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Il Foglio Rassegna Stampa
23.11.2019 Elie Wiesel (2001) e Shimon Peres (2013) sul conflitto israelo-palestinese
Due testimoni per capire meglio il presente

Testata: Il Foglio
Data: 23 novembre 2019
Pagina: 1
Autore: Elie Wiesel-Shimon Peres
Titolo: «La terra e una casa»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/11/2019, a pag.I, con il titolo " La Terra e una Casa" due interventi, il primo di Elie Wiesel, del 2001, il secondo di Shimon Peres, del 2013, al Parlamento europeo.

Due testimonianze, lontane tra loro, che si rileggono con profitto per capire quanto la storia in Medio Oriente cambi nell'arco di pochi anni. Gli Usa, con Trump presidente, aprono una nuova prospettiva con il riconoscimento del diritto di Israele sui territori di Giudea  e Samaria, mentre a Gerusalemme ci si prepara a una terza tornata elettorale, inevitabile se non succederà un miracolo. Da non escludersi, da quelle parti, come sosteneva Ben Gurion.

Elie Wiesel: 2001

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Ovunque vada, diceva il celebre Rabbi Nahman di Bratislava, i miei passi conducono a Gerusalemme". Eppure. Ebreo residente negli Stati Uniti, per molto tempo mi sono imposto di non intervenire nei dibattiti interni dello Stato di Israele. Non condividendo le sue tragedie, non essendo esposto ai pericoli che ne minacciano la popolazione e forse perfino l'esistenza, non mi arrogo il diritto di dare consigli sul modo di superarli. Avendo vissuto quello che ho vissuto e scritto quello che ho scritto, credo che il mio dovere morale sia semplicemente e inevitabilmente quello di aiutarlo, nella misura del possibile, a raggiungere la felicità e la stabilità senza generare infelicità intorno a sé. E di amarlo nella gioia e nel dolore. Al di là delle frontiere, considero il suo destino anche mio, poiché la mia memoria è legata alla sua storia. Anche la sua politica mi riguarda, certo, ma indirettamente. Le sue campagne elettorali mi interessano e le sconfitte mi imbarazzano, ma non essendo cittadino israeliano non vi partecipo. Provo simpatia per quel politico e ho qualche riserva su quell'altro, ma sono mie faccende personali e non ne parlo. Questo comportamento mi ha fruttato "lettere aperte" e articoli aspri da parte di giornalisti e intellettuali di sinistra; mi rimproverano di non protestare ogni volta che la polizia o l'esercito israeliano esagerano verso palestinesi civili o armati. E' raro che io risponda. I miei critici hanno la loro concezione dell'etica sociale e individuale, e io la mia. Io accordo loro il diritto di criticarmi, ma loro mi negano quello di astenermi dal rispondere. Oggi però si tratta di Gerusalemme, e la cosa è diversa. La sua sorte non coinvolge solo gli israeliani, ma anche gli ebrei della diaspora come me. Il fatto che io non abiti a Gerusalemme è secondario: Gerusalemme abita in me. E' indissociabile dal mio essere ebreo e resta al centro del mio impegno e dei miei sogni. Rispetto alla politica, per me Gerusalemme è situata a un livello più alto. Citata oltre 600 volte nella Bibbia, Gerusalemme è ancorata nella tradizione ebraica, di cui rappresenta l'anima collettiva e il punto di riferimento nazionale. Esiste una religione o una storia nella quale Gerusalemme svolga un ruolo più continuo o occupi un posto di maggior risalto? E' lei che ci lega gli uni agli altri. *** Non c'è preghiera più bella o più nostalgica di quella che ricorda il suo passato splendore e il ricordo terribile della sua distruzione. Un ricordo personale: quando ci andai per la prima volta, ebbi l'impressione che non fosse la prima volta. E, da allora, ogni volta che ci vado è sempre la prima volta. Quello che provo lì non lo provo in nessun altro posto. La sensazione di tornare nella casa dei miei antenati. Lì mi aspettano Re Davide e Geremia. Eppure. Ora, negli ambienti politici, si parla di un piano che vedrebbe la maggior parte della Città Vecchia finire sotto la sovranità palestinese. Il monte del Tempio, sotto il quale si trovano le vestigia del tempio di Salomone e di quello di Erode, apparterrebbe dunque al nuovo stato palestinese. Che i musulmani tengano a conservare un legame privilegiato con quella città, uguale a nessun'altra, è comprensibile. Benché il suo nome non compaia nel Corano, è la terza città santa della loro religione. Ma per gli ebrei continua a essere la prima. 0, meglio, l'unica. Perché i palestinesi non dovrebbero essere soddisfatti di conservare il controllo sui loro luoghi sacri come i cristiani continuerebbero ad avere diritto al controllo dei loro? Come si può dimenticare che, dal 1948 al 1967, mentre la Città Vecchia era occupata dalla Giordania, gli ebrei non avevano accesso al Muro del pianto, malgrado l'accordo ratificato dai due governi? A quel tempo i palestinesi non rivendicavano uno stato per loro e non menzionavano mai Gerusalemme. Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Perché improvvisamente i palestinesi si ostinano a voler conquistare Gerusalemme come capitale, mettendo in pericolo tutti i negoziati internazionali sugli accordi di Oslo? Forse per sostituire, al momento buono, Egitto e Arabia Saudita nel ruolo di leadership dell'intero mondo arabo? Yasser Arafat, che pure piace tanto a certi ufficiali di Washington, è riuscito a sbalordire i capi della diplomazia americana quando, a Camp David, lo scorso luglio, rifiutando le generosissime concessioni di Ehoud Barak, dichiarò che a Gerusalemme non c'era mai stato nessun tempio ebraico. Un' ignoranza sorprendente? Possibile. Ma sarebbe un errore non considerare questa dichiarazione sotto l'angolazione politica. In altre parole, quando Arafat pretende la Città Vecchia per farne la sua capitale, priva di fatto il popolo ebreo della sua legittimità sulla città di Davide e del suo diritto sul suo passato storico. Ci dicono che se Israele fa delle concessioni senza precedenti è per la giusta causa. Per la pace. Un'argomentazione che certo ha il suo peso. La pace è la più nobile delle aspirazioni, e merita che le sacrifichiamo quanto di più caro abbiamo. Sono d'accordo. Mi sembra un precetto saggio e generoso. Ma è applicabile a tutte le situazioni? Si può sempre dire "la pace a qualunque costo"? L'infame accordo di Monaco non era motivato, per inglesi e francesi, da un ingenuo desiderio di salvare la pace del mondo? Se cedere dei territori può sembrare, in certe condizioni, concepibile in quanto politicamente pragmatico se non addirittura imperativo, si può dire altrettanto di un piano che comporterebbe la rinuncia alla storia o la sua mutilazione? Insomma, c'è uno storico o un archeologo che possa negare la presenza ebraica tre volte millenaria sul monte del Tempio? Ma, allora, con *** che diritto Arafat lo rivendica? E perché il presidente Clinton, che pure è amico di Israele, gli dà il suo appoggio? E poi, ancora, con quale diritto il primo ministro israeliano Ehoud Barak si potrebbe sottomettere alle sue pressioni? Ma, per i miei fratelli in Israele, togliere la dimensione storica di Gerusalemme e di Israele non significa negare il loro diritto di risiedervi e di costruire lì le loro case? Mi si chiederà: e la pace, in tutto ciò? Io continuo a crederci con tutto il cuore. Ma dare la Città Vecchia di Gerusalemme ad Arafat e ai suoi terroristi, non significa approvare il loro comportamento e forse addirittura ricompensarli? I palestinesi insistono anche sul "diritto di tornare" di oltre tre milioni di rifugiati. Su questo punto, il rifiuto di Israele è compatto. Anche i pacifisti più fervidi, tra cui i grandi scrittori Amos Oz, A. B. Yehoshua é David Grossman, si oppongono pubblicamente. E vigorosamente. La soluzione di un ritorno di massa è impensabile. Portare tre milioni di palestinesi in Israele equivale fisicamente al suo suicidio, cosa che nessun israeliano in buona fede può accettare. Nello stesso ordine di idee, non si può forse dire che amputare Gerusalemme della sua parte storica equivarrebbe per molti ebrei a una sorta di suicidio morale? Quando, nel 1967, il giovane colonnello paracadutista Motta Gur gridò nel suo telefono da campo "il Monte del tempio è nelle nostre mani!", tutto il paese si mise a piangere. Dovremmo adesso piangerne l'abbandono? Lo dico con tristezza: dopo aver visto sui teleschermi i volti contratti dall'odio dei giovani palestinesi durante l'intifada II, dopo aver sentito i discorsi infuocati dei loro dirigenti, dopo aver studiato i manuali scolastici pubblicati nel 2000 sotto l'Autorità palestinese, oggi mi è più difficile credere alla volontà di pace dei palestinesi. Per i loro militanti, Israele rappresenta un'offesa permanente. Non vogliono un Israele ridotto: non vogliono Israele e basta. E' semplicissimo. Eppure. Poiché sembra che tutte le opzioni possibili siano state esaurite, la pace resta il nostro unico sogno da entrambe le parti, guerra e violenza hanno riempito troppi cimiteri. Cosi non si può e non si deve andare avanti. Lo dico in quanto ebreo che ama Israele: i palestinesi sono esseri umani. Hanno il diritto di vivere liberamente, dignitosamente, senza paura e senza vergogna. E il mondo e Israele devono fare il possibile per aiutarli senza far loro perdere la faccia. Questo è ancora più vero per gli arabi che risiedono in Israele: sono cittadini israeliani e i loro diritti devono essere protetti meglio. In questo modo, non saranno tentati dai demoni della doppia lealtà. Quanto al problema di Gerusalemme, non sarebbe meglio regolare le crisi e le emergenze in un clima di fiducia e di rispetto reciproci, rimandando le decisioni sulla sorte di Gerusalemme a più tardi? Nel frattempo, si potrebbero costruire dei ponti umani *** tra le due comunità: visite reciproche di gruppi scolastici, dagli scolari delle elementari agli studenti delle università,; scambi regolari tra insegnanti, musicisti, scrittori, ricercatori, artisti, industriali, giornalisti. E più in là, diciamo tra vent'anni, i loro figli saranno più preparati e meglio disposti ad affrontare la più scottante delle questioni: Gerusalemme. E tutti capiranno meglio dei loro genitori e dei loro nonni perché l'anima ebrea porta in sé la ferita e l'amore di una città senza la quale si sentirebbe mutilata, e le cui chiavi sono custodite dalla nostra memoria.

