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Il Foglio Rassegna Stampa
29.01.2018 'Il falò della cultura occidentale', di Giulio Meotti
Presentazione di Ryszard Legutko

Testata: Il Foglio
Data: 29 gennaio 2018
Pagina: 1
Autore: Ryszard Legutko
Titolo: «Il falò della cultura occidentale»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/01/2018, a pag.I, con il titolo "Il falò della cultura occidentale", un estratto della prefazione di Ryszard Legutko al nuovo libro di Giulio Meotti “Il suicidio della cultura occidentale” (Lindau). Legutko è l’ex ministro dell’Istruzione della Polonia e docente di Filosofia all’Università Jagellonica di Cracovia.

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La copertina (Lindau ed.)

Il libro di Giulio Meotti è sulla decadenza dell’Europa contemporanea e della civiltà occidentale in generale. L’argomento è noto, ma la serietà dell’accu - sa è stata difficilmente presa in considerazione da un numero abbastanza grande di persone per invertire la tendenza. Meotti vuole che la trattiamo il più seriamente possibile, e ha ragione. E’ consuetudine liquidare questa accusa facendo spallucce: “Quanto spesso lo abbiamo sentito… è diventato così noioso, ci dia qualcosa di più emozionante”. Il problema della decadenza è che in tutta la storia della civiltà occidentale quelli che hanno sollevato questa accusa sono stati di solito ragionevoli e le previsioni cupe si sono avverate. Platone e Aristotele avevano avvertito i loro connazionali che la loro compiacenza avrebbe portato alla caduta dell’Atene democratica, e così è stato. E la storia successiva si è ripetuta, non solo nell’antica Roma. Nel XX secolo due guerre mondiali furono precedute da periodi di decadenza, insieme a un senso diffuso di oscurità avvertito da coloro che avevano occhi per vedere, orecchie per ascoltare e testa per pensare. I pessimisti avevano ragione, poiché a quei brevi periodi di decadenza leggera seguirono disastri inimmaginabili. Il mondo finisce – ha scritto T. S. Eliot – “non con uno schianto ma con un lamento”. Su questo punto, dovrebbe essere corretto. Quello che è iniziato come un lamento è finito con uno schianto. E’ nella natura delle società decadenti respingere tutti questi avvertimenti, perché mancano di un grado sufficiente di serietà per vedere la gravità del problema. La natura dell’uomo moderno gli impedisce di cogliere tali messaggi, ed è facile capire perché.

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Giulio Meotti

Giulio Meotti inizia il suo libro con l’immagine del Burning Man, un festival o piuttosto un rito della civiltà moderna che si svolge in Nevada in mezzo al deserto. Un rito che ogni anno attrae sempre più partecipanti e che non è qualcosa di unico, ma esprime ben note idee e ossessioni che costituiscono l’anima dell’uomo moderno. La più forte di quelle idee e ossessioni è il sesso (…) L’uomo moderno ha perso il senso del passare del tempo e rifiuta di riflettere sulle possibili conseguenze della società che ha creato. E’ sorprendente come l’uomo moderno sia tanto interessato ai fiumi e alle foreste, ma che sia allo stesso tempo disinteressato alla famiglia o alla società. Lì il pensiero a lungo termine non esiste. Al contrario, la gratificazione immediata, a prescindere dalle conseguenze, gli sembra il corso naturale delle cose. I partecipanti al Burning Man puliscono sempre e raccolgono i rifiuti, ma non pensano mai ai rifiuti mentali che hanno prodotto. Vivere nel presente e concentrarsi sulla gratificazione immediata ha fatto dimenticare all’uomo moderno ciò che lo ha reso la persona che è. Ha liquidato una vasta parte del patrimonio europeo, in primo luogo il cristianesimo e l’antichità. Tende a credere che il mondo sia sempre stato come è oggi. Il patrimonio cristiano e antico ha imposto l’auto-limitazione, il controllo dei piaceri, la santità della vita e il matrimonio, e altri obblighi a lungo termine che egli nella sua orgogliosa ignoranza crede siano solo un vecchio racconto. Di fronte al pericolo reale – qualche decennio fa era il potere sovietico, ora islamico – la sua prima reazione sarebbe quella di arrendersi, probabilmente assumendo che il piacere della decadenza vincerà in ultima analisi il cuore delle forze ostili e trasformerà i nemici in amici (...) L’uomo moderno potrebbe chiedere la nostra comprensione o anche il perdono se fosse riuscito a rendere il nostro mondo più libero. Avrebbe potuto allora dire: “La libertà è un esperimento rischioso, ma almeno grazie alla nostra azione avete una libertà più ampia di prima, e dipende da voi decidere come usarla; non mi merito la vostra condanna, ma la vostra gratitudine perché io, come Dio nel Giardino dell’Eden, vi ho fornito una libertà di scelta“.

