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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio Rassegna Stampa
27.03.2020 Dittature contro Democrazie
Servizi di Carmelo Caruso, Giulia Pompili, Valerio Valentini, video a cura di Giorgio Pavoncello

Testata: Il Foglio
Data: 27 marzo 2020
Pagina: 1
Autore: Carmelo Caruso - Giulia Pompili - Valerio Valentini
Titolo: «'No al servilismo'. Riconoscenza e genuflessione sono cose diverse. I cinesi mistificano la storia. Parla il generale Bertolini - Di Maio si aggrappa ancora alla Via della Seta per non sparire. Con la Cina il ministro degli esteri è il nostro ventre molle»
Riprendiamo dal FOGLIO del 26/03/2020 a pag.I, con il titolo "'No al servilismo'. Riconoscenza e genuflessione sono cose diverse. I cinesi mistificano la storia. Parla il generale Bertolini", l'intervista di Carmelo Caruso; con il titolo "Di Maio si aggrappa ancora alla Via della Seta per non sparire. Con la Cina il ministro degli esteri è il nostro ventre molle", il commento di Giulia Pompili; con i titoli "Zennaro (M5s) ci spiega perché il M5s sbaglia a fidarsi della Cina", "Quella tentazione grillina per i regimi illiberali. Parla Scalfarotto", due servizi di Valerio Valentini.

Per capire che cosa sia la dittatura cinese, ecco in un video sottotitolato in italiano da Giorgio Pavoncello le parole di una dissidente.

Ecco il video, cliccare sull'immagine per vederlo:

Coronavirus Challenge is Xi Jinping's Biggest Yet

Ecco gli articoli:

'No al servilismo'. Riconoscenza e genuflessione sono cose diverse. I cinesi mistificano la storia. Parla il generale Bertolini
Lo intervista Carmelo Caruso

Roma. “Il nostro bisogno di aiuto sanitario non può e non deve mutarsi in servilismo nei confronti di Cina e Russia”. Mentre il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ringrazia quotidianamente e non risparmia salamelecchi al regime di Pechino, Marco Bertolini, classe '53, generale di Corpo d'armata, già capo di Stato Maggiore Isaf in Afghanistan ed esperto di geopolitica, dice quello che molti pensano, ma che l'emergenza fa dimenticare: “Prima di tutto non possiamo non ricordare che, malgrado i tentativi cinesi, perfettamente riusciti, di ribaltare la realtà dei fatti, il virus viene proprio dalla Cina. Aggiungo che nessuna nazione aiuta un'altra per bontà d'animo. La storia lo insegna. Si aiutano le nazioni per espandere la propria influenza, per disgregare alleanze. Nulla di strano che la Cina sia interessata a farlo”. Stremati dall'epidemia ci stiamo rivolgendo a Cina e Russia, mondi lontanissimi dal nostro per quanto riguarda la cultura del diritto, ma oggi vicinissimi per solidarietà. L'avrebbe mai pensato? “No. E' un'altra conseguenza di questo spietato virus. Ma dobbiamo rimanere lucidi per quanto capisco sia difficile. Non possiamo fare gli schizzinosi, quando si tratta di aiuti umanitari; ma questo non significa non vedere le sfaccettature negative di un ingresso russo-cinese nel nostro paese. Mi preoccupa”. E qui, Bertolini fa un passo indietro per farne uno avanti. “Voglio ribadire che i cinesi sono maestri nel riscrivere la storia. Sia chiaro non è una critica, anzi. E' la prova, anche questa, della loro forza, ma è qualcosa di estremamente pericoloso”. In queste settimane sono riusciti a capovolgere una verità e spacciare l'idea che Bergamo sia terra di origine pandemica e che il virus cinese non sia altro che di importazione. “Sono stati eccezionali nell'inventare una nuova narrazione intorno a una crisi sanitaria ed economica. Adesso gli untori siamo noi e loro si offrono come la cura. Sappiamo ovviamente che non è vero, ma manipolare la comunicazione è la prima mossa per uscire dall'angolo. Ce l'hanno fatta”. Anche la Russia si sta dimostrando vicina al nostro paese. Che differenza c'è tra il suo aiuto e quello cinese? “Ci sono delle differenze, ma la sostanza non cambia. Sia Russia sia Cina sono paesi estranei al nostro sistema di alleanze. So che è brutto dirlo, ma la crisi sanitaria può degenerare in una crisi politico militare. Sarebbe nefasto in un momento in cui il Parlamento ha difficoltà a riunirsi e i vertici delle Forze armate sono state pure loro contagiati”. Prima che scoppiasse l'emergenza, il governo, e in particolar modo il ministro degli Esteri, non hanno fatto altro che ribadire l'importanza degli accordi commerciali con la Cina: l'intesa Belt and Road, la partita sul 5G. Quali sono gli interessi in gioco? “Direi quali sono i rischi che corriamo. Il primo è quello di vedersi portare via porti strategici come è accaduto in Grecia con quello del Pireo. Cosa accadrebbe se un porto come quello di Trieste finisse sotto la gestione cinese? Tengo a precisare che la retorica sulla Via della seta è sbagliata. Di fatto, i rapporti cinesi in Italia esistono già. Sono realtà consolidate. Basta andare a Roma, a piazza Vittorio. A differenza delle comunità islamiche, che per motivi religiosi ci hanno sempre spaventato, le comunità cinesi sono perfettamente integrate in Italia e in Europa”. Invio di mascherine, arrivo di operatori sanitari cinesi. Il grazie è d'obbligo, ma l'eccesso non guasta? “Senza dubbio c'è un eccesso da parte di Di Maio in ringraziamenti. Servirebbe un giusto distacco, ma credo non faccia parte della sua cultura politica. È tornata l'ideologia dell'arrendevolezza favorita anche da un'innegabile difficoltà. Purtroppo eravamo impreparati a questo scenario perché pensavamo che le pandemie fossero emergenze da paese del terzo mondo. Non è cosi”. C'è chi teme che la prossima battaglia non potrà che essere quella dei dati. Sembra necessario condividerli, metterli a disposizione delle autorità. Ed è proprio per questa ragione che molti temono questa nuova alleanza Italia-Cina. “Ci attendono mesi in cui i dati saranno tutto. Il regime cinese lo fa già. Se si deve procedere al tracciamento personale e all'utilizzo di dati sensibili, e penso che si dovrà fare, le preoccupazioni sono d'obbligo. Se dobbiamo metterli a disposizione dobbiamo tenerli ben custoditi per non mostrare le nostre vulnerabilità a potenze straniere. Non solo alla Cina, ma a tutte”. La gratitudine potrà cambiare l'asse di alleanze? “Non deve accadere. Il nostro posto è chiaro. Ed è in Europa. Ma cambieranno le nostre sensibilità verso chi ci ha mostrato aiuto. Sarà allora che bisognerà vigilare”.

Di Maio si aggrappa ancora alla Via della Seta per non sparire. Con la Cina il ministro degli esteri è il nostro ventre molle
Commento di Giulia Pompili


