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Il Foglio Rassegna Stampa
24.04.2020 A Repubblica e Stampa Molinari e Giannini. Ecco che cosa significa
Commenti di Giuseppe De Filippi, Marianna Rizzini, Stefano Cingolani, l'ironia di Andrea Marcenaro

Testata: Il Foglio
Data: 24 aprile 2020
Pagina: 2
Autore: Giuseppe De Filippi - Marianna Rizzini - Stefano Cingolani - Andrea Marcenaro
Titolo: «Molinari e la sfida di sostituire la questione morale con la cultura atlantista - Giannini e la sfida sinistra di cambiare un giornale che gli assomiglia poco - Nomine, direttori e intrecci di potere. Così Elkann sposta il baricentro del gruppo Gedi lonta»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 24/04/2020, a pag.1-2, con il titolo "Molinari e la sfida di sostituire la questione morale con la cultura atlantista", il commento di Giuseppe De Filippi; con il titolo "Giannini e la sfida sinistra di cambiare un giornale che gli assomiglia poco", il commento di Marianna Rizzini; con il titolo "Nomine, direttori e intrecci di potere. Così Elkann sposta il baricentro del gruppo Gedi lontano dalle vecchie radici di Rep.", il commento di Stefano Cingolani; il commento ironico "Andrea's Version" di Andrea Marcenaro.

Ecco gli articoli:

Giuseppe De Filippi: "Molinari e la sfida di sostituire la questione morale con la cultura atlantista"

Maurizio Molinari: chi è il nuovo direttore di Repubblica
Maurizio Molinari

Un libro all'anno, in piena media Vespa, per Maurizio Molinari. Non sono gli annales da vetrinetta del grande giornalista televisivo ma saggi a caldo, all'americana. Per entrambi, però, vale la saggistica come prosecuzione dell'ossessione quotidiana per il giornalismo. Perché Molinari, da ieri nuovo direttore di Repubblica, dopo quattro anni alla direzione della Stampa, vive immerso nella storia, nella politica internazionale e nelle news, praticamente da quando ha cominciato a leggere. E la sua capacità ricettiva, come quando si dice dei bambini che sono delle spugne, cresce con gli anni. E gli fa inglobare tanta e tanta massa di fatti e opinioni (in lui sempre separati, s'intende) da far debordare la produzione giornalistica, come si diceva, in quella saggistica. E nei pareri da esperto prestati in Tv e nelle lunghe estati zanzarose delle presentazioni librarie. Il flusso di informazioni e di analisi che lo investe e che Molinari sa dominare ha a che fare prevalentemente con la politica internazionale, la storia contemporanea nel suo dispiegarsi, attraverso due lenti fondamentali: l'atlantismo e l'ebraismo. Sono le due chiavi di accesso alla realtà vivente, e sono stati, l'interesse per gli Stati Uniti e quello per Israele e per la cultura e la storia ebraiche, i due perni della sua formazione. Anche fisicamente, con studi in Israele, alla Sapienza di Roma (due lauree, storia e scienze politiche), in Uk, e poi con tanta esperienza giornalistica e buone frequentazioni di establishment nei tanti anni a New York Tra giornali e saggistica emergono le sue sistematiche passioni per la politica americana, ha raccontato l'epopea obamiana e l'America profonda, e perla questione mediorientale, di cui è stato cronista e testimone di ogni fermento e di ogni possibile sviluppo. Ha cominciato a guidare La Stampa, come direttore, dopo gli anni americani, nel 2015. Al suo arrivo le cronache si concentrano su questi tratti, di grande conoscitore di questioni internazionali, ma non segnalano nulla che possa essere ricondotto a influenze politiche, a rapporti di potere di tipo corrivo. Arriva a dirigere come un predestinato, e in cambio però non regala neanche una battuta sdrammatizzante, mezzo aneddoto, un quarto di squarcio di intimità divertente. Tanto che, sempre le cronache dell'epoca, si buttarono più sulla delusione di un allora vicedirettore rimasto tale che sulla soddisfazione del neo direttore. A Repubblica arriverà allo stesso modo. E se non è incline alla battuta pubblica si fa una certa fatica a vederlo in certi spazi autocelebrativi, stile Repubblica delle idee. Iniziative nate per darsi ragione da soli e per farsi vedere belli e pensanti. Ma Molinari, da quel punto di vista, è come Obelix non ha bisogno della pozione magica del convegnismo da Italia migliore semplicemente perché è già un esponente dell'Italia migliore fatto e vestito, e anzi è qualcosa di più, un esponente della cultura atlantica migliore. E allora dovrà forse prendere le misure di quel mondo un po' sopra le righe (e un po' troppo allevato a colpi di questioni morali) anche quando vuole atteggiarsi a sobrietà. E dovrà cercare di orientarsi in un giornale che nasce anche per fare politica, in Italia e non a Washington, e non può fare niente per reprimere quel destino da scorpione al guado. A La Stampa ultimamente sembrava più giocoso, in ambito giornalistico, con qualche intemerata e passeggiata fuori dalle interpretazioni canoniche. Perfetto e rigoroso nella difesa dei suoi quando la libertà di stampa è stata messa sotto scacco dall'ambasciatore russo a Roma. Adesso forse dovrà vedersela con altri poteri, non dotati di arma nucleare. Poteri più italiani, che non spaventano nessuno, ma almeno una battuta, mezzo aneddoto, un quarto di squarcio di intimità divertente, li esigono. E' romano e romanista. Potrebbe anche bastare.

