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Il Foglio Rassegna Stampa
18.12.2019 La crisi dell'Europa e dell'Occidente
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 18 dicembre 2019
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «'La fine del nostro evo'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/12/2019, a pag.1, con il titolo 'La fine del nostro evo' il commento di Giulio Meotti.

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Giulio Meotti


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La copertina (Adelphi ed.)

Roma. "Nelle ultime settimane non ho fatto che pensare alla fine apocalittica del nostro evo. Ho la convinzione che tutto finirà, molto presto, forse addirittura in trenta, quarant'anni; arte, cultura, filosofia - tutto ciò andrà al diavolo. L'Europa non è in coma. Tutto quel che riguarda la nostra epoca (Kali Yuga), crollerà in modo apocalittico". A scriverlo è Mircea Eliade all'amico Emil Cioran. Il primo è il grande specialista di storia delle religioni, il Pico della Mirandola del XX secolo che ha affrontato i grandi miti e le rivelazioni del sacro, per liberarsi dai pregiudizi del progressismo e dell'etnocentrismo. 11 secondo è il grande misantropo perdigiorno della cultura francese. Romeni entrambi, scettici entrambi. La loro corrispondenza dal 1933 al 1953 è raccolta da Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortas in "Una segreta complicità", in uscita per Adelphi. Eliade e Cioran erano separati dalla questione orientale. "Per tutta la vita ho amato il nichilismo; ma quando lo incontro organizzato e consacrato, come è il caso di alcune scuole indiane, ridivento transilvano", scrive Cioran a Eliade, che dall'oriente rimase folgorato. Erano uniti invece da un certo sguardo sull'occidente. Eliade gli parla del "disgusto per tutto quel che riguarda la cultura e la letteratura" e che "l'Europa sta crepando di stupidità, di tracotanza, di luciferismo, di confusione. Il mio disgusto dell'Europa assume, talvolta, forme d'alto tradimento". Eliade racconta che sull'Europa incombe "una catastrofe che non ha nulla di aurorale e neanche il prestigio dell'Apocalisse. Speravo che almeno mi fosse dato di assistere a un Dies irae, e invece vedo che si tratta di una banalissima filosofia: `Alzati, tu, affinché mi sieda io!". Eliade parla dell’ "autopsia del cristianesimo", oltre lo stadio terminale, già morto. Cioran gli risponde che "questi occidentali sono incredibili", malconci a causa di "quel terrore intellettuale, quell'ortodossia di sinistra che in occidente rende inutile o esasperante qualsiasi discussione". Discutono a lungo del Sessantotto. Scrive Cioran: "Che cosa pensi degli studenti di Berlino ovest? Se loro, che sono a un passo dal Muro, non hanno capito niente, come stupirsi che gli altri non capiscano niente di niente? Per fortuna che ci sono i cechi: loro hanno perso ogni illusione su quel paradiso-prigione che seduce quegli imbecilli dei tedeschi, condannati a essere sempre fuori strada o in bilico". Risponde Eliade: "Ho tenuto il corso trimestrale in sole quattro settimane, più tantissimi esami e, come se non bastasse, la `ribellione' degli studenti (si, i nostri, di Teologia!), che reclamavano il diritto di controllo dei professori (stipendi, ecc.) e `parità di ruolo' negli esami. Negli Stati Uniti l'incoscienza, l'infantilismo e il delirio di colpa (giacché sono “bianchi' e `cristiani') hanno raggiunto limiti tali da non suscitare più, almeno per me, alcun interesse". Come Eugène Ionesco, l'altro figlio "degli innominabili Balcani" adottato da Parigi, Eliade e Cioran rimasero sempre due esuli all'interno della cultura occidentale. Come li definì Franco Lucentini, due sradicati che hanno "imparato a servirsi magistralmente della lingua più elegante e stilizzata d'occidente per gridare enormità nel deserto".

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