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Il Foglio Rassegna Stampa
02.04.2019 La storia degli ebrei nei Paesi arabi e il politicamente corretto: un libro e un film che hanno niente in comune
Recensioni di Alessandro Litta Modignani, Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 02 aprile 2019
Pagina: 1
Autore: Alessandro Litta Modignani - Giulio Meotti
Titolo: «La stella e la mezzaluna - 'Fatevi piacere tutto'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 02/04/2019, a pag.3 con il titolo "La stella e la mezzaluna" la recensione di Alessandro Litta Modignani; a pag. 1-4, con il titolo 'Fatevi piacere tutto' il commento di Giulio Meotti.

Ecco gli articoli:

Alessandro Litta Modignani: "La stella e la mezzaluna"

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Alessandro Litta Modignani

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La copertina (Guerini e associati ed.)

Il primo secolo delle conquiste arabo-islamiche, estremamente celeri ed eccezionalmente vaste, corrispose a uno spartiacque nella storia dell’umanità; un evento unico, che mutò radicalmente le sorti del mondo”. Muove da questa basilare considerazione l’interessante saggio che Vittorio Robiati Bendaud dedica ai tormentati rapporti fra islam e popolo ebraico. La vita degli ebrei nei domini islamici è caratterizzata soprattutto dall’istituto giuridico-teologico della dhimma, l’ambiguo “patto di protezione” che costringeva gli ebrei a versare un tributo con umiliazione, in una condizione sospesa “fra riconoscimento e svilimento, tra accettazione e sottomissione, tra discriminazione e persecuzione”. L’espansione islamica rivela fra l’altro un particolare paradosso: la civiltà “giudaico-cristiana”, come oggi la intendiamo, è di nascita relativamente recente, preceduta da un lunghissimo periodo di persecuzioni; viceversa, la convivenza dell’ebraismo in seno all’islam dura assai più a lungo e in profondità – e si conclude solo alla metà del Novecento. Quando l’islam muove alla conquista della Spagna, ad esempio, i cripto-ebrei sopravvissuti accolgono gli arabi come liberatori. Dopo la breve parentesi del Califfato di Cordova, aperto e tollerante, seguiranno un po’ ovunque atroci persecuzioni, a testimoniare che il cosiddetto “periodo andaluso” non fu affatto così buono, come idealizzato da una certa storiografia. Secoli più tardi, con la conquista di Costantinopoli, l’impero ottomano diviene la più grande potenza mondiale, e di nuovo gli ebrei collaborano alla sconfitta dei cristiani, loro storici persecutori. Gli ottomani accolgono favorevolmente l’immigrazione ebraica cacciata da Spagna e Portogallo; i sefarditi trovano accoglienza a Salonicco, a Rodi, nella stessa Costantinopoli e un po’ ovunque. Dopo il 1517, molti tornano a Gerusalemme e in “Eretz Israel”. Gli ebrei vengono così a costituire un millet, una comunità autonoma in seno all’impero, come gli armeni e i greci, con i quali spesso si troveranno a condividere la sorte. Nella seconda parte del saggio, l’autore tratta delle successive, sistematiche persecuzioni e massacri che gli ebrei patiscono in terra musulmana, fino al 1917 – esattamente quattro secoli dopo – quando gli inglesi liberano Gerusalemme dagli ottomani e si impegnano nella dichiarazione Balfour. Tutto ciò che per gli ebrei costituisce una speranza di liberazione – gli stati nazionali, la modernità, il diritto, la laicità, le libertà individuali – per gli arabi è tradimento e complicità con il colonialismo: l’islam è teocratico e dunque non secolarizzabile. Con la nascita di Israele, scompaiono tutte le comunità arabo-giudaiche e, con esse, l’intero ebraismo orientale.

Giulio Meotti: 'Fatevi piacere tutto'

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Giulio Meotti - la locandina del film che Bret Easton Ellis non ha capito in base a quanto riporta Giulio Meotti. Entrambi dimenticano il razzismo bianco negli Usa, in particolare negli stati del sud.

 

 

 

Roma. Due giorni dopo l’ultima notte degli Oscar, Bret Easton Ellis faticava a credere a quello che si diceva sulla vittoria del film Green Book. Il film non sarebbe altro che l’ennesima celebrazione retrograda dell’uomo bianco salvatore. “Il commento è molto più stupido di quanto mi aspettassi, il film viene usato come una specie di simbolo per qualcosa che non è, ma che sta accadendo nella cultura”. Bret Easton Ellis, non certo uomo di destra o conservatore, è sempre stato un maestro di cattiva pubblicità. E dopo cinque romanzi, una raccolta di storie, una serie di podcast e di liti sui media, Ellis ha ancora molto da dire. Il 16 aprile pubblicherà il suo primo libro in nove anni. Sarà il suo esordio nella saggistica. E “White” non piacerà a tutti. Anzi, non sta già piacendo. “Bret Easton Ellis’ Book ‘White’ and Why You Don’t Need to Read It”, scrive l’Observer. Ma all’autore di “American Psycho” (che Irvine Welsh ha definito “l’esegesi letteraria più indispensabile e feroce della società che abbiamo creato”) non importa. “Sono un po’ perplesso dal suo disconoscimento delle élite costiere liberal, dal momento che è chiaramente sotto molti aspetti un membro iscritto”, ha detto di Ellis lo scrittore e suo amico, Jay McInerney. “White” è un saggio su come il groupthink sta uccidendo la cultura americana, ma non solo. “L’unico obiettivo è fare soldi” scrive Ellis. “E questo ci spinge ad adottare il noioso conformismo della cultura aziendale e ci costringe a reagire in modo difensivo verniciando i nostri sé imperfetti in modo che possiamo vendere e vendere. La nuova economia dipende dal fatto che ognuno mantenga un atteggiamento reverenzialmente conservatore ed eminentemente pratico: tieni la bocca chiusa e la gonna lunga, non avere opinioni sfacciate se non quelle del gruppo di maggioranza”.

All’inizio, il titolo del libro di Bret Easton Ellis doveva essere “White Privileged Male”, visto che l’analisi dello stato di “uomo bianco privilegiato” ricorre spesso tra le pagine. Ma rimpiangendo i tempi in cui Twitter era un posto libero proprio perché vi si poteva dire di tutto, Ellis ha pensato che il titolo fosse una presa in giro. Così ha ripiegato sul più semplice “White”. Per salire la scala economica, scrive Ellis, oggi serve “una reputazione brillantemente ottimista con una finta superficie impeccabile. E’ un miasma da falso narcisismo, così che quelli di noi che rivelano difetti e incoerenze o esprimono idee impopolari diventano improvvisamente terrificanti per coloro che sono coinvolti in un mondo di conformismo corporativo e censura che rifiuta il contrarian”. L’altra parola che ricorre in “White”, oltre a groupthink, è inclusivity: “E’ una inclusività universale, tranne per coloro che osano fare domande”. Il #MeToo? “Doveva ripulire un mondo putrido, ma il crescendo di offese è sfociato in una rabbia generalizzata nei confronti della categoria ‘uomini bianchi sopra i cinquanta’ che devono essere purgati perché Hillary Clinton ha perso le elezioni, o almeno è questo che sembra”. “La sicurezza dell’opinione di massa” Le piattaforme dei social media impongono “conformismo e censura calpestando la passione e mettendo a tacere l’individuo”. Ellis parla di una “orribile fioritura della relazionabilità, l’inclusione di tutti nella stessa mentalità… l’ideologia che propone a tutti di essere sulla stessa pagina, la pagina migliore”. E’ la “presunta sicurezza dell’opinione di massa. E se rifiuti di unirti al coro di approvazione sarai etichettato come un razzista o un misogino. Questo è quello che succede a una cultura quando non si preoccupa più dell’arte”. Quali regole vigono per avere successo? “Farsi piacere tutto ed essere falsamente positivi per adattarsi alla banda. Tutti continuano a postare recensioni positive nella speranza di ottenere lo stesso risultato. Piuttosto che abbracciare la natura veramente contraddittoria degli esseri umani, con tutti i nostri pregiudizi e imperfezioni, continuiamo a trasformarci in robot virtuosi”. E contro la relazionabilità, Bret Easton Ellis dice di avere una sola regola: “Se fai lo scrittore ci deve sempre essere qualcuno che ti odia”.

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