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Il problema è che il mondo moderno con le sue ossessioni sul sesso, con la sua sconsideratezza sulla famiglia e il matrimonio, con le sue élite scristianizzate e deellenizzate che abbracciano la graduale islamizzazione dell’Europa, non è diventata più libera. Al contrario, questa indulgenza apparentemente spontanea e questa incomprensibile compiacenza hanno generato un crescente sistema di piccole regole – legali, politici e culturali – che sono penetrate sempre più profondamente nella nostra vita. L’analfabetismo culturale non ha aperto le menti delle nuove generazioni; al contrario, le ha chiuse a un livello difficile da immaginare anche mezzo secolo fa. La nostra libertà è notevolmente diminuita, ma noi, avendo accettato senza riflessione la retorica prevalente, in qualche modo riteniamo che sia cresciuta. L’uomo nuovo non tollera alcun dissenso. Viviamo in un sistema potente con un’impressionante dinamica a espandersi che sta per respingere e, in ultima analisi, mettere fuori legge, tutte le regole e le abitudini che si trovano sulla sua strada. Abbiamo pochi esempi positivi di società che hanno superato lo stato della decadenza da sole, prendendo coscienza dei propri difetti. Di solito è un tipo di disastro che riporta al senso comune, soprattutto quando è troppo tardi. Eppure, io sono del parere che una riflessione critica abbia un suo ruolo da svolgere. Quindi dobbiamo ascoltare attentamente coloro che vogliono svegliarci da un sonno decadente, dobbiamo leggere libri come questo di Giulio Meotti con tutta la serietà che merita e dobbiamo trarne le conclusioni.

Di fronte al pericolo – qualche decennio fa il potere sovietico, oggi quello islamista – la prima reazione dell’uomo contemporaneo è di arrendersi, assumendo che il piacere della decadenza trasformerà i nemici in amici. Lo racconta il libro di Giulio Meotti Qui un estratto del libro di Meotti. “Il suicidio della cultura occidentale” sarà in libreria a partire dal 1° febbraio. Tutto andava bene! Quando nacque, a metà degli anni 80, il festival del Burning Man era un evento di “controcultura”. Quei giovani edonisti, come gli europei partiti per combattere con lo Stato islamico, volevano sovvertire la società occidentale. Ma cercavano l’opposto di un califfato dei sottomessi, sognavano una società “liberata”. Oggi quella settimana di sesso, condivisione e divertimento nel deserto americano attrae un’armata di centomila transumanisti occidentali cresciuti nell’ottimismo panglossiano del tutto è possibile (...) E’ il sesso l’attrazione principale nel deserto di Black Rock, questo set dell’insostenibile leggerezza dell’Occidente. Il sesso tra burners, i partecipanti, si consuma in un grande rito di permissivismo che termina con l’incendio cerimoniale della statua di un uomo in legno (...) Il festival del Burning Man prese vita in un momento molto speciale. Le torri del World Trade Center di New York dominavano il cielo di Manhattan, il Muro di Berlino era appena crollato, gli intellettuali europei ingannavano il tempo discutendo di “fine della storia” con Francis Fukuyama, i “delitti d’onore” esistevano soltanto in Anatolia e nelle università americane si cantava “Hey, hey, ho, ho, Western culture’s got to go” (“la cultura occidentale deve cadere”). Era l’alba di un Mondo Nuovo di consumatori responsabili e di mangiatori di loto. Dopo le guerre del XX secolo, la prospettiva di una noia globale, senza conflitti né identità, una stasi di consenso e piacere, sembrava un pranzo di gala. Chi poteva resistere? C’è un detto in America: “Quello che accade a Las Vegas, resta a Las Vegas”. Quello che accade al Burning Man è invece dilagato in tutto l’Occidente. Questa è la condizione umana contemporanea, talmente delirante da apparire ridicola. Era l’inizio del grande “decennio pacifico”, che si estese dalla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, alla caduta delle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. Una magica tregua fatta di sesso, pace e prosperità, evasioni fiscali, politiche e sentimentali, senza le angosce geopolitiche ed esistenziali che sarebbero venute prima e dopo. Un decennio di frivolezze e di relax post-ideologici (…) Ha scritto Hilaire Belloc che “mentre ridiamo, siamo guardati da grandi e terribili volti. E su questi volti, non c’è sorriso”. Osama bin Laden osservava intanto nell’ombra, mentre gli occidentali se la spassavano al Burning Man. Lui sognava di bruciare l’Occiden - te. Nel 1993 ordinò di attaccare il World Trade Center di New York. L’amministrazione Clinton fece spallucce. Nel 1998, al Qaida distrusse due ambasciate americane in Africa. Clinton rispose con un paio di inutili missili da crociera in Sudan e in Afghanistan. Nel 2000, gli islamisti sventrarono la nave americana US Cole. Ancora una volta, Clinton si dimenticò di lanciare una rappresaglia. Così bin Laden concluse che il suo sospetto sulla debolezza americana era corretto. E iniziò a pianificare l’11 settembre. Tra il 1996 e la metà del 2000, bin Laden non si stava nascondendo. Predicava nella più grande moschea di Kandahar, usava il telefono satellitare e concedeva interviste ai media: nel 1996 a Robert Fisk; nel 1997 a Peter Arnett della Cnn; nel 1998 a John Miller di Abc News; nel 1999 a un giornalista di Time. Ma l’Occidente non ascoltava, troppo impegnato nel Burning Man. Gli islamisti avevano capito che la trappola è nel fronte interno e lo “stile di vita” che difendiamo a chiacchiere (…) Negli ultimi cinquant’anni, il continuo successo della civiltà occidentale ha creato un senso di onnipotenza. Tutto è diventato possibile. Nessuna società aveva mai conosciuto così tanto. Nessuna società era mai stata così tanto prosperosa. Nessuna società era mai stata tanto ossessionata dalla ricchezza e dallo “stare bene”. Nessuna società era mai stata tanto “differenziata”. Nessuna società aveva stimato tanto l’individuo (…) Secoli di guerre, rivoluzioni, invasioni, genocidi: tutto per produrre, in questo piccolo angolo del pianeta che chiamiamo “Occidente”, l’umanità più straordinariamente agiata, più incredibilmente oziosa, più sfacciatamente disinibita, più molle e allo stesso tempo più eticamente virtuosa, più affrancata dalla fatica fisica, più incline a consumare “cul - tura”, più traboccante di filantropia e di buoni sentimenti. Ma c’era l’impressione che si stesse pagando un prezzo troppo alto. Nel film di Pedro Almodovar, “La mala educación”, si ripete una frase del protagonista Ignacio: “Io non credo in niente e quindi non ho paura di niente”. E’ il nuovo motto dell’Occidente. Dal 2015 al 2017, una scena si è ripetuta con frequenza ormai monotona, ogni mese e spesso più volte al mese, sul suolo europeo. A terra, corpi insanguinati di morti e feriti, i suoni delle sirene, i volti delle vittime e l’identità degli assassini sui giornali del mattino, i fiori, le candele e i discorsi altisonanti e vuoti dei politici, i terroristi islamici che emettono minacce e proclami di vittoria. La scena si svolge in modo più o meno simile ovunque.

