sabato 27 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
10.11.2020 Philippe Val, ex direttore di Charlie Hebdo: 'Siamo sotto assedio islamista'
Lo intervista Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 10 novembre 2020
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «'La mia vita nei bunker'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/11/2020, a pag.1, con il titolo 'La mia vita nei bunker' l'intervista di Giulio Meotti a Philippe Val.

Immagine correlata
Giulio Meotti

Dal mio bunker accuso gli islamisti e i vigliacchi travestiti da  tolleranti”. Parla l'ex direttore di Charlie Hebdo | Il Foglio
Philippe Val

Roma. "Vivere sotto la protezione della polizia non è come stare in prigione, è vivere in modo diverso, con altri obblighi, una certa pesantezza, e si deve far si che l'ambiente familiare non ne subisca le conseguenze... C'è un vantaggio: non ho più problemi di parcheggio, che a Parigi è un privilegio!". Da quando in Francia il terrorismo islamico è tornato a colpire pesantemente - giornalisti di Charlie Hebdo esfiltrati di casa, la loro vecchia redazione colpita, il professor Samuel Paty decapitato e l'attacco di Nizza-la protezione attorno a Philippe Val è aumentata. Sessantotto anni, sedici alla direzione di Charlie e poi altrettanti sotto scorta, Val è inserito in "Uclat 2", il programma di protezione di cui beneficiano gli ambasciatori di Stati Uniti e Israele a Parigi. Qualche mese fa, quando la minaccia si è intensificata, c'erano 17 gendarmi che si sono alternati a proteggerlo giorno e notte. "Ho dovuto pagare i costi materiali per la sicurezza della mia casa", continua al Foglio Val, autore dell'autobiografia "Tu finiras clochard comme ton Zola" e del saggio "C'était Charlie". "Allarmi, porte blindate, camera di sicurezza, rilevatori di movimento all'esterno, armi... Quando si vive in una democrazia, queste sono strane precauzioni, se ci pensi, solo per poter svolgere il mio lavoro di giornalista e scrittore. Moralmente, quando le minacce si avvicinano, ci possono essere momenti dolorosi. I rumori notturni non hanno più lo stesso significato e bisogna restare calmi ma vigili". Val ha anche una stanza blindata con un walkie talkie e un telefono all'interno. "In caso di attacco, devo chiudermi li con la mia famiglia e aspettare i soccorsi. Dovresti abbattere i muri per entrare". Fu Val, nel 2006, a decidere di pubblicare le vignette su Maometto come gesto di solidarietà verso il giornale danese Jyllands-Posten. Con la vita pagherà il suo successore alla direzione di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, assieme a tanti amici, come Cabu e Wolinski. Racconta il Journal du dimanche che sono numerose le personalità in Francia protette da un alto cordone di sicurezza. Sono scrittori, giornalisti, attivisti. Come Gilles Kepel. Una mattina era a casa a Parigi quando il cellulare prese a suonare. Era un giornalista suo amico: "Mi dispiace dirtelo, ma sei finito in una death list". "Contro islamiste e vigliacchi travestiti da tolleranti". Giles Kepel accese la tv. Un jihadista di nome Larossi Abballa aveva sgozzato un agente di polizia e sua moglie in una città a ovest di Parigi, Magnanville, e poi aveva tenuto un discorso su Facebook in cui invocava l'uccisione di sette personaggi pubblici. I media omisero i dettagli, ma un funzionario del ministero dell'Interno chiamò subito Kepel per dirgli che il suo nome era in cima a quella lista. Oggi c'è una guardia armata davanti all'ufficio di Kepel all'École Normale Supérieure, rue d'Ulm a Parigi. Tutti i giornalisti di Charlie Hebdo sono sotto protezione. Ottanta i poliziotti a loro tutela. Il giornalista Mohamed Sifaoui è protetto da quando ha visto la sua foto e il suo nome sui siti jihadisti accanto alla parola murtad (apostata). Sono nomi importanti, noti all'opinione pubblica. Ma ci sono anche semplici studentesse, come Mila. E poi c'è chi della