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Il Foglio Rassegna Stampa
07.05.2020 La battaglia contro il virus: Israele e Europa, modelli a confronto
Commenti di Giulio Meotti, Paola Peduzzi, Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 07 maggio 2020
Pagina: 4
Autore: Giulio Meotti - Paola Peduzzi, Micol Flammini
Titolo: «Il successo di Israele - E la ripartenza come va?»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/05/2020 a pag.4, con il titolo "Il successo di Israele", l'analisi di Giulio Meotti; a pag. I, con il titolo "E la ripartenza come va?", l'analisi di Paola Peduzzi, Micol Flammini.

Ecco gli articoli:

Covid-19, dopo la malattia siamo protetti contro il virus? - Il ...

Giulio Meotti: "Il successo di Israele"

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Giulio Meotti

Roma. Moshe Bar Siman-Tov, il direttore generale del ministero della Sanità israeliano, in tv ha detto: “Eravamo a un ritmo in cui il numero di nuovi pazienti raddoppiava ogni tre giorni… C'è stato un solo giorno in cui il numero di pazienti gravemente malati è aumentato del 50 per cento. Se questa tendenza fosse continuata, oggi avremmo oltre 600 mila persone malate, oltre 10 mila sotto ventilatore e molte migliaia di persone che sarebbero morte”. Israele ha invece “sconfitto il virus”, come ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Basta contare il numero di morti per milione. Israele ne ha 20, molto dietro Francia (302), Regno Unito (237), Italia (391), Spagna (437), Belgio (490) e Olanda (215). Non è prematuro affermare che, tra i paesi occidentali e assieme a Nuova Zelanda e Australia, Israele è stato l'unico ad aver contenuto la pandemia. Il tasso di mortalità pro capite in Israele è tra i più bassi dell'Ocse. Il sistema sanitario israeliano non ha mostrato segni di crisi. Israele è stato il primo paese occidentale ad applicare quarantene mirate e restrizioni di viaggio. Israele ha condotto 17 test ogni mille persone, come la Germania (16) e molto più della Corea del Sud (10), della Francia (5) e del Regno Unito (4). Gli over 70 e 80 sono stati molto protetti e Israele non ha assistito alla devastazione nelle case di riposo, routine nei paesi avanzati colpiti dal virus. Israele ha affrontato la crisi anche come un problema di sicurezza, coinvolgendo i suoi servizi segreti e l'intelligence per tracciare l'infezione violando la privacy dei cittadini che lo hanno accettato senza mugugni. Israele non ha chiesto l'aiuto soltanto del Mossad per trovare forniture mediche indispensabili all'estero. Il comandante della segretissima unità d'élite Sayeret Matkal è stato arruolato un mese fa per condurre più test giornalieri. E Gal Hirsh, che guidò l'esercito israeliano contro Hezbollah nelle terribili battaglie di Bint Jbeil e Maroun al Ras, ha assunto il comando della quarantena nelle città ultraortodosse, le più colpite dalla pandemia. Meno di otto settimane dopo aver avvertito che la pandemia avrebbe potuto uccidere decine di migliaia di israeliani, il primo ministro Netanyahu lunedì notte ha detto alla nazione che Israele ha tenuto il virus sotto controllo con 235 vittime. “Una grande storia di successo”, ha detto Bibi, mentre il paese tornava a una forma di normalità. In Svezia e in Belgio, paesi con un numero di abitanti simile a Israele, i morti sono stati rispettivamente tremila e ottomila. “Nessuno sa cosa accadrà dopo”, ha detto Bibi, “non i leader mondiali, né gli esperti. Come con un pilota che controlla gli indicatori, ‘se si accende una luce rossa, dovremo cambiare la politica'”. Netanyahu nel frattempo sigillava la propria sopravvivenza politica con un accordo di grande coalizione con Benny Gantz, che gli consentirà di tenere la premiership per i prossimi diciotto mesi. Due giorni fa, da Israele, che ha il più alto numero di ricercatori pro capite al mondo con 17 ogni mille abitanti (quasi il doppio degli Stati Uniti) sono arrivate due notizie scientifiche che hanno fatto il giro del mondo. Israele sta preparando un test sierologico nazionale, “uno dei maggiori sforzi compiuti per determinare la prevalenza di anticorpi al Covid-19”, scrive il New York Times. “Questa è la missione più importante: prepararsi alla prossima ondata” ha detto Moshe Bar-Siman-Tov. L'affollatissima via Dizengoff di Tel Aviv ieri era piena. Fra due settimane Israele valuterà gli effetti della riapertura. Israele ha speso quasi 40 milioni di dollari per 2,4 milioni di test da due fornitori, gli Abbott Laboratories negli Stati Uniti e l'italiana Diasorin. Intanto, ha isolato un anticorpo chiave nel suo principale laboratorio, l'Istituto israeliano per la ricerca biologica (Iibr). Lo ha indicato il ministro della Difesa, definendolo “un passo importante” verso una possibile terapia per il Covid-19. A metà aprile, Netanyahu era stato irriso quando aveva dichiarato, citando un rapporto del Deep Knowledge Group, che Israele è il paese più sicuro durante questa epidemia. Forse aveva ragione.

