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Il Foglio Rassegna Stampa
01.07.2020 Israele, la possibile annessione: sui giornali italiani hanno spazio solo le voci contrarie
Commenti di Micol Flammini, Beatrice Guarrera

Testata: Il Foglio
Data: 01 luglio 2020
Pagina: 1
Autore: Micol Flammini, Beatrice Guarrera
Titolo: «L'azzardo del 30 per cento - L'annessione della Cisgiordania non comincerà oggi. Le tappe del piano di Netanyahu»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/07/2020 a pag.I, con il titolo "L'azzardo del 30 per cento", il commento di Micol Flammini; con il titolo "L'annessione della Cisgiordania non comincerà oggi. Le tappe del piano di Netanyahu", il commento di Beatrice Guarrera.

A destra: Benjamin Netanyahu di fronte alla mappa della valle del Giordano

I giornali italiani oggi trattano la notizia delle possibili annessioni di parte dei territori contesi da parte israeliana in due modi.
1. Alcune testate, come Stampa e Repubblica, ignorano completamente la notizia.
2. Altre la riprendono dando voce esclusivamente alle voci contrarie all'annessione e citando spesso Haaretz, noto in Israele per posizioni costantemente di critica al governo. Tra queste Avvenire, Fatto Quotidiano, Osservatore Romano, Manifesto.

Fa eccezione il Foglio, che pubblica due articoli lunghi. Quello di Flammini riporta le opinioni di Yossi Klein Halevy, che si dice contrario all'annessione in questo momento ma non, in linea di principio, a qualsiasi forma di annessione. Quello di Guarrera è invece in linea con i quotidiani che riprendono Haaretz e riporta solo le opinioni di chi si è detto contrario al piano sostenuto dal governo Netanyahu. Nel complesso la stampa italiana tratta la notizia in modo pessimo: non è una novità, quando si tratta di Israele.

Ecco gli articoli:

Micol Flammini: "L'azzardo del 30 per cento"

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Micol Flammini

La tentazione dell'annessione di parte della Cisgiordania non è difficile da capire per un israeliano, lo ammette anche Yossi Klein Halevi, scrittore e condirettore dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, nato negli Stati Uniti e oggi uno dei più influenti intellettuali in Israele. E' una tentazione antica, che ha anche a che fare con un senso intimo di insicurezza perenne, di precarietà geografica. Dalla finestra di Yossi Klein, che vive nella parte nordest di Gerusalemme, si estendono tre entità politiche che lui descrive così: "Lo stato sovrano di Israele, che termina appena oltre la mia finestra; l'Autorità palestinese; poi in lontananza le montagne della Giordania, il tutto a un'ora di macchina da casa mia". Quello che Klein Halevi vede dalla finestra potrebbe cambiare se i piani dell'annessione andranno avanti, il primo ministro Benjamin Netanyahu intende annettere allo stato di Israele circa il 30 per cento della Cisgiordania, una mossa che sembra interessare poco ai suoi stessi cittadini, che in questo momento sono presi da altre questioni, come la crisi sanitaria, e seguono con disattenzione quella che, secondo molti, è ormai un'ossessione del premier e non più una battaglia della nazione. "Soltanto il quattro per cento della popolazione crede che l'annessione sia una delle priorità dello stato ebraico, in questo momento sono tutti presi da altre questioni e da molte difficoltà", dice al Foglio Yossi Klein Halevi. Per lo scrittore israeliano sono tante le motivazioni per le quali bisognerebbe evitare l'annessione che, dopo il piano di pace proposto dall'Amministrazione Trump, ha acceso in Netanyahu questa fretta di muoversi verso est e di portare avanti un progetto che ha molte resistenze interne, a cominciare dal ministro della Difesa Benny Gantz, e tantissime esterne. Ci sono ragioni strategiche, di sicurezza, di alleanze, ma soprattutto ci sono questioni morali contro l'annessione unilaterale della Cisgiordania, dice lo scrittore che racconta di aver trascorso vent'anni, dalla Seconda Intifada, a difendere Israele soprattutto "nei templi del pensiero liberal e di fronte ai leader progressisti, un pubblico incline a dare la colpa agli israeliani" per la situazione di tensione nell'area.