Shimon Peres: 2013

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Sono qui davanti a voi con il cuore che brucia di memorie e l'anima piena di speranze. Porto un profondo dolore dal passato e guardo con occhi fiduciosi al futuro. Sono immigrato in Israele nel 1934, all'età di undici anni. Nel 1942 lgli abitanti della mia città [in Polonia] furono per la maggior parte bruciati vivi. Se la mia famiglia avesse rinviato la sua partenza di otto anni, saremmo stati sterminati. Nel 1947, un anno prima della creazione di Israele, sono stato reclutato dal quartier generale dell'Haganah [l'organizzazione di autodifesa ebraica prima della nascita dello stato]. Da allora, Israele è stato attaccato sette volte, nei suoi 65 anni di esistenza. Eravamo inferiori per quantità di uomini e di armi. Le opzioni erano vincere o morire. Ho partecipato anche alla lotta contro un altro nemico: il deserto. E abbiamo vinto. Lo abbiamo fatto fiorire. Nessun altro popolo ha conosciuto nulla di simile. Ho i miei ricordi ma porto con me i miei sogni. Non sono venuto qui per riandare al passato, ma per continuare a sognare. Le persone invecchiano, i sogni sono senza età. Noi siamo cambiati. L'Europa è cambiata. Sono venuto a esprimere la nostra ammirazione per l'Europa che è cambiata, quell'Europa che si è risollevata all'indomani della peggiore di tutte le guerre mondiali. Si è separata dal suo passato, ha creato una nuova Europa. Voi avete trasformato l'Europa divisa degli ultimi mille anni nell'Europa unita di oggi. Avete sostituito i campi militari con i campus scientifici. L'Europa che ha conosciuto il razzismo, ora lo considera un crimine. So che state affrontando una crisi economica, ma i vostri cieli sono sgombri da nuvole di guerra. L'Europa ha corretto i suoi errori e sta costruendo un mondo migliore. Per noi, l'Europa della Shoah sta diventando un'Europa che sostiene la nostra rinascita. L'idea della rinascita di Israele è nata sul suolo europeo. Negli ultimi mille anni sono vissuti più ebrei in Europa che in qualsiasi altro continente. Ahimè, negli ultimi cento anni sono stati uccisi più ebrei in Europa che nei duemila anni precedenti. Qui abbiamo conosciuto la più grande tragedia della nostra storia. Qui abbiamo sognato una rinascita impossibile. Sei milioni, un terzo di tutto il nostro popolo, furono assassinati con la *** fame, il gas, il fuoco e le armi. Ciò che rimane di loro è cenere. Noi non dimentichiamo che i giusti tra le nazioni tennero accese candele di luce nel pieno delle tenebre. Piccolo fu il loro numero, ma grande il loro eroismo. Israele è nato dalle ceneri alla fine della Seconda guerra mondiale. Se allora qualcuno si fosse alzato a dire che nel giro di tre anni sarebbe stato creato uno stato ebraico, sarebbe stato preso per un visionario delirante. Eppure quel sogno è diventato realtà. E se qualcuno si fosse alzato, quello stesso giorno, a dire che nel giro di sei brevi anni sarebbe nata una nuova Europa unita, con la cancellazione delle frontiere e l'abbattimento_ delle barriere, sarebbe stato preso per Un autore di fantascienzä. Invece aéeadde anche questo miracolo. Il nostro dialogo, qui e ora, è un incontro tra due miracoli. Israele gode di un accordo di associazione con l'Europa e di stretti legami con l'Unione Europea praticamente in tutti i campi. Sono venuto a ringraziarvi per la vostra amicizia, che si fonda su valori comuni, vicinanza geografica e su una lunga storia. [...1 Siamo passati attraverso sette guerre. E le abbiamo vinte. Ma quando la pace è diventata possibile, abbiamo restituito a Egitto e Giordania tutti i territori e le risorse che avevamo conquistato in guerra. Abbiamo avviato un processo di pace con i palestinesi che ha reso possibile la creazione di una Autorità Palestinese. Poi abbiamo sgomberato la striscia di Gaza, abbiamo smantellato 22 insediamenti