martedi` 23 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
07.08.2019 Donald Trump sotto accusa: dal Foglio ai lettori del New York Times. Ma chi era davvero il killer di Dayton?
Il commento critico di Trump di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 07 agosto 2019
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Trump è molto nei guai con i dossier Turchia e Iran (e pure il resto non va bene)»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/08/2019 a pag. 1 con il titolo "Trump è molto nei guai con i dossier Turchia e Iran (e pure il resto non va bene)" il commento di Daniele Raineri.

Connor Betts, l'assassino di Dayton (Ohio) che ha ammazzato nove persone prima di essere ucciso, si dichiarava metallaro e di sinistra, odiava Trump, adorava Satana e sosteneva la senatrice democratica Elisabeth Warren. La notizia viene però citata solo di sfuggita, mentre sul banco degli imputati i media mettono esclusivamente il suprematismo bianco.

Non riprendiamo dal MESSAGGERO, a pag. 10, il pezzo di Flavio Pompetti dal titolo "Proteste dei lettori, il New York Times cambia il titolo morbido su Trump", un articolo senza infamia e senza lode che però riporta le proteste di numerosi lettori del NYT per un titolo giudicato troppo poco critico di Trump. Non stupisce una simile reazione, visto quello a cui li ha abituati la testata di New York, solita ad attaccare frontalmente e senza meze misure il Presidente americano.

L'articolo di Raineri critica ma non criminalizza Trump, riconoscendogli anche dei meriti. Raineri potrà scrivere in futuro altri articoli senza insultare Trump?

Ecco l'articolo di Daniele Raineri:

Immagine correlata
 Daniele Raineri
     

Immagine correlata
Donald Trump

Roma. Il presidente americano, Donald Trump, sta perdendo le partite con l’Iran e con la Turchia del presidente Erdogan e sono sconfitte che si sommano ad altri fallimenti in politica estera in questi giorni. I cinesi hanno appena svalutato lo yuan, che è una contromossa molto dura in quella guerra commerciale con l’America che Trump già pensava di avere vinto a suon di dazi. La Corea del nord ha lanciato missili balistici a corto raggio per la quarta volta in meno di due settimane – con gittata sufficiente a colpire la Corea del sud e le basi americane – e tutti gli osservatori leggono questi test come messaggi di insoddisfazione contro l’Amministrazione americana. L’obiettivo di denuclearizzare Kim Jong Un è troppo lontano per essere raggiunto, a dispetto degli incontri personali e spettacolari. Per non parlare dell’offerta di mediazione a India e Pakistan sul dossier Kashmir, subito respinta. Mentre succede tutto questo, arrivano i brutti segnali da Turchia e Iran – che sono dossier meno seguiti ma sono lo stesso cruciali. Domenica il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che un’operazione militare turca per prendere una pezzo enorme del Kurdistan siriano potrebbe cominciare da un momento all’altro e di avere già avvertito Russia e America. Gli americani trattano da un anno con i turchi per scongiurare o almeno ritardare questa mossa, ma è chiaro che i negoziati non funzionano. Hanno offerto ai turchi una fascia di sicurezza profonda 14 chilometri da cui i curdi siriani si ritirerebbero e che passerebbe sotto il controllo misto di militari americani e turchi – che avrebbero anche la possibilità di smantellare tutte le fortificazioni curde vicino al confine.
Erdogan vuole invece una fascia di sicurezza profonda almeno 32 chilometri, per creare una zona cuscinetto tra il confine della Turchia e i curdi – che considera terroristi pericolosi perché affiliati al Pkk. In questa zona cuscinetto i turchi riverserebbero molti dei tre milioni di profughi siriani che da anni vivono in Siria e che i media della Turchia da qualche giorno trattano con una luce pessima, per farli diventare ancora più sgraditi a un’opinione pubblica che già non li ama. Sarebbe un’operazione di ingegneria etnomilitare per togliere ai curdi la contiguità con la Turchia, rimpiazzare i curdi con arabi siriani e creare nello spazio così conquistato un nuovo territorio sotto il controllo dell’esercito turco. E’ molto probabile che la nuova area sarebbe consegnata ad alcuni reparti di quelle forze militari che un tempo erano ribelli contro il rais siriano Bashar el Assad ma che oggi sono diventate (anche) estensioni paramilitari della politica turca in Siria. Già hanno il controllo del cantone di Afrin, da cui i curdi sono stati cacciati con un’operazione simile nel gennaio 2018. Trump a dicembre aveva annunciato dopo una telefonata con Erdogan il ritiro a sorpresa dei duemila soldati americani che assieme ai curdi controllano la Siria orientale, strappata battaglia dopo battaglia ai fanatici dello Stato islamico, e aveva detto che i turchi avrebbero pensato loro alla guerra contro lo Stato islamico. Il ritiro poi non è avvenuto – misteri della politica trumpiana – e i curdi con l’appoggio dei bombardieri e delle forze speciali americane hanno espugnato anche l’ultima zona in mano ai terroristi islamisti, a Baghouz. Adesso però il Pentagono dice che non si potrà opporre all’opera - zione turca in Siria. Di fatto, non riuscirà a fermare una guerra fra la Turchia (esercito più grande della Nato dopo quello americano) e i curdi che sono stati preziosi alleati nella guerra contro lo Stato islamico. E i curdi avvertono che in caso di conflitto non potranno fare la guardia ai campi dove custodiscono decine di migliaia di prigionieri dello Stato islamico, stranieri inclusi. Per lo Stato islamico è uno scenario da sogno: perdere la guerra nella Siria orientale a marzo, vedere la stessa zona precipitare nel caos di una nuova guerra nel giro di cinque mesi. In Iran il presidente Trump voleva ripetere il miracolo mediatico compiuto in Corea del nord: incontri che erano considerati impossibili, strette di mano davanti ai giornalisti eccitati, immagini storiche. Ma il piano non sta funzionando. Due giorni fa il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, ha respinto un invito alla Casa Bianca – dopo essere stato colpito da sanzioni personali. Ieri il regime iraniano ha fatto sapere che la condizione preliminare per ogni eventuale incontro è la fine delle sanzioni. Se Trump vuole i flash dei fotografi e una visita storica a Teheran, prima dovrà annullare le sanzioni americane – incluse quelle ancora più dure che aveva aggiunto alle già esistenti. Se lo facesse, seguirebbe lo stesso percorso di Obama – che congelò le sanzioni nel luglio 2015 – ma senza nemmeno ottenere uno stop alla produzione di materiale nucleare. Difficile che accetti.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT