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Il Foglio Rassegna Stampa
26.02.2018 Se a Abu Mazen va tutto storto la colpa è di Israele?
Si accorgeranno che a Washington non c'è più Obama?

Testata: Il Foglio
Data: 26 febbraio 2018
Pagina: 2
Autore: Redazionale
Titolo: «Cosa vogliono i palestinesi?»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 26/02/2018, a pag.II, con il titolo "Cosa vogliono i palestinesi?" un estratto dal quotidiano israeliano in lingua inglese The Jerusalem Post.

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Lo ricevono tutti, ma non gliene va mai bene una...

Gli arabi palestinesi devono decidere qual è il loro obiettivo. Gli slogan non serviranno allo scopo. Sembra che aspirino più a ottenere soddisfazione emotiva che risultati concreti. Ad esempio, assicurarsi un gran numero di risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano Israele o esaltano la loro causa nazionale, e minacciare fino alla nausea di trascinare Israele e israeliani davanti a tribunali internazionali, sono cose che non hanno nessun effetto positivo sulle condizioni degli arabi palestinesi. E urlare a gran voce che si spalancheranno le porte dell'inferno ogni volta che qualcuno fa qualcosa che contrasta con la loro narrativa aggiunge forse una dimensione poetica (o patetica) alla loro causa, ma nient'altro. Imporre precondizioni per qualsiasi negoziato con Israele, e abbandonare i negoziati ogni volta che conviene, non ha migliorato granché la posizione negoziale degli arabi palestinesi rispetto a Israele. Hanno avuto otto anni di un'amministrazione americana molto ben disposta, sotto la guida del presidente Barak Obama, e li hanno inutilmente sprecati. Gli è stata offerta l'opportunità di tentare di dare vita a un processo diplomatico che fosse conveniente per loro, e non l'hanno fatto. Ma c'è un limite a quanto gli arabi palestinesi possono incolpare Israele per qualsiasi cosa vada loro storta. Ora hanno trovato un altro colpevole: gli Stati Uniti. Il loro modo di comportarsi con gli Stati Uniti è singolare, sebbene a suo modo coerente: anziché cercare di modificare le cose a proprio vantaggio, se ne stanno in disparte ad accusare, recriminare e boicottare. Il presidente Donald Trump ha detto in modo chiarissimo che il riconoscimento ufficiale degli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale di Israele non predetermina i futuri confini della città. E ha anche chiarito che, per questo risultato, Israele avrebbe dovuto "pagare" (in termini di concessioni). Come mai gli arabi palestinesi non erano lì a esigere tale "pagamento"? La loro strategia volta a stremare Israele è fallita. Credevano che gli attentati contro i civili israeliani ne avrebbero indebolito la risolutezza (e qui bisogna ricordare che Abu Mazen, il presidente dell'Autorità palestinese, è stato costantemente contrario al terrorismo dai tempi degli Accordi di Oslo del 1993). Credevano che una virulenta campagna ostile diplomatica e legale avrebbe indebolito la posizione internazionale di Israele; che boicottare i prodotti israeliani avrebbe indebolito l'economia israeliana; che minacciare di sprofondare la regione nell'odio e nella violenza avrebbe indebolito il controllo israeliano su Gerusalemme e altre aree. Se preferiscono aspettare che Israele scompaia dalla realtà o che si indebolisca talmente da poterlo cancellare, molte altre generazioni di arabi palestinesi continueranno ad acclamare, inneggiare e annunciare l'apertura delle porte dell'inferno, mentre gli israeliani continueranno a svilupparsi, diventando ancora più forti e di successo.

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