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Il Foglio Rassegna Stampa
25.04.2019 'Il lato oscuro della storia', di Daniel Pipes
Recensione di Vincenzo Pinto

Testata: Il Foglio
Data: 25 aprile 2019
Pagina: 3
Autore: Vincenzo Pinto
Titolo: «Il lato oscuro della storia»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi 25/04/2019, a pag. 3, la recensione al libro di Daniel Pipes "Il lato oscuro della storia" di Vincenzo Pinto.

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Vincenzo Pinto

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La copertina (Lindau ed.)

Il tema del “complotto” appare di strettissima attualità. Col saggio Il lato oscuro della storia Daniel Pipes analizza le cause politico-economiche del complottismo da un’angolatura neoconservatrice. Pipes, figlio dello storico Richard (uno dei più noti studiosi americani di storia russa), non nasconde le sue simpatie politiche filoisraeliane, ma non si concentra unicamente sull’antisemitismo. Studioso del mondo islamico, Daniel è diventato nel corso degli anni un esperto di cose mediorientali, rivestendo importanti ruoli politici sotto l’Amministrazione di George W. Bush. Dal 1990 dirige il Middle East Forum, dedicato a promuovere gli interessi americani in medio oriente. Malgrado la curvatura islamista delle analisi di Pipes, Il lato oscuro della storia è dedicato al Novecento e al complottismo dei regimi totalitari. Il lavoro è diviso in nove capitoli. Nei primi tre l’autore abbozza una teoria generale del complottismo, individuando i minimi comuni denominatori. Alla base della teoria del complotto vi è la tesi che l’apparenza inganni, che dietro i fenomeni si nasconda un meccanismo oscuro e maligno pensato per ingannare gli uomini.

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Daniel Pipes

Questo meccanismo è un essere in continuo divenire, un nulla che ha bisogno di assumere le fattezze di un ente fenomenico: il crociato, il massone, il gesuita, l’ebreo, il comunista, ecc. L’autore si sofferma nei successivi capitoli sulla storia del complottismo che, pur avendo origini medievali (le crociate e la nascita degli ordini cavallereschi), si sostanzia solo alla fine del Settecento con la Rivoluzione francese e prosegue poi nel corso dell’Ottocento con la massificazione della società. L’apice è stato raggiunto durante il periodo interbellico, quando gli Stati totalitari (Germania e Unione sovietica) si reggevano su basi ideologiche complottistiche. Il saggio di Pipes ha l’indubbio merito di storicizzare la teoria del complotto e di mostrarci la sua genesi e le sue influenze in contesti molto diversi. L’aspetto di maggior interesse consiste nell’aver evidenziato l’origine “complottistica” del leninismo e nell’aver tentato di ripulirlo dal quel primato “estetico” che ancora oggi una parte del mondo intellettuale occidentale ravvisa nel programma gnostico del comunismo. Le assonanze fra movimenti così differenti corrono tuttavia il rischio di far rientrare l’epistemologia “complottistica” dalla finestra: gli studi psicologici e semiotici hanno dimostrato come la mentalità complottistica non sia patrimonio solo di alcune frange paranoiche estremistiche e come il postulato della “simpatia” della semiosi ermetica giustifichi accostamenti non sempre storicamente corretti.

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