Paola Peduzzi, Micol Flammini: "E la ripartenza come va?"

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Paola Peduzzi

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Micol Flammini

exit strategy è una danza che stiamo imparando tutti quanti e tutti più o meno insieme, in questo nostro corso accelerato antipandemia con mascherina e curve da confrontare. Ci sono alcune cose che abbiamo già imparato, sono gli strumenti fondamentali per ballare, tutù e scarpette, quelli che Tomas Pueyo, inventore della teoria del “martello e della danza” che ci ha spiegato i rudimenti della danza, chiama “i passi di base che tutti possono seguire”. Per le persone sono: mascherine, igiene, educazione civica alla distanza. Per i governi sono un passo di “intelligence” e uno “di azione”: il primo comprende i test (trovare chi è infetto) e il contact tracing (risalire la catena del contagio); il secondo comprende l'isolamento e la quarantena (togliere i contagiati dalla collettività). Pueyo, che passa le sue giornate a fare analisi comparative di exit strategy - è la nuova curva che conta, questa: come vanno le ripartenze - dice che questi passi di danza sono necessari tutti insieme e in fretta, “ogni giorno perduto” ha un costo enorme: lui che picchiava duro col martello con isolamenti rigorosi ora dice di fare in fretta il corso di base, e poi mettersi a ballare. Sapendo che si va per tentativi, che si deve avere l'accortezza di comprendere i propri errori in fretta, che capricci e testardaggini non pagano, perché il virus è più capriccioso e testardo di noi. E come fanno le ballerine, lo sguardo deve essere alto, perché quel “costo enorme” è quello che tutti i paesi dovranno affrontare: la Commissione europea lo riassume in un collasso del pil del 7,7 per cento, un disastro economico-sociale che i leader europei dovranno saper gestire. Lo scenario più tremendo. Prima di cominciare a vedere come vanno le danze europee, una piccola segnalazione catastrofica. Un economista della Federal Reserve di New York, Kristian Blickle, ha realizzato uno studio sull'impatto della influenza spagnola in Germania: avete capito, “la spagnola ebbe un effetto forte sulla percentuale di voti andata agli estremisti, in particolare il partito nazional-socialista”. La spagnola, che colpì l'Europa dal 1918 al 1920, contribuì all'ascesa del nazismo. I cambiamenti nei voti favorirono molto di più il partito nazional-socialista rispetto ai comunisti, e per spiegare questo spostamento Blickle individua alcune ragioni: i giovani sopravvissuti ma senza risorse erano i più attivi e i più arrabbiati; il risentimento ebbe un ruolo enorme, in particolare quello “verso gli stranieri sopravvissuti” e verso gli ebrei: “La correlazione tra l'influenza, la mortalità e le percentuali di voto conquistate dai nazisti è più forte nelle regioni in cui storicamente si accusavano le minoranze, in particolare gli ebrei, di aver causato le pandemie fin dal medioevo”. Pur con toni effettivamente spaventevoli, lo studio della Fed di New York sottolinea la necessità dello sguardo fiero di cui parlano molti altri studiosi: oggi l'inettitudine e l'impreparazione dei leader nazionalisti è evidente, ma lo scontro più duro ci sarà quando bisognerà trovare risposte per un mondo impoverito e impaurito (è già qui, attrezziamoci). Quanto allo spavento che abbiamo preso noi leggendo questo studio, Blickle ci ha rassicurato così: “Questo studio è in una sua fase iniziale. La pandemia influenzale del 1918 fu unica nella nostra storia recente, fu allo stesso tempo estremamente letale e arrivò in un momento di sconvolgimenti politici globali, dopo