"Una delle più grandi risorse del nostro stato è la nostra credibilità morale. Con credibilità ci siamo sempre dimostrati pronti a negoziare, di fronte alla comunità internazionale noi eravamo quelli che ragionavano sulle offerte che ci venivano fatte. Mentre noi dicevamo di sì alle proposte di Clinton, Arafat rispondeva con quattro anni di attacchi terroristici. La nostra credibilità morale è data dal fatto che siamo stati sempre a favore di tutte le opzioni, compresa l'eventuale creazione di uno stato palestinese, noi abbiamo sempre resistito alla tentazione di determinare con la forza la natura giuridica dei territori" e l'annessione, dice Klein Halevi, sarebbe questo: agire come Israele non ha mai voluto agire. "Questo era il nostro modello, ed ora stiamo mettendo in pericolo la nostra credibilità morale. Il progetto di Netanyahu di annettere unilateralmente parte di Giudea e Samaria ha anche un lato ironico. Se Israele procede con l'annessione, se estende la legge israeliana agli insediamenti, non ci saranno grandi cambiamenti sul piano pratico, non cambierà la realtà sul campo, piuttosto la nostra posizione nella comunità internazionale. La nostra moralità, appunto. Con l'annessione si creerà una dinamica internazionale in cui Israele sarà sempre di più sulla difensiva". Non vede risvolti positivi dal piano che Netanyahu avrebbe voluto attuare da oggi, ma che invece è stato rimandato. Eppure Israele si è sempre ritrovata di fronte ai "no" dei palestinesi, alla loro contrarietà di fronte a qualsiasi forma di negoziato, sembra impossibile trovare un compromesso e l'annessione sembra quasi l'unica strada, l'unica alternativa. Non è d'accordo Yossi Klein: "Non sta a noi cambiare il modo di pensare palestinese e non è questo il momento di giocare con lo status quo. Ora Israele dovrebbe pensare a rafforzare le sue relazioni internazionali. Questo è un momento storico in cui la paura condivisa dell'imperialismo iraniano sta mettendo insieme gli stati arabi e noi, è un momento importante per tutto il medio oriente e l'annessione è una risposta selvaggia".