Roma. “Chi ci ha deriso sulla Via della Seta ora deve ammettere che investire in questa amicizia ci ha permesso salvare vite in Italia”, ha detto l'altro ieri al Tg2 il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Non bastava la diretta Facebook con cui ha atteso il primo volo umanitario proveniente dalla Cina, non bastava la conferenza stampa seduto a fianco dell'ambasciatore cinese in Italia durante la quale si guardava bene di chiarire quanto materiale l'Italia avrebbe acquistato dalla Cina e quanto invece sarebbe stato donato. In una situazione d'emergenza come quella che sta vivendo l'Italia la trasparenza, cioè l'unico punto del programma elettorale dei Cinque stelle, dovrebbe essere un punto fermo della comunicazione. E invece Di Maio, nel suo tentativo ormai quasi grottesco di salire su un palcoscenico politico in questa pandemia, è riuscito a trovare un sistema per giustificare la firma della Via della Seta di un anno fa usando la peggior retorica, quella delle vite umane da salvare. E però la sua vicinanza a Pechino e le sue parole continuano a essere un problema per la credibilità dell'Italia sul piano internazionale e per la coerenza diplomatica. Dicono: sono aiuti, non si mettono mai in discussione gli aiuti. Purtroppo però questa non è una riunione di condominio, e la politica internazionale si fa anche nelle situazioni d'emergenza, con metodo. Di aiuti all'Italia ne stanno mandando anche altri paesi, così come la Cina sta mandando donazioni anche al resto del mondo - quindi la Via della Seta non è in alcun modo collegata con le donazioni. Ieri il presidente Xi Jinping ha parlato con la cancelliera tedesca Angela Merkel, qualche settimana fa aveva avuto un colloquio telefonico anche con il premier spagnolo Pedro Sánchez. Da noi, l'unico interlocutore di Xi resta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quindi non un rappresentante del governo. All'inizio del contagio, quando la situazione sembrava ancora sotto controllo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciò, durante la prima di una lunga serie di conferenze stampa notturne, lo stop ai voli da e per la Cina. Una misura ormai ritenuta da più parti inutile, perché metteva a terra i voli ma non permetteva il controllo capillare degli ingressi. Per quella decisione, l'ambasciatore italiano a Pechino ricevette non poche telefonate dal ministero degli Esteri cinese. “L'Oms ha esortato i paesi a evitare le restrizioni sui viaggi, ma alcuni paesi hanno fatto il contrario”, ha detto all'inizio di febbraio la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying. “E' un comportamento cattivo, esagerato”. Nella stessa conferenza stampa diceva che “un amico si vede nel momento del bisogno”, facendo l'elenco dei paesi che si erano già messi a disposizione per aiutare la Cina: l'Italia non c'era in quell'elenco. La retorica dell'amicizia è la stessa usata da Di Maio quando alcuni paesi hanno iniziato a mettere avvisi di viaggio nei confronti dell'Italia, e se la rivende ora con la Cina: è grazie alla nostra amicizia che ci aiutano. Beh, no. C'è poi un altro problema, che è quello organizzativo. Perché nessuno sa esattamente tutto quello che sta entrando in Italia dalla Cina. Nessuno ha un elenco, un inventario, nemmeno alla Farnesina. I voli cinesi sono liberi dai controlli perché sono tecnicamente “voli umanitari”. Ma dentro a quei cargo ci sono anche gli acquisti effettuati da aziende e cittadini in Europa, acquisti diretti di materiale magari da donare, magari da rivendere. Quotidianamente però l'ambasciata cinese in Italia (la stessa che accusò i nostri parlamentari di aver fatto “un grave errore” organizzando una conversazione in videoconferenza con gli attivisti di Hong Kong) celebra la partenza e l'arrivo degli “aiuti cinesi”, creando (forse di proposito) confusione. Il risultato è che in questa Italia intossicata da anni di antieuropeismo la gente sui social - e c'è molta gente sui social network, in questo periodo di quarantena - vede soltanto gli aiuti cinesi esaltati dal nostro ministro degli Esteri. I media cinesi rilanciano i video dell'inno nazionale cinese cantato dagli italiani in quarantena. La Cina salvatrice, un modo per far dimenticare le sue responsabilità. Ma per devozione e dedizione Giggino il cinese ha superato perfino il suo compare leghista Michele Geraci, il vero China man del vecchio governo gialloverde in questi giorni impegnato in un'opera di convincimento della bontà del “modello cinese”. L'ex leader del M5s esattamente un anno fa - da ministro dello Sviluppo economico - ha posto la firma sull'intesa con la Cina, il famigerato memorandum con il quale l'Italia, primo paese del G7, è entrato ufficialmente nelle grazie propagandistiche di Pechino. Allora Di Maio cercava di convincere i suoi detrattori che si trattasse non di un accordo politico ma di un accordo “puramente commerciale. Con questi accordi ci aspettiamo un riequilibrio della nostra bilancia commerciale con la Cina. C'è troppo Made in Cina in Italia e poco Made in Italy in Cina. L'accordo stipulato ha l'obiettivo di invertire questa tendenza”. Ecco, obiettivo non riuscito, perché a un anno di distanza, a parte le famose arance siciliane, nulla si è visto delle promesse che faceva Di Maio. E non c'entra l'emergenza pandemia: l'export italiano verso la Cina è perfino calato rispetto al 2018, ed è arrivato a 12.992 miliardi di euro. L'import di prodotti cinesi, invece, quello sì, è cresciuto: da 30,8 miliardi di euro nel 2018 a 31.665 miliardi nel 2019. Il pasticciato passaggio di parte del commercio estero dal ministero dello Sviluppo economico alla Farnesina, voluto da Di Maio, ha compromesso ancora di più la capacità dell'Italia di gestire i rapporti commerciali con il colosso cinese. Delle 19 intese istituzionali e le dieci commerciali firmate lo scorso anno, quelle che hanno avuto più successo, a quanto pare, sono quelle che hanno permesso a Pechino la mano libera sulla propaganda in Italia. Anche perché degli altri accordi non sappiamo poi molto: più di un mese fa il Foglio ha chiesto al Mise di visionare i testi delle due intese firmate il 23 marzo dell'anno scorso con l'omologo ministero cinese - quella sulla cooperazione nel settore del commercio elettronico e quella per la promozione della collaborazione tra startup tecnologiche. L'ufficio stampa del ministero ha risposto che “non è nostra abitudine divulgare i testi di intese tecniche”. Trascorsi i trenta giorni dall'invio di una richiesta formale, il ministero non ha ancora risposto: attendiamo fiduciosi.