e portato a casa tutti gli israeliani che vi abitavano. I palestinesi avrebbero potuto usare la striscia di Gaza per costruire un'entità indipendente. Purtroppo, invece, l'hanno trasformata in una base terroristica. Ed è diventata una regressione del processo di pace. Israele è un'isola in un oceano in tempesta. Dobbiamo difendere la nostra isola. Ed è nostro interesse che l'oceano si plachi. Alcuni sostengono che ci vorranno generazioni. L'Europa ha dimostrato che grandi eventi possono essere realizzati in sei anni. Viviamo in una nuova era in cui gli eventi si sviluppano non più alla velocità delle carrozze, ma alla velocità dell'aereo. Per questo credo che la pace può essere raggiunta in breve tempo. Il processo di pace con i palestinesi ha già un inizio concordato e una soluzione concordata. Due stati per due popoli. Uno stato arabo, la Palestina, e uno stato ebraico, Israele, che vivano nella pace, nella sicurezza e nella cooperazione economica. Le questioni ancora controverse possono e devono essere negoziate. La pace, per Israele, non è solo una scelta strategica. E' un appello morale che viene dal profondo del nostro retaggio. Sin dall'Esodo, il nostro retaggio condanna la schiavitù e ripudia il predominio, giacché tutte le persone nascono eguali. Il nostro retaggio ci impone di perseguire la pace. Insieme con il mio compagno Yitzhak Rabin, abbiamo posto le basi per la pa€e con i palestinesi. Ora è il momento di continuare, di rinnovare il processo di pace. Dobbiamo continuare a lavorare con l'Autorità palestinese, sostenere la sua economia, arrivare alla pace. E' stata creata una forza di sicurezza palestinese e voi europei, con gli americani, l'avete istruita. Ora operiamo insieme per prevenire terrorismo e criminalità. *** La nostra mano rimane tesa in pace verso tutti i paesi del medio oriente. Tra breve verrà formato un nuovo governo israeliano. E' l'occasione per riprendere i negoziati di pace, per realizzare la soluzione a due stati. Non c'è un'altra soluzione. Non è solo ciò che vogliamo, è anche ciò che richiede la realtà odierna. [...1 Israele viene descritto come una "nazione start-up". Io credo che tutto il medio oriente possa diventare una regione start-up. Incubatori di imprese ad alta tecnologia come quelli israeliani potrebbero essere creati iri tutta la regione per sottrarla alla povertà. Israele è un paese piccolo, e noi cerchiamo di tratte vantaggio della nostra piccolezza. Abbiamo scoperto che i paesi piccoli possono diventare grandi progetti pilota. Oggi stiamo cercando di costruire un modello sociale che consenta di colmare il divario tra abbienti e non abbienti: il divario sociale è un grave problema per noi tutti, ricchi e poveri. Siamo alla ricerca di nuovi modi per superare questa lacuna democratizzando la salute, l'istruzione, le comunicazioni e riducendo il costo della vita. Si tratta di necessità brucianti per le giovani generazioni. La scienza oggi è più efficace della politica, è universale e senza confini. Gli eserciti non possono conquistare il sapere, la polizia politica non può arrestare la scienza. Sono convinto che l'aiuto scientifico ai paesi in via di sviluppo può metterli in condizione di sfuggire alla povertà. Imprese globali basate sulla ricerca scientifica possono contribuire a cambiare il mondo, la globalizzazione pone fine al razzismo e dà potere all'individuo. Questo è il migliore aiuto che possiamo offrire alle giovani generazioni del mondo arabo, per rispondere alle sfide della nuova era. Unendo il sapere dell'Europa e l'esperienza di Israele possiamo superare le sfide di domani. Mentre guardo al futuro dell'amicizia che lega Israele e Unione europea, sono pieno di speranza e di determinazione. Mano nella mano, costruiremo un futuro migliore per le generazioni di domani.

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