In una lettera inviata a Benny Gantz e al ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi dalle colonne del Times of Israel, Klein Halevi chiede ai due esponenti del governo di guardarlo con attenzione quel piano di pace da cui tutto è partito, perché quel piano non è l'invito a un'annessione unilaterale sotto qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, è piuttosto un suggerimento, l'invito a negoziare e trovare un accordo. "La nostra responsabilità ora è fare di tutto per sostenere l'integrità di un piano che abbiamo approvato, i no lasciamoli ai palestinesi. Io credo che sia un buon piano, soprattutto se lo interpretiamo come un patto di transizione e non come uno status quo definitivo per il futuro. Ma potrebbe essere un punto di svolta per far ripartire i negoziati. Quello che trovo davvero positivo di questo piano è la sua capacità di suonare come un campanello d'allarme, sia per la leadership palestinese sia per i leader della destra israeliana. Il piano deve far capire ai palestinesi che ogni volta che rifiutano un accordo, la possibilità per loro di vedere nascere uno stato si fa sempre più piccola. La destra israeliana invece deve comprendere che anche un'Amministrazione americana comprensiva, repubblicana, vicina alle loro idee sostiene la necessità di creare uno stato palestinese, allora anche per loro è arrivato il momento di fare i conti con la realtà". A preoccupare Yossi Klein è anche la sicurezza dello stato ebraico, "l'idea di procedere con l'annessione mette in pericolo la cooperazione che abbiamo con l'autorità palestinese, che è molto importante per la sicurezza israeliana, e anche l'accordo di pace con la Giordania. Mantenere posizioni militari nella Valle del Giordano è essenziale per proteggere Israele dagli attacchi che vengono da est. E, per mantenere una presenza di sicurezza sul confine orientale di Israele, non è necessaria l'annessione". Le speranze di Klein Halevi che fosse la parte blu e bianca del governo con il suo leader Benny Gantz a cambiare le sorti di questo processo si sono trasformate in delusioni. Anche Gantz, quando ancora era l'uomo dell'opposizione, prima della terza elezione in un anno, aveva approvato il piano di Trump, era stato anche accolto alla Casa Bianca dal presidente americano - gli aveva chiesto però di non sottoporlo allo strazio di una photo opportunity accanto al rivale Bibi, ancora non sapeva che avrebbe acconsentito a formare un governo di unità nazionale - ma ha cercato di non pronunciarsi mai apertamente a favore dell'annessione. In queste ultime settimane aveva chiesto a Netanyahu di attendere, di pensare alla crisi sanitaria, ma il primo ministro aveva risposto che non spettava a lui decidere, ma alla Knesset, il Parlamento. "Sono molto deluso da Gantz, potrebbe fare molto, dovrebbe dire con fermezza che non è questo il momento di danneggiare le relazioni internazionali di Israele, i suoi rapporti economici. Capisco perché ha accettato di formare un governo con il Likud, il partito di Netanyahu, ha evitato al paese una quarta elezione con poche speranze di portare a un risultato netto, ha risparmiato al paese una campagna elettorale durante una pandemia, e gli sono grato. Ma credo sarebbe il momento di sfruttare la sua posizione". Ieri , dopo un incontro con l'ambasciatore americano in Israele Friedman e l'inviato speciale per il medio oriente Avi Berkowitz, Netanyahu ha detto che il governo continuerà a lavorare sulla questione della sovranità in Cisgiordania, la decisione è stata rimandata, segno del fatto che forse anche il sostegno degli Stati Uniti non è più così sicuro. "Credo che questo indichi una certa dose di caos dentro all'Amministrazione americana. C'è una fazione che sostiene l'annessione e un'altra che la vede come un'alterazione del piano di pace. Penso però che uno dei motivi per i quali Washington ha detto di essere a favore abbia a che fare con la frustrazione che deriva dal fatto che la leadership palestinese non ha nemmeno accettato di incontrarsi per discutere il piano. C'è molta rabbia, da tutte le parti. Ma non può essere la rabbia il motore della nostra politica". Non per Israele, dice Yossi Klein Halevi, la credibilità morale di un popolo che per decenni ha mostrato la sua disponibilità a negoziare sul territorio conteso non può reggersi sulla rabbia.

Beatrice Guarrera: "L'annessione della Cisgiordania non comincerà oggi. Le tappe del piano di Netanyahu"

Gerusalemme. "Il governo continuerà a lavorare sull'annessione nei prossimi giorni": cosi il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato ieri, alla vigilia del primo luglio. Era questa la data a partire dalla quale, secondo quanto stabilito dall'accordo di governo tra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, poteva essere presentato in Parlamento il progetto di legge per l'annessione a Israele di parte della Cisgiordania. Già lunedì il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz aveva affermato che quella del primo luglio non era "una data sacra" per l'annessione. Le due dichiarazioni, giunte a seguito di due incontri separati con l'inviato del presidente Trump Avi Berkovitz e l'ambasciatore degli Stati Uniti David Friedman, sembrano dunque suggerire la volontà di Israele di guadagnare tempo. "Qualunque cosa che non abbia a che fare con la lotta al coronavirus può aspettare", aveva detto Gantz. Israele, sebbene si trovi a dover fare i conti con un aumento esponenziale di contagi da Covid-19 nell'ultima settimana, non sembra voler rinunciare ai suoi piani di annessione. Come e quando verranno attuati concretamente però è difficile dirlo. Secondo alcune indiscrezioni, riportate venerdì scorso dalla tv israeliana Channel 12, Israele avrebbe comunicato al presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas di aver ridimensionato i suoi piani di annessione, limitandosi a due o tre insediamenti israeliani, escludendo la Valle del Giordano. Lo ha riferito un alto funzionario di Ramallah, secondo il quale la notizia sarebbe giunta dal re Abdallah II di Giordania, a seguito dell'incontro avuto in settimana con Yossi Cohen, il capo del Mossad, i servizi segreti israeliani. Non è chiaro quali saranno le prossime mosse di Israele, ma nel caso in cui venisse dichiarata l'annessione, potrebbero verificarsi momenti di tensione e già negli ultimi giorni la polizia sembra essere aumentata per le strade di Gerusalemme. "L'annessione ci costerà sangue" diceva una scritta lasciata lunedì alla base di una fontana a Petach Tiqwa, cittadina vicino a Tel Aviv. La fontana, che si trova nella piazza intitolata un anno fa a Trump in onore del suo impegno per aver riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele, è stata riempita di liquido rosso sangue. E' solo una delle iniziative di protesta contro l'annessione. In Israele in Piazza Rabin a Tel Aviv si sono già svolte due grandi manifestazioni contro l'annessione, organizzate dai partiti israeliani di sinistra, a cui hanno preso parte migliaia di persone. In Cisgiordania la più grande manifestazione contro l'annessione si è svolta lunedì 22 giugno nella Valle del Giordano, organizzata dall'Autorità palestinese e dal partito Fatah guidato dal presidente Mahmoud Abbas. Tra i partecipanti di rilievo anche l'inviato speciale dell'Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, il capo missione Ue per la Cisgiordania e Gaza Sven Kuhn von Burgsdorff, e altri tra ambasciatori e consoli.

L'accordo tra Gantz e Netanyahu sull'annessione prevede il pieno consenso degli Stati Uniti in questo processo e l'attivo coinvolgimento della comunità internazionale. Sarà anche per questo che il premier israeliano Netanyahu ha fretta di chiudere la questione prima di novembre, in cui si svolgeranno le elezioni negli Stati Uniti e l'attuale Presidente Donald Trump, suo fido alleato, potrebbe non essere rieletto. Il progetto di annessione di parte dell'Area C (cosi chiamata dagli "Accordi di Oslo"), e quindi di circa il 30 per cento della Cisgiordania, si inserisce proprio sulla linea del "Piano di Pace" proposto da Trump, che prevede l'annessione della Valle del Giordano e il riconoscimento di uno stato palestinese.

Le reazioni internazionali Sembra che lo stesso presidente degli Stati Uniti Donald Trump voglia intervenire direttamente con un "grande annuncio" sui piani di annessione. Lo ha riferito mercoledi scorso Kellyanne Conway, principale consigliera di Donald Trump, specificando che il presidente americano "sta provando a essere un agente di pace per il medio oriente". La scorsa settimana il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto invece a Israele di abbandonare i suoi piani di annessione di parte della Cisgiordania occupata. Anche Michelle Bachelet, alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato lunedì che "qualsiasi annessione, sia che si tratti del 30 per cento della Cisgiordania, sia che si tratti del 5 per cento è illegale". L'Italia si è detta pronta a lavorare per prevenire l'annessione e passi unilaterali, come ha riferito la settimana scorsa la viceministro degli Affari esteri Marina Sereni, in occasione di un incontro alla Farnesina, con una delegazione di otto ambasciatori della Lega araba. Proprio la Lega Araba nella risoluzione 8522, emessa il 30 aprile al Cairo, ha dichiarato l'annessione come un "crimine di guerra". Mercoledì scorso Ahmed Aboul Gheit, segretario generale dell'organizzazione composta dai 22 paesi arabi, ha affermato che l'annessione di parti della Cisgiordania infiammerebbe le tensioni, metterebbe in pericolo la pace in medio oriente e potrebbe innescare "una guerra religiosa dentro e fuori la nostra regione". Anche il re Abdallah II di Giordania (con oltre il 50 per cento della popolazione di origine palestinese) ha avvertito da tempo che se Israele proseguirà con il suo piano di annessione, entrerà in conflitto politico e diplomatico con il regno ashemita.