Marianna Rizzini: "Giannini e la sfida sinistra di cambiare un giornale che gli assomiglia poco"Massimo Giannini, quello che doveva andare a Rep. ma l'hanno ...Massimo Giannini

Roma. A valle, cioè ieri pomeriggio, mentre arrivavano le indiscrezioni dal cda del gruppo Gedi sulle nomine - con Massimo Giannini alla direzione della Stampa al posto di Maurizio Molinari, Molinari alla direzione di Repubblica al posto di Carlo Verdelli e Mattia Feltri all'Huffington Post- l'ex vicedirettore di Repubblica e finora direttore di Radio Capital Massimo Giannini naturalmente non twittava, ché si era nel bel mezzo dell'ufficiosa rivoluzione suddetta, per giunta tra fase 1 e fase 2 dell'emergenza Coronavirus. Ma prima che la questione nomine imperversasse nei dibattiti su WhatsApp, e dunque a monte, cioè ieri mattina, Massimo Giannini, ancora direttore di Radio Capital, aveva pubblicato su Twitter, come fosse un giorno normale, il podcast dell'intervista a Claudio Amendola, l'attore, ospite a "Circo Massimo", trasmissione seguitissima del mattino. "Mi sono rotto", diceva Amendola, "non ne posso più di sentire che andrà tutto bene". E, come fosse un giorno normale, Giannini aveva anche twittato un articolo sul fondo Ue, argomento consueto per lui, in origine e per sempre giornalista economico, fin dai tempi in cui era considerato uno degli "Ezio Mauro boy", delfino dell'ex direttore di Rep., e dirigeva anche il supplemento di Rep. "Affari e finanza". E però, nel 2016, proprio quando tutti si aspettavano un avvicendamento Ezio Mauro-Massimo Giannini alla direzione di Rep., a Rep. arrivò l'avvicendamento Ezio Mauro-Mario Calabresi, già direttore della Stampa. E il cerchio mai si chiuse, in realtà, e forse non si chiude neanche oggi che Giannini va alla Stampa. E insomma, per anni, ci fu chi si interrogò sul perché e il percome, e sullo sfondo si ventilavano anche presunti dissapori Giannini-Fiat, tanto che oggi, ad alcuni, pare un gioco della Nemesi, la nomina di Giannini al vertice del quotidiano torinese, a lungo simbolo della Fiat. Fatto sta che Giannini si è sempre comportato da Giannini: comunque editorialista di Repubblica, anche da direttore di Radio Capital, e talmente radicato nel cuore di Rep. da essere sempre considerato, qualsiasi cosa dicesse, scrivesse o dirigesse, un uomo di Rep.. Tra monte e valle, e cioè per tutta la giornata di ieri, si rincorrevano le domande sulla possibile metamorfosi futura a mezzo Stampa, nel senso del quotidiano, del romanissimo e romanista Giannini, anche volto televisivo: ospite abituale di "Otto e Mezzo", su La7, e ospite fisso del martedì sera a "Cartabianca", il talk di Bianca Berlinguer su Rai3, nonché a lungo ospite fisso a "DiMartedi", il talk di Giovanni Floris. E qui si apre un'altra questione per i cultori del genere "giochi della Nemesi": quando Floris lasciò `Ballarò" e Rai3 per La7, fu Giannini a prendere la conduzione del programma che era stato di Floris, e i due si erano trovati a gareggiare in share. Ma quando era scesa la notte su `Ballarò", Floris lo aveva chiamato a "DiMartedi" come ospite fisso. Fatto sta che ora torna alla carta stampata Giannini, anche giocatore di calcetto e motorinista accanito, capace di coprire la distanza da Roma Sud (redazione di Repubblica) a Roma Nord (do- ve abita con la famiglia) in tempi che neanche a tutta birra in macchina, con buona pace dei semafori rossi. Ha negli anni sperimentato una mutazione di look: capello corto e pizzetto invece del capello anni Settanta. Non frequenta salotti, e resta di base un pacifista di sinistra, come Repubblica, anche se va a dirigere un quotidiano atlantista, come l'ex direttore Molinari, ora in arrivo a Repubblica.

Stefano Cingolani: "Nomine, direttori e intrecci di potere. Così Elkann sposta il baricentro del gruppo Gedi lontano dalle vecchie radici di Rep."

Roma. John Elkann presidente del gruppo editoriale, Maurizio Molinari fino a ieri direttore della Stampa va al timone della Repubblica al posto di Carlo Verdelli, Massimo Giannini torna alla Stampa per dirigere il quotidiano e Mattia Feltri prende in mano il sito Huffington Post. Il cambio al vertice è stato deciso dal consiglio di amministrazione della Gedi che ha perfezionato l'acquisto del gruppo ceduto dalla Cir della famiglia De Benedetti per 102,4 milioni di euro. Ad acquisire la quota è una società di nuova costituzione, Giano Holding, che ora dovrà promuovere una offerta pubblica di acquisto obbligatoria sulle azioni Gedi in circolazione al medesimo prezzo dell'operazione, pari a 0,46 euro per azione. Exor salirà, tramite Giano Holding, al 60,9 per cento del capitale sociale e al 63,21 per cento dei diritti di voto, rilevando un 5,06 per cento dalla Mercurio (famiglia Perrone) e un 6,07 per cento (partecipazioni Caracciolo) da Sia Blu e Giacaranda Caracciolo. Cir e Mercurio saranno azionisti in Giano Holding con una quota del 5 per cento ciascuno. I consiglieri Laura Cioli, Rodolfo De Benedetti, Francesco Dini e Monica Mondardini si sono dimessi e il consiglio ha cooptato Turi Munthe, Maurizio Scanavino (amministratore delegato), Pietro Supino e Enrico Vellano. Restano Marco De Benedetti, Giacaranda Caracciolo e Carlo Perrone. Molinari sarà anche direttore editoriale. Questo il côté proprietario di una operazione destinata a incidere sul panorama editoriale in Italia, compreso, di riflesso, il Corriere della Sera controllato da Urbano Cairo. L'erede di Gianni Agnelli e presidente della multinazionale Exor con un fatturato di 144 miliardi di euro (prima impresa industriale privata in Italia soprattutto grazie a Fiat Chrysler), ha perseguito il suo progetto con estrema determinazione, senza farsi bloccare nemmeno dalla pandemia. Anzi, forse la grave crisi scatenata dal coronavirus accresce la voglia di costruire un gruppo editoriale, solido e autorevole in Italia, ma, in prospettiva, parte di un polo di spessore internazionale (dal 2015 Exor possiede la quota principale dell'Economist con il 43,4 per cento). Chiamare la holding Giano fa pensare ai due volti del dio romano, uno verso l'Italia e uno verso il resto del mondo. “Le decisioni che abbiamo preso oggi definiscono le basi di un'organizzazione chiara e coesa, premessa indispensabile per raggiungere i traguardi ambiziosi che ci siamo dati”, ha dichiarato Elkann sottolineando la scelta di “abbracciare l'innovazione e la trasformazione digitale per scrivere insieme il futuro del giornalismo e dell'intrattenimento di qualità”. E ha concluso: “Continueremo a difendere la libertà di espressione e a impegnarci per garantire un'informazione responsabile e libera da qualunque condizionamento”. Molinari rappresenta un cambiamento netto rispetto alla linea editoriale impressa da Verdelli il quale, con i