesso risultato. Questa messa in discussione dell’esortazione all’arricchimento dell’ex numero uno cinese Deng Xiaoping, combinata con il ruolo mantenuto dal Pcc, compromette anche un patto di fiducia consumato dall’elevato tasso di disoccupazione dei giovani cinesi (18 per cento) (…). Nei tre paesi, la chiusura ideologica e l’ossificazione dei regimi producono gli stessi risultati. La direzione iraniana paga il prezzo della decisione strategica di mettere fine alla comparsa del pluralismo incarnata da una corrente presentata come riformista, operante all’interno del sistema. In mancanza di questa valvola, il sistema è oggi rigettato in blocco. In Russia, la longevità di Vladimir Putin ha prodotto il rinsecchimento tipico dei regimi autoritari. Che si traduce in clanismo, soppressione delle voci contrarie e disconnessione dalla realtà. Il terzo mandato ottenuto da Xi Jinping e il suo rapporto davanti al Ventesimo congresso, segnato dalle critiche delle precedenti direzioni, così come l’allontanamento pubblico del suo predecessore Hu Jintao dalla cerimonia di chiusura, confermano a loro volta un principio di calcificazione del Pcc e del suo dirigente. La breve èra dei dissidenti e del movimento in difesa dei diritti appartiene ormai al passato da più di un decennio. Lo sradicamento delle strutture di proteste verticali non impedisce tuttavia i movimenti di contestazione orizzontali. Questi ultimi sono tanto più dinamici perché uniti da una causa che trascende le barriere di contenimento innalzate da questi regimi. Le tensioni sulla questione del velo hanno federato in Iran le minoranze periferiche, curda e baluca, e le metropoli. La strategia zero Covid di Xi Jinping ha svolto lo stesso ruolo in Cina, da Urumqi a Shangai. Il ritorno delle spoglie dei soldati caduti in Ucraina può potenzialmente produrre gli stessi effetti sul territorio russo.
(Traduzione di Mauro Zanon)

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