L'opposizione interna Oltre all'opposizione esterna, Netanyahu deve anche affrontare l'ostilità al suo progetto da parte di alcune componenti della società israeliana. Nei territori che Netanyahu vorrebbe annettere a Israele, oltre a circa 100 mila palestinesi, vivono infatti 450.000 coloni negli insediamenti israeliani. Secondo molti di loro, un voto all'annessione degli insediamenti potrebbe poi portare al riconoscimento di uno stato palestinese, così come previsto dal Piano di Trump. Riconoscimento per loro inconcepibile, guidati dall'idea che la biblica "Terra di Israele" appartenga soltanto agli ebrei. "Non accetteremo mai la creazione di uno stato palestinese", sostiene David ElHayani, presidente di Yesha, il consiglio delle colonie ebraiche in Cisgiordania, che per la sua campagna di manifesti ha scelto lo slogan: "Sovranità - Fallo nel modo giusto!". Tra gli stessi coloni, circolano però anche idee differenti, come nel caso di Oded Ravivi, il capo del consiglio locale di Efrat che si è detto molto più possibilista sull'accettare l'annessione e il Piano di Trump. "Non possiamo dire di no a tutto avrebbe detto a fine maggio, secondo il quotidiano Haaretz - Penso che il Piano si riferisca innanzitutto a ciò che è possibile in un prossimo futuro, ovvero estendere la sovranità, e quindi da li si potrà iniziare a negoziare e vedere il resto".

L'Autorità palestinese L'Autorità palestinese da parte sua rifiuta ogni trattativa sul tema e già da un mese ha annunciato la sua decisione di rinunciare agli accordi con Israele e con gli Stati Uniti, a causa della volontà di annessione e del Piano di Pace di Trump. "Da istituzione ad interim, l'Autorità palestinese passerà ad una manifestazione dello stato sul campo con un Consiglio di fondazione, una Dichiarazione costitutiva - ha affermato il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh in una conferenza stampa del 9 giugno — La Palestina si estenderà lungo i confini del 67 con Gerusalemme capitale". Giovedì scorso il portavoce delle brigate Izzaldin al Qassam, braccio armato di Hamas, ha dichiarato in un comunicato che l'annessione, se attuata, verrà interpretata come una "dichiarazione di guerra". Sabato, Hamas ha fatto sapere che gli ultimi bombardamenti da parte di Israele nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di alcuni razzi venerdì notte, "aumentano la nostra determinazione a gestire il piano di annessione". Nel frattempo i servizi di sicurezza palestinesi hanno distrutto documenti segreti, temendo possibili incursioni israeliane nei loro uffici, cosi come avvenne nel 2000 durante la Seconda Intifada. Lo conferma anche una fonte interna ai servizi di sicurezza che ha riferito all'AFP in condizione di anonimato di aver ricevuto "ordini dall'alto, di distruggere i documenti riservati in nostro possesso". I documenti sarebbero stati salvati su dispositivi elettronici, prima che le copie cartacee fossero distrutte. Il Presidente dell'Autorità Palestinese Abbas, in un discorso in videoconferenza davanti al parlamento arabo (l'organo della Lega araba), ha affermato che se il piano di annessione venisse attuato, sarebbe il momento in cui Israele dovrebbe "assumersi le proprie responsabilità sui territori occupati in conformità con la Quarta Convenzione di Ginevra”. Dichiarazione che - secondo quanto detto da un ufficiale dell'Ap al quotidiano Jerusalem Post - sarebbe un chiaro messaggio della sua intenzione di sciogliere l'Autorità palestinese nel caso in cui venisse attuato il piano di annessione. Secondo l'agenzia di stampa palestinese Wafa, Israele si starebbe preparando da tempo all'annessione. Sotto accusa sono le demolizioni di abitazioni e pozzi di acqua nella zona della Valle del Giordano, intensificate negli ultimi anni, oltre che il via libera alla costruzione di colonie illegali sempre più numerose.

L'eredità di Bibi Secondo una analisi del quotidiano Haaretz, ci sono alcuni fattori specifici che determineranno la buona riuscita del progetto di annessione di Netanyahu. L'annessione potrebbe essere la sua eredità politica, pagata a un prezzo nemmeno cosi alto, visto che la comunità internazionale è concentrata al momento su altri problemi (pandemia in primis). La possibilità di scaricare la colpa sui suoi avversari politici in caso di fallimento del piano è una carta a suo favore, cosi come l'eventualità che questo diventi motivo di rottura del suo accordo di governo con il partito di Gantz. La questione dell'annessione è inoltre un ottimo diversivo che allontani i cittadini dal pensiero del suo processo imminente per corruzione e dalla sua mancanza di strategia per sopperire alla crisi post Covid-19. In ultimo ma fondamentale, sarà poi il fattore "Americani": quale posizione assumerà il presidente Trump e davvero Netanyahu potrebbe mai rinunciare al suo piano?

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