A chiunque abbia ascoltato le registrazioni audio di Osama bin Laden, di Abu Bakr al-Baghdadi e di altri sceicchi del terrore, queste hanno mostrato un’abile comprensione della situazione in Occidente. Il “dipartimento pubbliche relazioni” di al-Qaida, dell’Isis e del jihad globale ha da tempo capito come parlare agli occidentali in una lingua che essi possano capire. Hanno capito che, per preservare il nostro Burning Man quotidiano, siamo disposti a offrire qualche centinaio di innocenti ogni anno all’islam radicale (…) In nome di cosa possiamo oggi combattere? La prosperità? Troppo poco. La religione? Non è più possibile, ormai è un fatto privato in Occidente, intimo. In nome di una civiltà? Sì. Ma dobbiamo prima imparare ad amarla. E noi non sappiamo più farlo (…) Philippe Bénéton in un libro lo ha chiamato “Le dérè- glement moral de l’Occident”, il disordine morale dell’Occidente. La diffusione del fondamentalismo islamico, dell’intolleranza del dissenso nelle nostre enclave culturali e la tendenza puritana dei social media fanno pensare che lo sviluppo della libertà degli ultimi secoli sia sotto assedio. Il filosofo neomarxista, il critico sociologico, l’attivista per i diritti umani, la femminista radicale, la pasionaria animalista, il giornalista impegnato, il critico letterario postmoderno formano una sorta di partito onnipotente che ci dice come dobbiamo pensare e che veicola un pensiero debolissimo che mantiene una posizione fortissima nei media, a scuola, all’università. Tutto l’Occidente è assorbito da questa super ideologia di consenso e di conformismo (…) L’Occidente potrebbe dichiarare la vittoria nel processo di globalizzazione. Le istituzioni politiche che si sono sviluppate in Occidente, le democrazie liberali, lo Stato di diritto e il catalogo dei diritti, sono la norma in quasi tutto il mondo. Si può dire lo stesso sull’economia capitalista e lo sviluppo tecnologico avanzato, pratiche sociali emerse in Occidente e diventate globali. L’Occidente è dominante sul palcoscenico globale, ma si sta sfaldando dall’interno (…) C’è ancora un Occidente, nel senso di entità fisiche dell’America settentrionale, dell’Europa, delle ex colonie britanniche e di parti dell’Asia occidentale. L’infrastruttu - ra è luminosa. Ma esiste al suo interno ancora una cultura occidentale basata sulla libertà di espressione, il senso critico, il giudeo-cristianesimo, l’umanesimo, un vero Stato di diritto? O, invece, esiste l’Occidente come un’immensa zona ricreativa, guidata dal pilota automatico della ricchezza e da una eguaglianza diffusa? Oggi, l’idea stessa che ci sia qualcosa di caratteristico della cultura occidentale è sotto attacco su diversi fronti e non da parte dei fondamentalisti islamici soltanto. I multiculturalisti nell’accademia e nelle altre istituzioni culturali denunciano l’Occidente come razzista, imperialista ed etnocentrico. E’ facile ormai perdersi nel labirinto della nostra stessa barbarie ideologica (…) Quasi tutti i generi dell’espressione artistica e intellettuale sono stati colpiti dal terrorismo islamico: la musica (Bataclan e Manchester), la satira e il disegno (Charlie Hebdo), la stampa libera (il giornale danese Jyllands Posten), il romanzo (Salman Rushdie), le statue (Musei Capitolini a Roma), i film (Theo van Gogh), l’esegesi accademica (papa Ratzinger a Ratisbona). E non siamo stati in grado di difenderli. Non uno solo. Gli artisti postmoderni che hanno sempre offeso e dissacrato ritengono che l’islam meriti “rispetto”. I musei e le gallerie, sempre provvidi di esperimenti culturali, hanno abbattuto in silenzio dipinti che potevano “scioccare i musulmani” e hanno messo in magazzino manoscritti con le immagini di Maometto. La domanda chiave per gli occidentali è: amiamo le nostre libertà tanto quanto loro le odiano? Per questo ogni volta che i musulmani hanno fatto pressioni per un’ulteriore concessione, l’Occidente ha ceduto. Il fronte interno è già crollato.

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