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Il Foglio Rassegna Stampa
06.07.2020 I nuovi giacobini
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 06 luglio 2020
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Contro il momento giacobino»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/07/2020 a pag.1, con il titolo "Contro il momento giacobino”, l'analisi di Giulio Meotti.

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Giulio Meotti

Ian Buruma - Wikipedia

Ian Buruma

Keith Christiansen lavora da cinquant'anni al Metropolitan Museum of Art di New York, dove è arrivato a diventare il curatore dell'arte europea. Scioccato dalla devastazione e dalla rimozione di monumenti in America e in Inghilterra, Christiansen ha postato un quadro che ritrae Alexandre Lenoir mentre cerca di fermare l'iconoclastia durante la Rivoluzione francese, quando le statue di Notre Dame furono abbattute e la cattedrale rinominata “Tempio della Ragione”. “Alexandre Lenoir che combatte i rivoluzionari fanatici intenti a distruggere le tombe reali a Saint Denis”, ha scritto Christiansen. “Quante grandi opere d'arte sono state perse per il desiderio di liberarci di un passato che non approviamo”. Numerosi membri dello staff del Met hanno inviato una lettera alla direzione per sollecitarla a riconoscere “supremazia bianca e cultura del razzismo sistemico nella nostra istituzione”. Christiansen ora è travolto dalle polemiche. Su Handelsblad, Ian Buruma, fatto fuori dalla New York Review of Books per aver pubblicato un articolo critico del #MeToo, scrive che c'è qualcosa di religioso in questa follia. “Le persone che affrontano la ‘ verità' con un certo scetticismo, o peggio, senso dell'umorismo, sono apostati, eretici, che vanno puniti per la loro incredulità”. La vicenda Christiansen salda due fenomeni distinti e paralleli nella vita pubblica: la rimozione dei simboli e la cancel culture. “Rivediamo il Gesù bianco e le statue nella Cattedrale di Canterbury”. Parole arrivate non da uno dei leader di Black Lives Matter che ha proposto di abbattere le statue di Gesù, ma dell'arcivescovo Justin Welby, a capo della Church of England. Intanto, a Washington, si chiedeva di tirare giù l'Emancipation Memorial di Lincoln.

In meno di un mese siamo passati dalle statue dei confederati a quella dell'uomo che li ha sconfitti e poi a rimuovere il monumento di Colombo dalla città che ne porta il nome, Columbus; e dalle statue dei mercanti di schiavi a Londra alla statua di un eroe della decolonizzazione come Hailé Selassié, fino alla cattedrale di St. Albans che ha tolto un'Ultima cena leonardesca sostituendola con un Gesù di colore. Intanto, casi come quello di Christiansen arrivavano con cadenza giornaliera. Jill Snyder, direttrice del Museo di arte contemporanea di Cleveland da 23 anni, si è dimessa e si è scusata per aver escluso la mostra di un artista che trattava le uccisioni di afroamericani e latinos. Quale curatore avrà il coraggio di far valere le considerazioni artistiche su quelle politico-ideologiche? Il Wall Street Journal lo chiama “momento giacobino. La ghigliottina non è in uso, l'impulso è lo stesso a distruggere carriere. L'ondata di dimissioni, licenziamenti e scuse forzate si muove così velocemente che è difficile tenerne traccia”. Il New York Times istituzionalizzava intanto “1984” di Orwell, stabilendo che la parola “black” vuole la maiuscola, mentre per i bianchi rimarrà il minuscolo. “E' in corso un movimento in cui anche l'Europa si sta americanizzando”, dice al Foglio il filosofo francese Alain Finkielkraut. “L'antirazzismo ha cambiato natura, è passato dal battersi per l'uguale dignità delle persone a essere una sorta di penitenza, l'antirazzismo si è trasformato in un razzismo antibianco e la sola maniera per il bianco di sfuggire alla condanna del proprio ‘privilegio' è pentirsi.

Questo è insopportabile”. “Questa virtue signalling, sorta di indignazione adolescenziale in cui si mette in mostra la virtù, dice al passato che la lotta per raggiungere l'uguaglianza, imperfetta ma migliorata, era superflua e senza scopo” dice al Foglio Harvey Mansfield, politologo che insegna a Harvard, discepolo di Leo Strauss, studioso di Machiavelli e Tocqueville, nonché mentore di una generazione da Mark Lilla a Francis Fukuyama. “Qualsiasi cosa al di fuori della perfetta uguaglianza è malvagia quanto favorire schiavitù e segregazione. Quindi Lincoln, che ha liberato gli schiavi, è attaccato per aver detto che i neri non sono del tutto uguali ai bianchi. Ma lo disse per ottenere l'approvazione di quei bianchi che pensavano che i neri non fossero uguali ma non li volevano in schiavitù. I compromessi politici diventano un peccato come favorire la schiavitù. La logica è di dire che non abbiamo bisogno del passato; le statue possono essere abbattute per celebrare i ‘guerrieri della giustizia sociale', esecutori di conformismo. Abbiamo dato il potere a una cultura moralistica. Il liberalismo è in un vicolo cieco in cui non ci sono più programmi di uguaglianza o di classe da proporre. Lo stato sociale è completo con il programma sanitario. Poiché il governo è sempre più pervasivo, è anche sempre meno popolare. Si passa dalla riforma politica alla trasformazione della cultura. Si cambia il modo in cui le persone pensano, e per far questo, anche il modo in cui parlano. I pronomi, ad esempio. Il femminismo è il marxismo dei nostri tempi”. E qui si arriva alla cancel culture. La Concordia University in Canada aveva invitato Mansfield a parlare. Poi l'università ha revocato l'invito. Il politologo era accusato di “promuovere la mascolinità”, in quanto autore di un famoso saggio, “Manliness”. “La cancel culture consiste nel mettere la museruola a oratori che hanno una opinione contraria”, ci spiega Mansfield. “Significa immoralità e diventa necessario cancellare piuttosto che opporvisi con opinioni più solide. Il risultato è intimidire e punire. Il libro di John Staurt Mill, ‘On Liberty', non è più popolare nelle università. L'affermazione di Mill per cui la verità migliora quando la si mette in discussione è ora respinta. Coloro che si oppongono alla verità offendono donne e minoranze. Offendersi poi è meglio che ascoltare. E' più facile e sicuro”.

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