protezione ne aveva bisogno ma era rimasto fuori dai radar. Uno di questi si chiamava Samuel Paty. "Sono sotto la protezione della polizia da quattordici anni", continua Val al Foglio. "Mi sono abituato a questa situazione. Ogni giorno devo comunicare ai miei agenti di sicurezza i miei movimenti per il giorno successivo. Ma la cosa più importante è questa. In passato, personalità che avevano una voce pubblica erano minacciate dalla censura e dalla violenza del potere politico. Oggi la censura e la violenza vengono dal basso. Sono diffuse tra la popolazione ed è grazie al potere politico democratico che ci protegge che possiamo esprimerci liberamente. E' il mondo alla rovescia. E devo dire che in Francia, la sinistra e la destra che si sono alternate al potere hanno preso molto sul serio la nostra protezione. Devo anche aggiungere che le donne e gli uomini che si sono occupati della mia protezione negli ultimi quindici anni hanno sempre dimostrato discrezione e molta premura nel rendere la mia situazione il più indolore possibile. Sono molto preoccupati che io possa condurre una vita il più normale possibile. Dobbiamo rendere omaggio al ministero dell'Interno, non ci sentiamo abbandonati dalla Repubblica, e siamo oggetto di un'attenzione speciale al più alto livello dello stato". La morte di Samuel Paty Sono tanti ormai questi rifugiati intellettuali all'interno del proprio paese. Il terrorista ceceno di Conflans-Sainte-Honorine, dove ha decapitato Paty, aveva pubblicato duemila tweet. "Siamo alcune decine di personalità quelle particolarmente minacciate in Francia", ci dice Val. "Non conosco il numero esatto, ma è di quest'ordine. Ma ahimè, molti attacchi hanno dimostrato che si è minacciati anche perché si è semplicemente un poliziotto, un ebreo, un insegnante, o chiunque vada a un concerto o passi una serata in terrazza... Non possiamo mettere dei poliziotti a proteggere, per esempio, gli 800 mila insegnanti di Francia. L'attentato a Paty, oltre all'orrore che ha suscitato, ha rivelato al grande pubblico un fenomeno che alcuni di noi denunciano da una generazione. L'assassino è stato motivato da un gruppo di genitori e da agitatori islamisti. Questa è la fine della stupida teoria del lupo solitario'. I colpevoli sono cittadini francesi, integrati nella popolazione, che vivono in un sobborgo, che nutrono un odio verso l'Europa e la Francia in particolare, ma anche verso l'America e Israele, in nome di un'ideologia che si è permesso di diffondere in tutto il paese. Questa ideologia è diffusa da moschee, social network e vari siti di propaganda di al Qaeda e Isis. In sostanza, non si differenzia molto dalla propaganda totalitaria del passato, sia nazista, fascista o stalinista. Gode del sostegno di paesi e movimenti potenti, come i Fratelli musulmani, e della diffusione digitale globale, una configurazione senza precedenti nella nostra storia. Inoltre, pretende di essere sotto Dio, non un dittatore mortale, il che è un ulteriore problema. Non è facile risolvere i problemi con un capo che non viene mai in ufficio... Attaccando un insegnante, il terrorismo continua a disegnare il territorio della sua lotta. Il suo nemico è la conoscenza, lo spirito critico insito nella vita democratica, l'umorismo inseparabile dal diritto alla gioia di vivere e la libertà di scegliere i valori - comuni e intimi - attraverso i quali dare un senso alla nostra vita senza mettere in pericolo la libertà e la vita degli altri. Attaccando i fedeli in una chiesa di Nizza, il terrorismo ci ricorda la sua missione di uccidere i cristiani, come ha fatto con gli ebrei in numerose occasioni in Francia negli ultimi anni. Ma più semplicemente, per dimostrare a una popolazione spaventata che è pronta ad attaccare tutto ciò che non è musulmano. Anche gli imam repubblicani in Francia sono minacciati di morte". Cosa vogliono dalla Francia? "Il loro piano è piuttosto chiaro. Vogliono provocare il caos nello stato di diritto democratico, separando la popolazione di origine musulmana dal resto della popolazione. Sognano una guerra civile in cui cittadini arrabbiati attacchino i loro vicini musulmani. Vogliono che il contratto sociale che delega la violenza legittima allo stato vada in frantumi. Alcuni leader, come Erdogan in Turchia, non vogliono assolutamente vedere lo sviluppo in Francia di un islam repubblicano, capace di accettare che le leggi comuni della democrazia siano al di sopra delle ingiunzioni religiose. Rischierebbe di essere contagioso e di mettere in pericolo il loro potere dittatoriale. Questa è, inoltre, la ragione per cui le nostre élite si sono pesantemente e forse deliberatamente ingannate facendo dell'islamismo un problema sociale. Hanno finto di credere che il benessere scarsamente condiviso fosse la causa principale quando è solo un terreno di coltura locale che si differenzia a seconda che l'islamismo si esprima in Danimarca o in Pakistan, due paesi che non hanno nulla a che fare l'uno con l'altro socialmente ed economicamente. L'islamismo non è un problema per la sociologia benpensante, ma è un problema puramente politico e come tale deve essere compreso e combattuto". Più volte, in saggi e libri, Val ha detto che la libertà di parola oggi è malmessa. "La libertà di espressione in Europa è in una brutta situazione", prosegue al Foglio. "Il paradigma del terrorismo, che sta prosperando anche grazie alle trasmissioni digitali è diventato la norma. Un neo-femminismo, un neo-antirazzismo antiuniversalista, per esempio, ha imparato la lezione, attaccando la creazione artistica, il giornalismo, la letteratura, il cinema, la danza, l'insegnamento di Darwin e della Shoah... Chiunque può ora dire di essere `offeso' in nome del proprio peso, colore, sesso, origine, religione, scelta sessuale, dal titolo di un libro o da una produzione teatrale e scatenare violente polemiche. Ai creatori di ogni tipo è richiesto di essere prudenti, il che va contro ogni processo creativo. Per quanto riguarda l'islam, diversi media in Europa e in America scelgono di non parlare dei suoi eccessi. Il New York Times è solo un esempio fra i tanti. La vigliaccheria si traveste da tolleranza di fronte all'intollerabile. E quando parlano di attacchi come quello contro Charlie o Samuel Paty dicono che condannano, ovviamente, che sono inorriditi, ovviamente, ma... Il problema è questo `ma'... Non c'è ma. Condanniamo, punto. Questo `ma' è la porta d'accesso allo stato d'animo di quella che in Francia abbiamo chiamato `collaborazione' durante la Seconda Guerra Mondiale". II nuovo tradimento dei chierici Si pensa di poter fare a meno della libertà di parola per favorire la pace sociale. "Perdendo la libertà di espressione distruggiamo la pietra angolare che regge l'edificio dello stato di diritto, che garantisce la pace e la libertà per tutti. Senza di essa vivremmo ancora sotto il dominio feudale, la terra sarebbe piatta e l'autorità sarebbe di origine divina e indiscutibile. Privata della libertà di coscienza e della libertà di espressione, una società ritorna alla guerra di tutti contro tutti. Come si dice in francese, senza la `chiave di volta' la cuccia cade sul cane". L'occidente sembra démodé. "La civiltà occidentale non lo è. E' attaccata invece nella sua essenza da varie correnti populiste o fascisto-religiose. L'Europa, che fino alla scoperta dell'America era la fine del mondo, è sempre stata una terra di idee miste e di meticci che vi si sono rifugiati. Solo i meticci sono stati capaci di inventare i diritti universali, mettendo l'appartenenza all'umanità al di sopra di ogni altra appartenenza. Questo è ciò che oggi viene contestato da tutti coloro che rivendicano la purezza etnica, nazionale, morale o religiosa". C'è un nuovo tradimento dei chierici. In Francia hanno preferito sbagliare con J. P. Sartre, piuttosto che avere ragione con Raymond Aron. "Dalla fine della Prima Guerra Mondiale il fenomeno si è diffuso in Europa e in particolare in Francia", ci dice Val. "Molti `chierici', studiosi, filosofi, artisti, scrittori, hanno tradito la loro ragion d'essere - cioè la libertà di coscienza - per aderire alle ideologie totalitarie che all'epoca trionfavano nell'Italia fascista e nella Russia comunista. Il mondo intellettuale europeo non si è ancora ripreso da questa catastrofe. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'istruzione superiore francese è stata in gran parte dominata da un mondo intellettuale che ha coperto i crimini e l'antisemitismo di Stalin. Da buoni eredi del Terrore della Rivoluzione francese hanno trovato una nuova causa da difendere nell'islam, che considerano la religione dei nuovi `dannati della terra', hanno fatto fiorire l'antisionismo nelle università, un antisemitismo che accompagnava benevolmente tutti i segni visibili di radicalizzazione all'interno dell'islam. Questo problema è stato a lungo tabù in Francia. Ma la combinazione del discorso del presidente Macron contro il separatismo e la barbarie degli ultimi attacchi sembra finalmente aprire gli occhi e liberare alcune parole di insegnanti e politici di destra e di sinistra indignati e determinati ad agire. Chi avverte di questo fenomeno mortale oggi è meno solo rispetto a quindici anni fa, quando era sostenuto solo da poche coraggiose figure morali, come l'ex primo ministro Manuel Valls e la filosofa Elisabeth Badinter". Non se ne parla di fare come Salman Rushdie e lasciare Londra per New York. "Non c'è più una tana di coniglio dove nascondersi", dice Val. "E poi amo l'Europa, profondamente. Amo la Francia, amo Parigi appassionatamente. Non voglio andarmene, è la mia casa. Ci sono le persone che amo, le strade che amo, i rumori che amo. Se dovessi andarmene, lascerei li la mia anima". La resa non è contemplabile. "Sono cresciuto con l'idea che il futuro e la realtà in generale sono imprevedibili, che il presente deve essere accolto con il doppio senso della tragedia e della gioia di vivere, che sono le due facce della stessa filosofia. Nei momenti di stanchezza, può essere insostenibile, ma cerco di farlo. Quindi non sono né ottimista né pessimista. Spesso penso che, nel profondo, la stragrande maggioranza delle persone desideri profondamente solo una vita buona, senza paura, senza dolore, senza barbarie. Non sono un credente, l'idea di una divinità benevola è una favola che non mi è di alcun aiuto. D'altra parte, penso, come Spinoza, che l'amore sia più forte dell'odio. Non si è mai al sicuro da una piacevole sorpresa. Noto che il discorso sul separatismo del presidente della Repubblica Macron è stato ben accolto dall'opinione pubblica europea. E' un fatto storico. Nessun capo di stato, allo stesso tempo, ha ancora dato un nome chiaro al nemico e messo in moto un processo legislativo e politico per combatterlo. Certo, è tardi. Molto tardi. Ma ho fiducia nell'Europa. Sono profondamente europeo. In Francia mi sento a casa mia come in Italia o in Svezia. Ahimè, l'Europa è costruita solo dalla tragedia. Ma è in costruzione. Oggi la crisi economica, la crisi sanitaria e l'ascesa dell'islamismo uniscono il popolo europeo, che non ha alcuna possibilità di farcela senza mostrare la solidarietà, l'unità e la fratellanza che ne sono le fondamenta. Lo dice il nostro inno europeo: `Gioia, gioia, tutti gli uomini diventano fratelli dove si posa la tua ala soave'. Per dieci anni ho fatto il reporter da tutto il mondo, da paesi dell'Africa e dell'Asia che soffrono di regimi dittatoriali e corrotti. E ovunque ho incontrato persone che dicevano che la loro unica speranza era che un giorno il loro paese sarebbe stato come l'Europa. Questa simboleggia ancora la speranza per la parte migliore dell'umanità. Abbiamo il diritto di deluderla?".

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT