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Il Foglio Rassegna Stampa
23.12.2017 Davide vs Golia: dal Corsera al fallimenti grillini
Commenti di Guido Vitiello e un editoriale

Testata: Il Foglio
Data: 23 dicembre 2017
Pagina: 1
Autore: Guido Vitiello-Editoriale
Titolo: «Anarchia dall'alto-Roma e tutti gli altri fallimenti grillini»

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Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/12/2017, due articoli per la serie Davide vs Golia. A pag.1, l'analisi di Guido Vitiello sul Corrierone da quando è diventato proprietà Cairo, il "grillismo in abito grigio", come acutamente lo definisce Vitiello.
A pag.3 una analisi sui fallimenti, da non dimenticare.

Guido Vitiello: " Anarchia dall'alto "

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Guido Vitiello

Sono mesi, ormai, che non riesco più a chiamarlo Corriere della Sera. Avevo deciso di ribattezzarlo “Il Facta Quotidiano”, ma un amico mi ha subito obiettato che almeno Facta provò a proclamare lo stato d’assedio. In Via Solferino invece, mentre monta l’onda più limacciosa e nera della storia repubblicana, se va bene fanno il morto a galla, se va male il surf con i pantaloncini a fiori. Onore a Facta, dunque; e restando nell’album di famiglia della testata, onore alla dignità tragica di Luigi Albertini, che aveva un concetto alto dei compiti storici della borghesia e che finì per scontare il suo benintenzionato abbaglio, l’illusione che si potesse salvare il vecchio tronco dello stato liberale immettendovi la linfa del fascismo – che era semmai la scure pronta ad abbatterlo. La candela della ragione borghese che il Corriere teneva sotto il moggio di calcoli imprudenti irraggiava meglio altrove, sulla Stampa di Salvatorelli e negli interventi di Ambrosini che dal 1919, sul quotidiano torinese, scandì il suo ritornello impeccabile: “L’anarchia scende dall’alto”. Oggi le tappe dell’ammutinamento borghese sono più concitate e soprattutto più indolori. Al Corriere si erano dati il compito di “co - stituzionalizzare” il M5s, il cui miglior omaggio alla Costituzione è stato finora quello di usarla, il 4 dicembre 2016, come palla da demolizione. Ma quella fase è alle spalle, missione compiuta: la srl del figlio di Casaleggio ha incoronato, in una chiave di marketing della rassicurazione, uno che sa mantenere l’aria del portaborse democristiano anche quando dice, come sull’euro, fantascientifiche bestiaggini. Al Corriere tanto basta; l’unico cruccio, tutto sartoriale, è di non veder sgualcito il “grillismo in abito grigio”. Chissà se Donna Assunta conserva ancora il ferro da stiro del marito. Del resto, l’ha spiegato Galli della Loggia, forse i grillini non sono eversivi (lui non sa, deve chiederlo al giurista), sono “soltanto” antidemocratici. E altre grandi firme hanno precisato che lo squadrismo grillino è “soltanto” verbale e digitale, quindi tutto bene (l’unica regola del gioco civile, a quanto pare, è non spaccare nasi). Alle fasi della capitolazione culturale e della pseudo-costituzionalizzazione trasformistica si può ormai mettere la spunta, e passare oltre. Eccoci così al caso Boschi, che al di là del (microscopico) merito e della (macroscopica) ipocrisia si può considerare la prima “esercitazione militare congiunta” delle potenze dell’asse mediatico-politico che qui Maurizio Crippa ha battezzato Circo Grillo e che io, in onore a Pannella e al suo tormentone sulla P-Scalfari, preferisco chiamare P-Cairo. Niente di complottardo, nessun odore di massoneria, tutto fin troppo visibile: è la ciclica storia del potere italiano, le cui fazioni, dietro i paraventi retorici del “popolo” contro la “casta”, delle campagne di moralizzazione e di indignazione orchestrata, fanno i loro regolamenti di conti tutti intestini, compiono i loro riposizionamenti tattici, consumano le loro vendette. Era già accaduto, in grande stile, nel 1992 –ma quella è una storia che si fatica ancora a raccontare; e chissà che la parola più rivelatrice di questi giorni non l’abbia detta suo malgrado proprio Di Maio, salutando “il Mario Chiesa della Seconda Repubblica”. Le scimmie urlatrici dei talk-show e le piazze digitali indignate sono solo massa di manovra. L’anarchia, anche oggi, scende dall’alto

Editoriale: " Roma e tutti gli altri fallimenti grillini "

Per l’incredibile fiasco di Virginia Raggi circola una teoria giustificazionista che si appella ai “mali eterni” di Roma. E’ una balla: la capitale è stata quasi sempre decentemente amministrata, dal leggendario Ernesto Nathan del primo Novecento, poi sotto il fascismo, con i sindaci espressione dei costruttori nel Dopoguerra, fino a Rutelli e Veltroni. Dal piano regolatore umbertino con scuole e licei d’avanguardia, all’Eur, alle infrastrutture delle Olimpiadi, alle estati romane, tutti ne avevano fatto una metropoli tendente alla modernità e al cosmopolitismo. Ma il vero sponsor di Virginia Raggi è stato semmai Ignazio Marino, della sinistra etica che sempre distrugge quella di governo (ricorda nulla?). Perciò, che il 9 gennaio Raggi venga o no rinviata a giudizio, poco cambia: se non che il pil di Roma, da sempre sopra la media nazionale, è finito sotto. Né la collega ex modello Chiara Appendino, che a Torino ereditava un ancora più stabile benessere amministrativo ed economico, può esibire alcunché: oltre alla tragedia di piazza San Carlo parlano il dissesto della Gtt, l’azienda di trasporto pubblico, il no ideologico grillino ai capitali privati in pieno triangolo industriale, le bocciature del bilancio 2016, le faide interne al movimento. Anche Parma, prima conquista nel 2012, “si governava da sola”. Ma il sindaco Federico Pizzarotti è stato anche il primo a mandare a quel paese Beppe Grillo. La sua rielezione da indipendente dimostra che meet-up, blog, statuto, e tutte le trovate della ditta Casaleggio, lo stesso Grillo, sono solo fuffa, se si vuole affrontarle senza complessi. A Livorno Filippo Nogarin, eletto nel 2014 causa la pancia piena della sinistra nella roccaforte rossa, ha subito fatto rimpiangere i vecchi politici: si è opposto al raddoppio del porto, già finanziato dal governo; ha dormito, letteralmente, nella notte dell’alluvione di settembre (nove morti) poiché la Protezione civile a cinque stelle non rispondeva alle chiamate di quella regionale. E anche su di lui, come su tutti i suoi colleghi della diversità etica, incombono processi e accuse di illeciti. Questo è il bilancio locale di chi si candida a governare il paese “in nome dell’onestà e della competenza”.

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