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Il Foglio Rassegna Stampa
21.03.2018 'Da duemila anni', di Mihail Sebastian
Recensione di Alessandro Litta Modignani

Testata: Il Foglio
Data: 21 marzo 2018
Pagina: 4
Autore: Alessandro Litta Modignani
Titolo: «Da duemila anni»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 21/03/2018, a pag. IV, la recensione di Alessandro Litta Modignani al libro di Mihail Sebastian "Da duemila anni" (Fazi ed.)

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Alessandro Litta Modignani

Ambientato nel cruciale periodo fra le due guerre mondiali, Da duemila anni è uno straordinario romanzo autobiografico, scritto in forma di diario e pubblicato per la prima volta in Romania nel 1934. Mihail Sebastian descrive lucidamente, con una sorprendente capacità visionaria, il dilagare dell’antisemitismo in Romania, la crescita del movimento sionista, l’avvicinarsi della tragedia europea. Il diario prende le mosse dal 1923, quando le università romene sono investite da un’ondata di odio e violenza contro gli studenti ebrei, che vengono cacciati dalle lezioni, rincorsi, picchiati. Il protagonista subisce, si colpevolizza, si isola.

 

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La copertina (Fazi ed.)

“La loro ostilità, quella degli antisemiti, sarebbe tutto sommato sopportabile. Ma come ce la caveremo con la nostra stessa ostilità, con la nostra ostilità interiore? (…) Qualsiasi ebreo, per quanto vile sia la sua coscienza, riconosce in se stesso peccati infinitamente più gravi”. Il giovane Mihail assiste curioso a una conferenza di Jabotinsky, stretto fra la determinazione dei coetanei sionisti e la critica del suo amico Haim, “marxista incurabile”; mentre il vecchio libraio Sulitzer, ebreo errante, mantiene tutto il suo scetticismo: “Crede che i ragazzi di Jabotinsky abbiamo qualcosa da spartire con quei nostri duemila anni di sangue?”. Preso in mezzo fra idealismo laico, tradizione religiosa e lotta di classe, Mihail si sente “un albero fuggito dal bosco” e giudica il sionismo “una rivolta contro il destino”. Il tempo passa. Grazie ai preziosi consigli del professor Blidaru, lo studente incerto e introverso ha infine trovato la sua strada: ora è un architetto affermato. Memore dell’esperienza passata, scrive a un giovane amico ebreo di Budapest: “Resta dove sei. Passerà, dimenticherai tutto. Ti hanno picchiato? Non fa niente. Ti picchieranno dieci volte ancora, poi si stancheranno. (…) Pensa se ci allarmassimo ogni volta che la pioggia ci bagna… E’ solo un po’ di pioggia”. Nel diario di Sebastian c’è posto anche per l’amore, la gelosia, l’amicizia virile, l’arte, l’architet - tura. Mentre il mondo si avvia verso il caos, egli osserva con freddezza l’antisemitismo crescere ovunque. Scopre che sono antisemiti il suo antico maestro Vieru, il suo amico francese Buret e il nichilista Parlea, che da modesto impiegato pubblico si trasforma in un carismatico trascinatore di folle gonfie di odio. “Io conosco due tipi di antisemiti: quelli duri e puri e quelli con argomenti. Con i primi, tutto sommato, posso arrivare a capirmi, fra me e loro tutto è chiaro. Invece con gli altri è difficile, perché è inutile rispondere. Essere un antisemita con argomenti è una perdita di tempo. (…) Oggi cause politiche, ieri cause economiche, l’altro ieri cause religiose; troppe cause e troppo particolari, per un fatto così storicamente generalizzato. (…) Quelli che tu chiami argomenti, in realtà sono solo scuse”. Sopravvissuto alle persecuzioni e alle devastazioni, riammesso all’insegnamento universitario, Mihail Sebastian muore in un incidente stradale, a guerra appena finita, il 29 maggio 1945.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/589090 , oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

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