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Il Foglio Rassegna Stampa
22.06.2020 Usa: se il politicamente corretto uccide la libertà
Analisi tratta dal Wall Street Journal

Testata: Il Foglio
Data: 22 giugno 2020
Pagina: 2
Autore: la redazione del Foglio
Titolo: «Manca poco, e la libertà di stampa sarà come in una commedia di Havel»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/06/2020 a pag.2, con il titolo "Manca poco, e la libertà di stampa sarà come in una commedia di Havel”, l'analisi tratta dal Wall Street Journal.

Lo scenario orwelliano di una censura del pensiero e della parola si fa sempre più vicino. E' l'esasperazione del politicamente corretto a condurre al baratro, paradossalmente proprio in nome di quei valori di tolleranza che, negli ultimi due secoli, sono stati spesso argine alla discriminazione e al sopruso. Ma è la loro esasperazione, come mostra l'esempio americano riportato dal Foglio, a rovesciarne il senso.

Ecco l'articolo:


politically correct Archivi - agb
In nome di un equivoco concetto di "tolleranza" viene uccisa la libertà di parola

Nel 1789 i padri fondatori americani, ben consapevoli del bagno di sangue che aveva travolto l'Europa per secoli, hanno creato un sistema in cui le divergenze sarebbero state risolte consentendo ai cittadini di trasformare le proprie opinioni in voti. La maggioranza avrebbe vinto le elezioni. Poi, dato che le divergenze politiche non finiscono mai, sarebbero state convocate nuove elezioni. I padri fondatori hanno creato una Carta dei diritti per tutti i cittadini includendo ciò che hanno chiamato, con grande chiarezza, `la libertà di stampa'. Nulla dura in eterno, ed è così che oggi in America è tornata di moda l'idea preliberale di risolvere le dispute attraverso la coercizione. Nell'ultima settimana, il capo della pagina delle opinioni del New York Times, e i direttori del Philadelphia Inquirer, della rivista Bon Appétit e del sito per giovani donne Refinery 29 sono stati licenziati dalla redazione e dalla proprietà per avere espresso delle opinioni discordanti da quelle dei manifestanti. E' impossibile non cogliere l'ironia di questi avvenimenti. I censori non sono manifestanti universitari ma giornalisti professionisti, una categoria che per quasi 250 anni è stata protetta dal diritto costituzionale di esprimere la propria opinione su tutto. Storicamente il giornalismo americano è sempre stato il luogo più libero immaginabile e per questo ha attratto degli individualisti determinati e spesso strambi. All'improvviso, sembra diventato l'opposto di tutto ciò. L'idea di poter perdere il proprio posto di lavoro, come è successo al direttore dell'Inquirer, a causa di un editoriale intitolato "Anche i palazzi contano" (in inglese "Buildings Matter, Too", ndt) è qualcosa su cui ragionare. Sembra piuttosto un racconto di fantasia che ti aspetteresti di leggere in un libro di satira politica, come la `Fattoria degli animali' di George Orwell. Il tema non è se il razzismo è una caratteristica endemica negli Stati Uniti. Il punto è che molti intendono sostituire la libertà di stampa americana con un sistema di censura coercitivo, che ricorda i meccanismi in vigore nell'Europa dell'est durante la Guerra fredda. Il film `Le vite degli altri' del 2006 racconta come la Stasi, l'onnipresente apparato di sicurezza della Germania dell'est, perseguita uno scrittore anticonformista, costringendo anche i suoi amici ad abbandonarlo. Nell'Unione sovietica e nell'Europa dell'est molti scrittori facevano circolare le loro idee attraverso la letteratura clandestina (Samizdat) per sfuggire al pensiero unico del regime. Nella recita di Vaclav Havel 'Memorandum' del 1965 un impiegato della Repubblica Ceca diventa un 'osservatore del personale', il cui compito è quello di controllare i suoi colleghi. Di questo passo, non sarà più possibile vedere le recite di Havel nei teatri americani. In epoca sovietica molti intellettuali scrivevano favole o allegorie. Alcuni obietteranno che la nostra epoca non può essere paragonata al periodo comunista. Ma la convinzione ideologica e psicologica dei social media ricorda quella di un partito politico. Oggi gli slogan sui social media, come il `silenzio è violenza', riducono il pensiero indipendente a un semplice promemoria. Anziché avere la Stasi, al giorno d'oggi i censori di Twitter tengono d'occhio i dissidenti. Anni fa i genitori avevano capito che le piattaforme come Facebook venivano usate per umiliare e isolare le ragazze adolescenti. Sarebbe ipocrita negare che la stessa macchina dell'odio viene usata per imporre il conformismo politico. Sarebbe ugualmente ipocrita negare che questa etica prevede che la perdita del proprio posto di lavoro sia il prezzo da pagare per chiunque si oppone al pensiero unico. Questo processo inizia ad assomigliare a un'esecuzione sommaria seppure non letale. Il filosofo marxista Herbert Marcuse ha sostenuto nel 1965 che alcune idee, che lui associava alla destra, erano così ripugnanti che meritavano di essere soppresse attraverso ciò che lui chiamava `la rimozione della tolleranza'. Marcuse è un idolo della sinistra americana. Questa strategia intimidatoria è ingegnosa perché sfugge dal controllo della Corte suprema, che in passato ha sempre tutelato le opinioni impopolari. Ad esempio, nel 1977 i giudici hanno difeso la libertà di espressione dei neonazisti che volevano marciare a Skokie in Illinois. Ma se le persone si sono messe a tacere da sole, come sta accadendo oggi, non c'è alcuna espressione e quindi non c'è alcun problema. La libertà di stampa non è morta negli Stati Uniti ma, oggi più che mai, ha un grande bisogno di essere difesa attivamente.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

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