Zennaro (M5s) ci spiega perché il M5s sbaglia a fidarsi della Cina
Commento di Valerio Valentini


Roma. Sarà per quel suo gusto di essere “eretico”, come dice lui. O sarà, più semplicemente, perché vede le cose da un osservatorio privilegiato com'è spesso quello del Copasir. Sta di fatto che Antonio Zennaro, deputato del M5s e membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, questo coro di eccessiva reverenza nei confronti della Cina non piace granché. “Ringraziare chi ti aiuta in un momento di difficoltà è doveroso. Ma non vorrei che mascherine e ventilatori facciano dimenticare che Pechino ha una responsabilità oggettiva in questa epidemia: non solo perché il virus si è generato lì, ma anche e soprattutto perché il resto del mondo ha dovuto aspettare due o tre mesi prima di avere dei dati accettabili sul contagio”. Dubita, insomma, della credibilità delle informazioni che vengono dalla Cina? “Dico che quelle informazioni vanno prese con le pinze, visto che si tratta di un paese in cui media e social sono controllati dal partito unico. Se pensiamo anche alla vicenda di Li Zehua, il giornalista di Wuhan catturato dai servizi cinesi, direi che è più che lecito dubitare della trasparenza delle informazioni che ci giungono dalla Cina, comprese quelle che vorrebbero farci credere che lì la crisi epidemiologica è già risolta. Non vorrei, insomma, che ci si prestasse a un'operazione di propaganda cinese volta a mostrare il lato umanitario di Pechino anche per limitare il danno che deriva dalla consapevolezza che il virus si è propagato da lì”. Voce insomma fuori dal coro, quella di Zennaro, in un M5s che continua a celebrare l'efficienza e la solidarietà del Dragone, a rivendicare, per bocca di Luigi Di Maio, la firma della Via della seta come grande successo diplomatico. “Ho letto le critiche di alcuni esponenti del Pd verso il ministro Di Maio. Francamente, non credo sia questo il momento giusto per fare uscite a gamba tesa su un alleato di governo. Detto questo, non credo ci sia una connessione diretta tra la Via della seta e gli aiuti umanitari, che del resto la Cina sta offrendo anche ad altri paesi come la Spagna, la Tunisia o l'Iraq. Del resto, negli ultimi 20 anni la supply chain mondiale della sanità e dell'industria farmaceutica è stata trasferita in Cina, ed è lì che le più grandi compagnie del settore, a partire da quelle americane e quelle che producono i famigerati ventilatori, hanno delocalizzato lì. Per la Cina è un vantaggio competitivo, visto che nessun altro paese ha scorte per garantire se stessi. Quanto alla Via della seta, si è trattato di un tentativo di recuperare il gap commerciale rispetto ad altri paesi europei. Comprensibile. Ma non è accettabile che sia sfrutti quell'intesa per introdurre in maniera surrettizia una sorta di Via della seta sanitaria, perché questa comporterebbe inevitabilmente la condivisione di dati sensibili degli italiani con un governo poco trasparente, e magari l'utilizzo di tecnologie sanitarie innovative attraverso fornite dai colossi cinesi interessati al 5G”. Che è, a ben vedere, la madre di tutte le battaglie. “Come Copasir, abbiamo lanciato al governo un allarme netto e unanime: certe infrastrutture strategiche non hanno a che fare solo con dinamiche di mercato, ma toccano anche interessi diplomatici e geostrategici. E come Italia, non possiamo che tenere conto della nostra imprescindibile appartenenza al campo euroatlantico. Dopodiché, spero che l'Europa si svegli, sul 5G e non solo, e capisca che la Cina sfrutta in maniera opportunistica proprio i ritardi e le mancanze dell'Unione. Mi chiedo, ad esempio: è possibile che Bruxelles accetti che a finanziare le infrastrutture del Montenegro, paese che sta alle porte dell'Europa, sia Pechino?”. E tuttavia, a scommettere sulle debolezze dell'Ue sono proprio certi sovranisti nostrani. Anche loro, osteggiando una maggiore integrazione europea, fanno il gioco della Cina? “Senz'altro. Nel grande gioco della diplomazia mondiale, i sovranisti sono destinati a restare sconfitti, o alla mercé delle grandi potenze. Proprio per questo credo che l'Europa debba diventare una comunità di destino per tutti i suoi stati membri, una comunità che si riconosce nei valori della libertà e della solidarietà. Altrimenti, il suo destino è segnato”.

Quella tentazione grillina per i regimi illiberali. Parla Scalfarotto
Lo intervista Valerio Valentini

Roma. La rassegnazione, confessa, è quel che più lo spaventa. “La rassegnazione non tanto a restare chiusi in casa, o a cedere momentaneamente, come purtroppo è necessario, un po' delle nostre libertà personali. Ma la rassegnazione a considerare sconvenienti le democrazie liberali: questo mi terrorizza”. Ivan Scalfarotto, dal suo appartamento milanese, dove lavora da confinato in clausura a causa del virus, pensa già al dopo: “A quando questa emergenza sanitaria passerà, e qualcuno potrà pensare che davvero i regimi illiberali sono preferibili. Lo si vede - dice il sottosegretario renziano agli Esteri - da come in parecchi, più o meno esplicitamente, lodano da un lato l'altruismo cinese, e dall'altro l'efficacia di un governo non esattamente democratico nella lotta al contagio”. E insomma si capisce che ce l'ha, anche, con certi eccessi di entusiasmo filocinese del suo ministro, Luigi Di Maio, e del suo fedelissimo Manlio Di Stefano, pure lui di stanza alla Farnesina. “Ho letto una dichiarazione di Di Stefano che mi ha particolarmente colpito, che mi ha confermato nella mia convinzione: rispetto a lui, rispetto a gran parte del M5s, ho dei valori diametralmente opposti”. La dichiarazione in questione è quella rilasciata qualche giorno fa da Di Stefano, in cui il sottosegretario grillino elogia la “velocità” e la “precisione” del governo cinese nel gestire la crisi epidemiologica, parlando di una semplice “differenza” nel sistema socio-politico tra Pechino e l'occidente. “Ecco, vorrei fosse chiaro che il sistema cinese non è solo ‘differente'”, s'impunta Scalfarotto. “Ma è peggiore, è illiberale. E' fondato su un sistema di controllo e di limitazione delle libertà personali che magari garantirà ordine e sicurezza, ma è incompatibile con la nostra cultura e la nostra tradizione del diritto occidentali, di cui dovremmo andare più fieri. Io resto un amico del popolo cinese: resto un difensore del dialogo e della cooperazione commerciale tra Roma e Pechino. Ma la mia appartenenza di campo al mondo euroatlantico non è e non può essere in discussione”. Eppure Di Maio dice che proprio la firma della Via della seta dello scorso anno gli ha permesso, ora, di salvare delle vite. “Mettere in relazione quel memorandum con gli aiuti sanitari arrivati da Pechino è assurdo, vista la successione temporale degli eventi. Ma sarebbe ancor più grave pensare di aver siglato quell'accordo in cambio di un futuribile sostegno umanitario. Confermerebbe quel che gli osservatori internazionali hanno sempre sospettato, e cioè che dietro la facciata di un accordo commerciale si nascondesse un tentativo di connubio diplomatico. Una sorta di genuflessione al Dragone, un assoggettamento politico che per esempio ti porta a dire, com'è purtroppo accaduto, che sulla repressione dei manifestanti di Hong Kong da parte del governo cinese noi non ci intromettiamo. Senza contare, poi, che la nostra bilancia commerciale con la Cina è perfino peggiorata, dopo la firma del memorandum”. Insomma, per Scalfarotto “ci stiamo prestando a un'operazione di propaganda davvero rischiosa”. E non vale solo per la Cina. Perché, mentre il sottosegretario parla con noi al telefono, sul web dilagano le immagini dei mezzi militari di Mosca che viaggiano sulle autostrade italiane con le bandiere russe al vento, neanche fossero gli americani in una scena di Paisà di Rossellini. “C'è il rischio che alcuni nostri cittadini leggano così quelle immagini: come l'arrivo dei liberatori venuti a salvarci dal coronavirus. Sta al governo, a tutti noi, chiarire, smentire, rassicurare. Ma più in generale, quel che mi preoccupa è proprio una certa rivalutazione dei regimi illiberali. I parlamentari del M5s, ad esempio, hanno chiesto una ‘moratoria umanitaria' delle sanzioni nei confronti di paesi come Iran, Siria, Venezuela e Corea del Nord. Lo fanno, dicono, in nome della solidarietà, ma dimenticano che le sanzioni che loro vogliono sospendere sono state comminate a quei paesi a fronte di violazioni del diritto internazionale. Ecco, a me tutto ciò spaventa, pensando al dopo. Ma resto convinto che, anche dopo, io saprò sicuramente da che parte del campo stare”. E anche se restare alla Farnesina, dopo aver congelato le sue dimissioni da sottosegretario. “In un momento di difficoltà del paese, non ci si tira indietro. Tanto più che le mie responsabilità sulle politiche commerciali e sui rapporti bilaterali coi paesi europei, pur riflettendo delle deleghe diverse da quelle per cui ero andato alla Farnesina, si sono fatte particolarmente delicate a seguito dell'emergenza e necessitano di essere presidiate, cosa che in questi giorni sto facendo al massimo del mio impegno. Ma resto convinto che la ripartizione delle deleghe da parte del ministro Di Maio sia stato un gesto di slealtà istituzionale, e soprattutto un gesto che rischia di indebolire il comparto del commercio estero dell'Italia. A tempo debito, comunque, tireremo le somme”.

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