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Riprendiamo dal FOGLIO, di oggi 31/08/2017, a pag. 4, con il titolo "Islam sotto esame", il commento di Franco Debenedetti.
I fanatici che uccidono in nome dell’islam agiscono all’interno del perimetro dell’islam. […] I seguaci dell’Isis applicano al Corano alla lettera, fanno di questo il fondamento stesso della loro vita quotidiana , e vogliono riprodurre integralmente la prima forma politica conosciuta dall’islam, il Califfato. Il loro universo è certo anacronistico, ma corrisponde a una realtà che è esistita 14 secoli fa. […] I soldati dell’Isis giustificano le loro azioni con riferimento al Corano e si rifanno a un contesto particolare della storia dell’Islam, quello segnato dalle guerre del profeta Maometto a Medina. [Agiscono] sulla base di un principi scritto nero su bianco nel Corano [2:191]: ‘Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati’”. Se le cose stanno come nelle parole di Abdellah Tourabi (che Claudio Cerasa, sul Foglio del 21 agosto, vorrebbe si imparassero a memoria, e che io quindi incomincio col riprodurre), chi vuole rimuovere le radici religiose di questi atti terroristici è colpevole non di “cialtronismo populista”, ma di favoreggiamento: e come tale dovrebbe essere trattato. E invece quei musulmani “che provano a denunciare nelle proprie comunità l’orrore del fondamentalismo islamico e l’efferatezza della legge coranica”? Non se ne disconosce la buona fede, ma se ne riconosca l’inadeguatezza. Perché la denuncia dell’orrore abbia effetto, bisogna che diventi condanna dell’errore. Perché i sentimenti umani non restino fatti individuali, bisogna che diventino posizioni dottrinarie. E’ necessario che venga esplicitamente riconosciuto che applicare oggi i princìpi enunciati dal profeta 14 secoli fa è un errore teologico, e che chi lo pratica si pone, lui e chi gli dà aiuto e supporto, fuori dalla religione islamica. Dispute teologiche hanno marcato la nostra storia. Sappiamo bene cosa possono smuovere questioni quali la comunione dei fedeli, se debba essere sotto una o due specie, la salvezza, se dipenda dalla sola fede o anche ex bonis operibus, la verità religiosa, se stia nella Bibbia o se ci sia bisogno di intermediari tra Dio e l’uomo. Noi non ci siamo limitati a denunciare e a condannare, noi ci siamo divisi per le nostre idee. Abbiamo discusso, ragionato, definito, deliberato. Noi abbiamo avuto il Concilio di Trento. Questo è quello di cui c’è bisogno, l’analogo per l’islam di quello che fu il concilio di Trento: una sorta di professio fidei che isoli, come fece quella tridentina, chi vuole l’interpretazione letterale e anacronistica del Corano, da quelli che ne danno una lettura relativistica. Con tutte le conseguenze che ne derivano, non solo in termini di rispetto per la vita, ma anche più in generale di rispetto degli individui, uomini e donne. Né dovrebbero temersi le guerre cui diede origine la divisione tra protestanti e cattolici, e che insanguinarono l’Europa: perché qui le guerre ci sono già state, anzi sono state loro a far crescer e a diffondere il terrorismo islamista. L’assenza di una gerarchia religiosa Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@ilfoglio.it |
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