venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
28.09.2022 Cancellato il film sugli ex detenuti di Guantanamo. 'Razzista e islamofobo'
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 28 settembre 2022
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Cancellato il film sugli ex detenuti di Guantanamo. 'Razzista e islamofobo'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/09/2022, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo "Cancellato il film sugli ex detenuti di Guantanamo. 'Razzista e islamofobo' ".

Informazione Corretta
Giulio Meotti

Jihad Rehab: former Guantánamo prisoners call for documentary to be  withdrawn | Movies | The Guardian
Una scena del documentario

Roma. Meg Smaker, dopo sedici mesi di riprese all’interno di un centro di riabilitazione saudita per terroristi, ha appreso che il suo documentario “Jihad Rehab” era stato selezionato dal Sundance Festival, una delle vetrine cinematografiche più prestigiose al mondo. Il suo documentario era incentrato su quattro ex detenuti di Guantanamo inviati in un centro in Arabia Saudita per disintossicarsi dal radicalismo islamico. The Guardian: “Questo è un film per persone intelligenti che cercano di mettere alla prova i loro preconcetti”. Variety: “Il film sembra un miracolo e un atto di sfida”. Solo alcune recensioni entusiastiche del film. Ma poi registi arabi e musulmani e i loro sostenitori hanno accusato Smaker di “islamofobia” e “propaganda americana”. Alcuni hanno suggerito che la sua razza fosse squalificante, perché una donna bianca non dovrebbe raccontare una storia di uomini arabi. I capi del Sundance si sono scusati. Abigail Disney, nipote di Walt Disney, è stata la produttrice esecutiva di “Jihad Rehab” e l’aveva definito “brillante.” Con le accuse ha sconfessato regista e film: “Ho fallito e non sono riuscita a capire quanto il popolo musulmano sia disgustato dalla rappresentazione di uomini e donne musulmani come terroristi o ex terroristi o potenziali terroristi”. “Il film di Smaker è diventato quasi intoccabile, incapace di raggiungere il pubblico”, fa sapere il New York Times. “Festival di spicco hanno annullato gli inviti e critici nel mondo dei documentari si sono rivolti ai social e hanno fatto pressioni su investitori, consulenti e persino i loro amici affinché ritirassero i nomi dai credits”. Assia Boundaoui, una regista, lo ha criticato sulla rivista Documentary: “Vedere la mia lingua e le terre d’origine delle persone nella mia comunità utilizzate come sfondo per le tendenze del salvatore bianco è nauseante”. Smaker era riuscita a farsi aprire la porta del Centro Mohammed bin Nayef a Riyadh. Ha una palestra e una piscina e insegnanti che offrono arteterapia e conferenze sull’islam, su Freud e sui veri significati di “jihad”, che includono la lotta personale. Da qui il titolo originale del documentario, “Jihad Rehab”. Smaker vi era rimasta per più di un anno. Funzionari sauditi le avevano permesso di parlare con 150 detenuti. Lawrence Wright, che ha scritto il libro vincitore del Pulitzer “The Looming Tower: Al-Qaeda and the Road to 9/11” e ha trascorso molto tempo in Arabia Saudita, ha visto il documentario e lo ha elogiato. “Esplora un grande mistero, ovvero capire coloro che potrebbero aver fatto qualcosa di spaventoso”. Quando il Sundance ha annunciato di aver selezionato “Jihad Rehab” per il suo festival del 2022, la regista Violeta Ayala ha risposto: “Una squadra interamente bianca dietro un film sugli arabi…”. Smaker rivela al New York Times che una società di pubbliche relazioni le ha raccomandato di scusarsi. “Per cosa mi dovrei scusare?”. “Quando io, una donna musulmana praticante, dico che questo film è problematico”, ha scritto Jude Chehab, una documentarista libanese, “la mia voce dovrebbe essere più forte di una donna bianca che dice che non lo è”. Dunque il problema sarebbe che una regista bianca ha fatto un film intelligente che parla di islam. Un vero scandalo!

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT