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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2020 La deriva della 'Cancel Culture'
Commenti di Giulio Meotti, Mauro Zanon

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2020
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti - Mauro Zanon
Titolo: «'Giù le mani dalla mia storia'. Intellettuali francesi a difesa dei monumenti - Derive radicali»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/07/2020 a pag.2, con il titolo " 'Giù le mani dalla mia storia'. Intellettuali francesi a difesa dei monumenti”, l'analisi di Giulio Meotti; con il titolo "Derive radicali", il commento di Mauro Zanon.

Ecco gli articoli:

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Giulio Meotti: " 'Giù le mani dalla mia storia'. Intellettuali francesi a difesa dei monumenti"

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Giulio Meotti

Roma. A Fort-de-France, in Martinica, attivisti hanno tirato giù un cartello stradale con il nome di Victor Hugo, prima di bruciarlo. “Se Victor Hugo è indegno, nessuno è degno”, ha detto la Lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo. La statua di Giuseppina, moglie di Napoleone Bonaparte, è stata decapitata e abbattuta sempre a Fort-de-France. Stessa sorte per il monumento a Victor Schoelcher, il legislatore francese che abolì la schiavitù. La decolonizzazione della memoria avanza non soltanto nelle ex colonie, ma anche a Parigi, dove il primo a subire i colpi dell'iconoclastia è stato Voltaire, la cui statua è stata vandalizzata a Parigi. Poi quella di Hubert Lyautey, ministro della Guerra durante il primo conflitto mondiale. Poi Jean-Baptiste Colbert, autore del documento che fissava le condizioni della schiavitù. Sul piedistallo la scritta “negrofobia di stato”. Adesso arriva un appello di intellettuali francesi: “Giù le mani dalla mia storia”. Firmato dal filosofo Alain Finkielkraut, dal saggista e scrittore Pascal Bruckner, dalla studiosa Bérénice Levet, dall'ex premier Manuel Valls, l'appello, che ha già raccolto 25 mila adesioni, dichiara che “questa importazione del politicamente corretto all'americana è assolutamente disastrosa” e che “rischiamo di intraprendere un processo che non avrà fine, che non può avere fine. Oggi è Colbert, domani è Jules Ferry, perché ha parlato del dovere di ‘civilizzare gli inferiori'. Dobbiamo rileggere la storia nel suo contesto e non proiettare le nostre attuali ossessioni nel passato”. Accusare il passato di razzismo, affermando che tutte le culture sono uguali, “ci impedirebbe di condannare fermamente - e ovunque - escissione, poligamia o matrimoni forzati. Saremo guidati dal trasformare la storia in un processo con un elenco infinito di imputati”. La storia è conoscenza, continuano. “Dobbiamo parlare di schiavitù, ma dobbiamo parlarne in tutte le sue dimensioni. Certo, la tratta degli schiavi è un crimine contro l'umanità. Ma la schiavitù esisteva in Africa, gli africani partecipavano alle tratte. Mentre c'erano undici milioni di deportati ai sensi dei trattati europei, ce ne erano diciassette milioni sotto il commercio di schiavi orientali, schiavi che del mondo musulmano”. Mentre tutte le culture sono macchiate di crimini, “solo la cultura occidentale conosce il dolore della colpa”. Per giunta, la Francia è stato il primo paese al mondo ad abolire la schiavitù nel 1794, è il paese della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, il primo a emancipare gli ebrei. Si processa il passato e con esso gli storici che vanno contro la storiografia antirazzista e antioccidentale. Come ha fatto nel libro “Aristotele a Mont-Saint-Michel” lo storico francese Sylvain Gouguenheim, medievista all'École Normale Supérieure di Lione, reo di aver spiegato che l'eredità greca nel Medioevo fu trasmessa all'Europa occidentale da Costantinopoli, non dal mondo islamico. “La cultura greca non tornò all'occidente solo grazie all'islam: a salvare dall'oblio i filosofi antichi sarebbe stato innanzitutto il lavoro dei cristiani d'oriente, caduti sotto dominio musulmano, e dunque arabizzati”. Fu nello scriptorium dell'antica abbazia che dà il titolo al libro, nel XII secolo, che le opere di Aristotele furono tradotte direttamente dal greco dai monaci copisti. Sono seguite petizioni in serie contro Gouguenheim. Intanto, un altro storico francese, Olivier Pétré-Grenouilleau, si metteva nei guai con il libro “La Traite des Noirs”, in cui spiega: “Il numero degli schiavi cristiani razziati dai musulmani supera quello degli africani deportati nelle Americhe”. Non c'è momento più proficuo per erigere tabù storici che durante la guerra alla storia. Un nuovo ordine che nasce dal disordine. Sul New York Times della scorsa settimana ci si domandava: “Dovremmo cancellare Aristotele?”.

