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Il Foglio Rassegna Stampa
06.04.2018 'Il dovere di uccidere. Le radici storiche del terrorismo', di Vittorio Strada
Recensione di Francesco Berti

Testata: Il Foglio
Data: 06 aprile 2018
Pagina: 2
Autore: Francesco Berti
Titolo: «Devi uccidere!»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/04/2018, a pag. 2 con il titolo "Devi uccidere!" l'analisi di Francesco Berti, Professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Padova.

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Vittorio Strada

Maggio 1862: a Pietroburgo e Mosca viene diffuso il proclama rivoluzionario Giovane Russia. L’autore di questo scritto, Pëtr Zainevskij, profetizza l’avvento di una società socialista, nella quale scomparirà l’“intolle - rabile oppressione sociale”. Questa meta radiosa dovrà essere raggiunta attraverso una “rivoluzione sanguinosa e inesorabile” che rivolterà la Russia da capo a piedi. “Scorrerà un fiume di sangue” e “periranno anche vittime innocenti”. L’umanità va infatti divisa in due categorie, gli amici e i nemici della rivoluzione. “Chi non sarà con noi sarà contro di noi” e “i nemici vanno sterminati con ogni mezzo”. In questa mattanza generale, “come vittima purificatrice pagherà con la propria vita tutta la famiglia dei Romanov!”. “Alle asce!”. Lenin nascerà otto anni dopo: eppure il testo di Zainevskij prefigura non solo lo spirito generale che avrebbe caratterizzato la rivoluzione bolscevica, ma anche alcune misure particolari, come appunto lo sterminio della famiglia reale. Evidenzia l’importanza di questo scritto Vittorio Strada, tra i maggiori slavisti europei, che nel suo ultimo lavoro – Il dovere di uccidere. Le radici storiche del terrorismo (Marsilio, 2018) – riflette criticamente sul terrorismo russo, da metà Ottocento fino all’instaurazio - ne della dittatura comunista, a cavallo tra storia, filosofia e letteratura. La storia del terrorismo russo, sottolinea Strada, è davvero paradigmatica: esso è stato “il più duraturo e incisivo che si conosca, e quello dagli effetti più catastrofici, in quanto prodromo del totalitarismo comunista e, indirettamente, di quello nazionalsocialista”.

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La copertina (Marsilio ed.)

Attraverso l’analisi di alcune figure chiave e dei testi più significativi dell’ala terrorista del movimento rivoluzionario, prendendo inoltre in considerazione gli attentati più clamorosi compiuti dai terroristi, Strada mette in luce il rapporto di continuità e discontinuità tra il terrorismo pre-rivoluzionario ottocentesco e primo novecentesco e quello scatenato dai bolscevichi dopo il 1917. Elementi di continuità vanno indicati sia nei mezzi – l’utilizzo dell’assassinio come strumento per il perseguimento di obiettivi politici palingenetici – sia nei fini – il progetto di creare una società radicalmente socialista, impedendo così la modernizzazione liberale e capitalista della Russia. Va tuttavia rimarcata anche una discontinuità sostanziale: i terroristi populisti, socialisti e anarchici uccidevano coloro che consideravano responsabili dell’infelicità del popolo, mentre i comunisti al potere, sottolinea Strada, elimineranno intere categorie sociali in quanto “materiale sociologico inadatto per la costruzione del mondo nuovo”: “Noi non lottiamo più contro singole persone” confesserà il dirigente della Ceka Martyn Lacis, “noi annientiamo la borghesia come classe”. Sotto questo riguardo, lo studio di Strada conferma la centralità dell’autore del Catechismo del rivoluzionario, Sergej Neaev, al cui fanatismo criminale si ispirò Dostoevskij nei Demoni. Neaev fu fondamentale per l’incontro tra lo spirito del nichilismo e quello del comunismo: il progetto rivoluzionario di “distruzione spietata, radicale e universale” dell’esistente doveva essere attuato da una dittatura comunista per mezzo dello sterminio di grandi raggruppamenti di nemici della rivoluzione, selezionati preventivamente e arbitrariamente dall’ideologia rivoluzionaria. Non a caso Lenin, un fratello terrorista del quale fu giustiziato per aver progettato di uccidere lo zar, serbò immutata nel tempo la sua giovanile venerazione per Neaev, di cui apprezzava in particolar modo il proposito di assassinare i Romanov. Lo studio di Strada chiarisce inequivocabilmente come il terrore rosso non fu un esito accidentale dovuto a circostanze avverse. Al contrario, le circostanze furono intenzionalmente create dai bolscevichi per applicare il programma pantoclastico e le misure di terrore di massa auspicate nei decenni precedenti da una parte considerevole del movimento rivoluzionario. Ma l’opera di Strada non è volta unicamente al passato: lo studioso evidenzia similitudini e differenze tra i terroristi otto-novecenteschi e gli odierni terroristi islamici. Accomunate dallo “spirito fanatico e totalitario”, queste due categorie di terroristi, oltre che per i diversi fini perseguiti, si differenziano in un altro punto decisivo. Il comandamento rivoluzionario “devi uccidere!” poteva provocare nei terroristi russi una lacerazione della coscienza: l’omicidio continuava ad essere percepito dalla cultura rivoluzionaria come un male, benché passibile di riscatto ad opera di “una idealità superiore”. Il terrorista islamico, invece, “vive il suo gesto spesso suicida come una sorta di automartirio sommamente meritevole che sarà ricompensato nell’aldilà. La fede religiosa dà a questo martire-assassino una garanzia di eticità che nessuna ideologia può eguagliare”.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

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