il collasso di parecchie monarchie. Non intendo certo fare connessioni con la crisi attuale”. Così un pochino più sollevate, siamo andate a vedere come vanno i balletti nelle capitali europee, raccogliendo dati, voci, studi, risposte alla domanda oggi più importante: e la tua ripartenza come va? Vienna. L'Austria è stata tra i primi paesi europei a imporre il lockdown, è stata rapida anche se ha impiegato del tempo a chiudere Ischgl, il resort sulle Alpi che si era trasformato in un focolaio pericoloso per tutta l'Europa. La comunicazione da parte del governo è stata chiara: non abbiamo tantissimi casi, ma è meglio prevenire, chiudiamo. Questa strategia ha pagato - dallo staff del cancelliere Kurz dicono che per combattere il coronavirus non bisogna essere arroganti - e dopo 29 giorni di isolamento l'Austria è stata la prima a riaprire. Ha iniziato con i negozi più piccoli, fino a 400 metri quadrati, a metà aprile e il primo maggio Vienna ha ripreso la sua nuova vita ed è stata tra le prime capitali europee a sperimentare il new normal, che tutti cerchiamo di definire. Dall'inizio del mese hanno riaperto i parchi, è consentita l'attività sportiva all'aperto - chi gioca a tennis dovrà aspettare ancora un po' per i doppi - i parrucchieri, i centri estetici, i centri commerciali. I bar, i meravigliosi caffè viennesi, e i ristoranti riapriranno il 15 maggio, con nuove norme e nuove restrizioni, anche i servizi religiosi potranno riprendere a metà mese e anche le scuole, si ricomincia dai più piccoli. Ci si potrà spostare per i viaggi di lavoro e il governo di Kurz, amato e apprezzato sempre di più, sta cercando dei suoi canali bilaterali, paese per paese, per riprendere i contatti prima con chi ha risolto la crisi, poi penserà anche agli altri. Vienna si sta organizzando anche per la cultura, per riportare le persone a teatro e al cinema - vanno bene i drive-in ma a Vienna sono un po' complicati - le sale dovranno ospitare meno persone, gli spettatori dovranno indossare la mascherina che in Austria è obbligatoria sui mezzi pubblici e in tutti i luoghi al chiuso. I piani proseguono come previsto, “siamo stati fortunati” ha detto Kurz, e intanto si fissano nuovi appuntamenti. Il ministero della Cultura ha detto agli attori di ricominciare le prove dal 18, ma si è raccomandato: indossate la mascherina e mantenete la distanza. Il nuovo concetto di teatro non è piaciuto molto agli attori, hanno detto che le misure sono poco realistiche, meglio aspettare ancora un po'. Teatri a parte, un sondaggio condotto tra i viennesi a fine aprile dice che sono tutti molto entusiasti per la fine del lockdown, è soprattutto la riapertura dei parchi a renderli felici. Copenaghen. Nessuno toglierà mai alla Danimarca il primato di aver tentato per prima quello che tanti altri paesi non sanno ancora come fare: riaprire le scuole. Ma il resto della ripartenza è stato lento, come la premier Mette Frederiksen aveva avvertito: armatevi di pazienza, ci vuole cautela. Copenaghen si è riservata un po' di tempo per studiare la situazione, con un occhio sempre attento alla curva dei contagi, ha gestito la danza con lentezza, passi attenti e felpati. Alcuni negozi hanno riaperto, anche i parrucchieri, il governo consiglia di uscire soltanto per necessità e rimane il divieto agli assembramenti. Ci si può incontrare, ma fuori casa, e i viaggi non sono consentiti né fuori né dentro la Danimarca. Domenica la premier, che ha detto a Reuters di essere soddisfatta di come stanno andando le cose, annuncerà i nuovi appuntamenti con il new normal. Praga. La Repubblica ceca ha avuto una gran fretta. E' la meno colpita in un'Europa centro-orientale già poco interessata dal virus e ha battuto tutti, anche Austria e Danimarca, annunciando le prime riaperture il 9 aprile. Si trattava di negozi piccoli, ma voleva essere un segnale di speranza, un modo per dire: state tranquilli che ci rivedremo presto. La tabella di marcia di Praga - che nel frattempo si è anche messa a fare un po' di dispetti a Mosca con monumenti abbattuti e monumenti tirati su - è precisa e dettagliatissima. Ormai tutti negozi di piccole e medie dimensioni sono aperti, ci si può entrare soltanto con la mascherina. Da lunedì riapriranno i cinema, i teatri, i ristoranti e i bar che hanno posto all'aperto. Ci si potrà anche sposare con feste e ricevimenti a partire dall'11 maggio. Il 25 sarà la volta degli alberghi e a giugno riapriranno le scuole. Praga è andata oltre e ha tolto anche i divieti agli assembramenti, anche i viaggi di lavoro sono permessi, sono permesse le visite dentro e fuori casa e insieme a Vienna adesso è pronta a pensare alle vacanze estive. Berlino. In Germania il lockdown è da sempre parziale, le frontiere sono chiuse con l'esterno, mentre sono permessi gli spostamenti interni soltanto in caso di necessità. Già a Pasqua però, una corte della Mecklenburg-West Pomerania aveva stabilito che il divieto di viaggiare era “sproporzionato” e aveva permesso i viaggi sulla vicina costa baltica. Non ci sono state conseguenze in termini di contagi. In Saarland e in Baviera invece le restrizioni sono state rigorose, e ancora ora lo sono. La danza tedesca è tra le più flessibili d'Europa: la cancelliera, Angela Merkel, ha dato completo potere decisionale ai governatori (non senza polemiche: come s'è detto, la goffaggine c'è dappertutto), fissando un tetto nazionale pari a 50 nuove infezioni ogni 100 mila abitanti nell'arco di una settimana. Oltre questa soglia, si devono reintrodurre le misure restrittive. A discrezione dei governatori dei Länder, riapriranno i centri commerciali (finora erano stati riaperti negozi più piccoli di 800 metri quadrati), le scuole e tutte le attività. I parrucchieri sono aperti da lunedì ma hanno già causato polemica: le file sono vietate ovunque, ma si sono create delle processioni. Così ora si può solo prenotare un appuntamento e a Berlino si deve anche rispondere a un questionario che dimostri l'urgenza dell'intervento di un parrucchiere. C'è anche allo studio la possibilità della ripresa del calcio professionistico: si parla del 15 o del 21 maggio per le prime partite a porte chiuse. L'ultima a ripartire sarà la Francia. L'11 maggio è la data fissata dal presidente Emmanuel Macron per la fase due, con contestuale riapertura delle scuole. In realtà proprio per la scuola ma anche per altre attività ci saranno rallentamenti: il numero dei contagi è ancora alto, i sindaci non vogliono che il governo metta fretta. E' presto invece per valutare la riapertura di questa settimana in Grecia, Portogallo e Spagna. Soltanto alcuni appunti: in Spagna, il prolungamento dello stato d'emergenza è stato garantito dall'alleanza inedita e fino a un mese fa inammissibile per le stesse persone coinvolte tra il Partito socialista del premier Pedro Sánchez e Ciudadanos guidato da Inés Arrimadas. In Grecia, il premier Kyriakos Mitsotakis, ha alimentato una delle poche speranze oggi in circolo: il primo luglio il paese sarà riaperto ai turisti. In Portogallo, c'è stata una riconversione efficiente di molte aziende per la produzione di materiale sanitario: la Calvalex, che ha sede nel nord del paese, esporta il 90 per cento delle 200 mila mascherine prodotte a settimana in Inghilterra, Spagna, Francia e Irlanda. L'economia del disgelo polacco. Secondo le stime economiche pubblicate ieri dalla Commissione europea, la Polonia è il paese che meno risentirà di questa crisi. La sua economia è solida e appena ha visto i primi casi italiani Varsavia ha chiuso tutto per evitare i danni alla sanità e per essere pronta a riaprire il prima possibile, imponendo la quarantena anche ai lavoratori transfrontalieri che ogni giorni dalla Polonia vanno a lavorare in Germania. Il premier, Mateusz Morawiecki, lo scorso fine settimana ha parlato ai polacchi di “nuova normalità” e di “economia del disgelo” e ha detto a tutti di rimanere ligi alle regole perché secondo gli esperti il picco deve ancora arrivare. Ma intanto sono arrivate le prime riaperture che hanno anche un senso politico: dimostrare che se tutto si sblocca, che problema c'è ad andare a votare questo fine settimana? I polacchi hanno ricominciato il loro “disgelo” dai parchi, dalle foreste e dalle chiese, consentendo le passeggiate, le escursioni e anche le messe. Da lunedì hanno riaperto i centri commerciali e gli alberghi, ieri gli asili nido e le scuole materne e sono stati eliminati gli orari di spesa per gli anziani, poi sarà il turno dei parrucchieri, dei bar e dei ristoranti, dei cinema e dei teatri. Si fissano nuove date, con un occhio ai numeri e sempre con restrizioni. Ma c'è anche lo scenario politico da considerare, i polacchi ancora non sanno se domenica ci saranno le elezioni presidenziali, così vuole il PiS, il partito di governo che è riuscito a far approvare alla Camera bassa del Parlamento una riforma della legge elettorale per consentire il voto per posta. Martedì la legge è stata bocciata in Senato, tornerà alla Camera e i polacchi scopriranno oggi o forse domani se saranno chiamati a scegliere il loro nuovo presidente domenica e alla Commissione elettorale rimarranno due giorni per sperimentare il nuovo sistema via posta. L'opposizione ha chiesto all'Europa di intervenire, non c'è stata campagna elettorale e questo sistema di voto non lo conosce nessuno, ma il PiS sembra meno interessato che mai a quel che pensa l'Ue. Anzi, ieri dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla Bce, che ha messo in dubbio il primato del diritto comunitario su quello nazionale, il viceministro della Giustizia polacco si è sentito libero di gridare vittoria: “La Germania difende la propria sovranità. La Corte costituzionale tedesca ha detto che l'Ue può tanto quanto i paesi membri le concedono”. Benissimo, ha pensato il PiS, abbiamo sempre avuto ragione noi e la prossima volta che una sentenza della Corte di Giustizia Ue ci dirà che le riforme ledono lo stato di diritto risponderemo che “l'identità costituzionale di ciascuno degli stati membri è garantita, anche nei trattati”. Per chiarimenti, rivolgersi a Karlsruhe. Ai primi passi di danza indicati da Pueyo possiamo aggiungerne altri due: federalismo e flessibilità. Ad Andorra, quest'ultima ha avuto il sopravvento, ci vuole un'app solo per sapere quando e se si può uscire: nei giorni pari esce chi abita ai numeri civici pari, uguale per i dispari; le giornate sono divise per fasce orarie, alla mattina presto gli sportivi, a pranzo i più vulnerabili; la distanza sociale è posta a quattro metri e si consiglia di camminare nella stessa direzione delle automobili in modo che non ci siano flussi contrapposti troppo ravvicinati. Potendo scegliere, meglio Amsterdam che si è attrezzata con loculi bruttini ma distanziati per cenare sull'Amstel, un brindisi da fase due per gli affetti stabili, e anche per tutti gli altri.

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