Mauro Zanon: "Derive radicali"

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Mauro Zanon

Parigi. Lo scorso ottobre, l'egeria del femminismo francese Sylviane Agacinsky ha dovuto annullare la sua conferenza sull'“Essere umano nell'epoca della sua riproducibilità tecnica” perché alcuni collettivi della gauche radicale, Solidaires Étudiant.e.s e Riposte Trans, non tolleravano che all'università Bordeaux Montaigne prendesse la parola un'intellettuale ostile alla pma (procreazioni medicalmente assistita) per tutte, minacciando azioni violente in caso di mantenimento della conferenza. Un mese dopo, l'ex presidente della Repubblica, François Hollande, ha dovuto abbandonare sotto scorta l'anfiteatro dell'università di Lille perché un gruppo di studenti facinorosi si era messo a bruciare le copie del suo libro, “Les leçons du pouvoir”, incolpandolo con toni aggressivi di essere il responsabile della precarietà studentesca. Ma si era già capito a inizio 2019 quale fosse l'antifona: con la deprogrammazione de “Le Supplici” di Eschilo alla Sorbona. Il motivo? Le maschere nere indossate dalle donne egizie sono state giudicate “razziste” e vettori di “propaganda coloniale” dai membri del Conseil représentatif des associations noires de France (Cran), i quali hanno impedito agli attori di entrare nell'anfiteatro e di mettere in scena la pièce. Così si sta nelle grandes écoles e nelle università francesi da cinque anni a questa parte, come raccontato in una lunga inchiesta del Figaro. Censure, intimidazioni, minacce, pressioni: per evitare disordini, sempre più istituti sono costretti ad annullare eventi, spettacoli, conferenze, tavole rotonde che non piacciono alle frange radicali della sinistra francese, i movimenti indigenisti e decolonialisti, i quali hanno importato dagli Stati Uniti un'ideologia settaria che sta creando molti danni. “L'influenza delle università americane è sempre più forte negli istituti francesi. Tutto è cominciato in maniera soft cinque anni fa, con i primi ostacoli alla libertà d'espressione, in particolare sulla questione della laicità. Poi, c'è stata una moltiplicazione di ostacoli. La stampa ha reso pubblici alcuni di questi abusi, ma in realtà ce ne sono molti altri di cui non si parla”, ha detto al Figaro Gilles Denis, docente presso l'università di Lilla e membro del collettivo “Vigilance Universités”. Fondato nel 2016 per lottare contro il razzismo e l'antisemitismo che si espande negli atenei francesi, il collettivo di Denis ha allertato a più riprese le autorità politiche sul problema della censura e dell'oltranzismo di certi gruppuscoli che strozzano il dibattito delle idee nelle università. La Francia, si sa, ha da sempre una fibra rivoluzionaria, riottosa, sovversiva, che spesso permette al paese di rompere l'ordine costituito e produrre un avanzamento, un progresso, un'innovazione (l'elezione dell'outsider Macron, che non a caso ha intitolato il suo libro programmatico “Révolution”, e la conseguente rottura del duopolio gollisti-socalisti, è uno degli esempi recenti più fulgidi in questo senso). Ma qui siamo di fronte a una radicalizzazione della lotta che non porta nessun miglioramento, anzi, crea un'atmosfera di terrore malsana, che preoccupa tutti, a prescindere dall'orientamento politico. “L'università si trova di fronte a ogni sorta di censura, è estremamente inquietante”, ha dichiarato al Figaro la filosofa Carole Talon-Hugon, prima di aggiungere: “Ogni volta, vengono superati i limiti. Con questo ritmo, temo che fra qualche settimana un gruppo chiederà che Cartesio non venga più studiato perché aveva paragonato gli animali alle macchine, e con lui Artistotele perché aveva detto che gli schiavi non erano degli uomini. Sarebbe l'inizio della fine”. Olivier Vial, presidente del sindacato studentesco Uni (Union national inter-universitaire), osserva questo fenomeno da diversi anni. “C'è un doppio fattore. Da un lato, l'ascesa di un attivismo e di un militantismo di estrema sinistra, e dall'altra l'emergere dei movimenti indigenisti, decolonialisti, antispecisti, ultrafemministi. Convinti di appartenere al campo del bene - spiega Vial - vogliono togliere la parola a tutti quelli che non la pensano come loro. E ciò avviene con la violenza”. Come gli appelli al linciaggio su Facebook al professore di linguistica Jean Szlamowicz, reo di essere critico verso la scrittura inclusiva. “A volte si è tentati dal non volersi più esprimere su un tema per non avere problemi - dice sconsolato Szlamowicz - E' una pressione permanente”.

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