titoloni cubitali e l'impostazione da tabloid, aveva a sua volta enfatizzato l'impianto costruito in un ventennio da Ezio Mauro e ancor più da Eugenio Scalfari: da giornale partito a giornale di movimento, con campagne apertamente schierate contro i sovranisti e Matteo Salvini in particolare, critico anche verso il governo attuale e l'esperienza rossogialla. Verdelli ha ricevuto persino minacce di morte tanto che è stato messo sotto scorta. Molinari ha sempre avuto una inclinazione verso le questioni internazionali (è stato tra l'altro corrispondente negli Stati Uniti e in Israele) e come direttore della Stampa ha seguito una linea sostanzialmente atlantista in politica estera e centrista in politica interna. Ciò, secondo molti osservatori, porterà la Repubblica a insidiare il Corriere della Sera il cui pendolo oscilla dal centro verso destra con aperture di volta in volta ai Cinque stelle oltre che, ovviamente, alla Lega al governo nei territori dove è insediato il quotidiano milanese. Appare meno scontato il passaggio di Giannini a Torino, può darsi che serva a rafforzare l'informazione politica in un quotidiano destinato ad accentuare il suo insediamento locale. Non resta che aspettare la probabile risposta del Corsera. Cairo ha annunciato che non distribuirà i dividendi, mossa apprezzata dal comitato di redazione alle prese con un taglio del 15 per cento del corpo redazionale, circa 50 esuberi come si dice in gergo sindacale; ma anche il gruppo Gedi ha chiuso il 2019 con un calo dei ricavi (meno 7 per cento) e i giornalisti della Stampa hanno respinto il piano editoriale che prevede il taglio di 37 giornalisti su 180 in organico. Alla Repubblica si era cominciato a discutere una ristrutturazione sotto l'impatto della crisi: le vendite sono aumentate, però molte edicole sono chiuse. La svolta in ogni caso appare radicale. Chi ricorda le epiche battaglie al vertice del capitalismo italiano e la competizione, anche umana, tra Gianni Agnelli, l'Avvocato, e Carlo De Benedetti, l'Ingegnere, non può che vedere la mesta sconfitta di quest'ultimo. Voci smentite e mai cessate hanno evocato un nuovo quotidiano che dovrebbe nascere ad opera di Cdb alla ricerca della sua rivincita (il passaggio dell'Espresso alla Gedi è avvenuto con una frattura tra l'Ingegnere e i figli) con Carlo Feltrinelli il quale, sia con i libri sia con la innovativa catena di negozi, si è rafforzato negli anni scorsi. C'è già chi lo chiama “Repubblica due, la vendetta”, e si parla di Carlo Verdelli e Gad Lerner alla guida.

Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"

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Andrea Marcenaro

Mi considero un vecchio e caro amico di Carlo Verdelli, lo stimo, gli voglio bene e il fatto che non sia più direttore mi dispiace. Se gli dispiace. Per altro verso, il fatto che la famiglia Elkann abbia scelto proprio il 25 aprile per piazzare proprio alla testa della redazione di Repubblica proprio la Brigata ebraica, beh, tanto di kefiah!

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