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Il Foglio Rassegna Stampa
30.08.2017 Corea del Nord: si alza la tensione, ma il Giappone non reagisce
Commenti di Giulia Pompili, Tra virgolette

Testata: Il Foglio
Data: 30 agosto 2017
Pagina: 1
Autore: Giulia Pompili - Tra virgolette
Titolo: «Missilate senza frontiere - Iran, Iraq, Corea del nord. 15 anni dopo il discorso di Bush sull’Asse del male non è cambiato niente»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/08/2017, a pag. 1, con il titolo "Missilate senza frontiere" l'analisi di Giulia Pompili; con il titolo "Iran, Iraq, Corea del nord. 15 anni dopo il discorso di Bush sull’Asse del male non è cambiato niente", il commento a firma Tra virgolette.

Ecco gli articoli: 

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Ci vuole così tanto a fermarlo?

Giulia Pompili: "Missilate senza frontiere"

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Giulia Pompili

Roma. E’ una provocazione “seria, grave e senza precedenti”, ha detto il primo ministro giapponese Shinzo Abe mentre tutto il mondo aspettava una reazione all’ultima sfida nordcoreana. All’alba di ieri un missile nordcoreano ha sorvolato il territorio nipponico per circa due minuti: è stato lanciato intorno alle 5 e 58 da una postazione mobile vicino all’aeroporto internazionale di Pyongyang, e ha volato in tutto circa quattordici minuti per poi cadere in acque internazionali nell’oceano Pacifico, a più di mille chilometri dalle coste giapponesi. E per la prima volta ieri mattina (la notte tra lunedì e martedì in Italia) gli abitanti dell’Hokkaido, l’isola più a nord del Giappone, sono stati svegliati da un inusuale quanto inquietante segnale degli altoparlanti, che avvertivano di un possibile attacco missilistico, e poi di allontanarsi dai luoghi aperti e “trovare rifugio” in edifici sicuri o sottoterra.

L’Hokkaido e gran parte del Tohoku, l’isola centrale del Giappone, sono stati interessati dall’allarme J-alarm, un sistema satellitare all’avanguardia che di solito è usato per avvertire in tempo reale i cittadini – tramite smartphone, messaggi in televisione e alla radio – su terremoti, maremoti, e altre catastrofi naturali. Ieri, però, la minaccia arrivava dai vicini nordcoreani. Secondo le stime preliminari, il missile sarebbe di un tipo a medio raggio – per intenderci, non un Icbm, un missile intercontinentale. I tre stadi sono caduti in tre punti differenti ma in acqua, e non sulla terraferma (uno dei messaggi lanciati dalle autorità negli altoparlanti pregava la popolazione di non toccare alcun oggetto sospetto caduto dal cielo, e di contattare le Forze di polizia). Come di consueto, le risposte internazionali sono arrivate poco dopo. Il Giappone ha richiesto all’Egitto, che presiede questo mese il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una riunione d’emergenza. Il presidente americano Trump ha ripetuto in una dichiarazione ufficiale che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, ma dopo una conversazione telefonica di una quarantina di minuti con Shinzo Abe, i due si sono accordati per un “aumento della pressione” contro la Corea del nord, che vuol dire nuove sanzioni, e probabilmente più isolamento diplomatico. “Non è il momento del dialogo” ha detto Abe, non finché Pyongyang prosegue con il suo programma missilistico, un passo alla volta sempre più tecnologicamente avanzato. Mentre l’Amministrazione Trump è messa alla prova dalla tempesta in Texas, però, ci si domanda come mai il Giappone abbia lasciato cadere una provocazione così.

In Hokkaido, già da qualche mese, si eseguono esercitazioni antimissilistiche, proprio perché i test nordcoreani sin dalla fine del 2016 arrivano sempre più vicini – la maggior parte degli ultimi missili di Pyongyang sono caduti nella Zona economica esclusiva giapponese, quella parte di mare che precede le acque territoriali. Da una parte il problema è politico, e riguarda le convenzioni internazionali e le norme che regolano i rapporti tra Tokyo e il resto del mondo. Alla fine della Seconda guerra mondiale al Giappone venne imposta da parte degli americani una Costituzione che gli impedisse di riformare l’esercito e tornare all’aggressività imperialistica. In particolare tutto ruota intorno all’articolo 9, che tra le altre cose impedisce a Tokyo di dotarsi di un esercito regolare ma solo di Forze di autodifesa. E in effetti la sicurezza e la difesa giapponese sono già il tema più caldo delle elezioni politiche previste nel dicembre del 2018. La riforma costituzionale, che nel progetto dell’attuale primo ministro Shinzo Abe dovrebbe far tornare il Giappone ad avere un esercito regolare, è osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica, da una parte degli alleati di governo e di gran parte del partito d’opposizione, il Partito democratico.

Non è ancora chiaro, stante l’attuale situazione, se Tokyo possa procedere con l’intercettazione e l’abbattimento di un missile balistico che si avvicina al suo territorio. Tecnicamente, le Forze di autodifesa infatti possono entrare in azione soltanto in caso di attacco diretto sul territorio, e un sorvolo a 550 chilometri di altezza non è un attacco diretto. Poi c’è un secondo fattore: i sistemi antimissilistici attualmente sul suolo giapponese – e che ieri, per mostrare le capacità difensive, sono stati mostrati dai media nell’ambito di una esercitazione alla base statunitense di Yokota, a Fussa, vicino Tokyo, sono i PAC-3 americani. Sono sistemi con una capacità di gran lunga inferiore, per esempio, allo scudo antimissile Thaad che gli Stati Uniti stanno istallando in Corea del sud. Se il governo giapponese decidesse di intercettare e tentare l’abbattimento di un missile nordcoreano, non è detto che ci riesca: a quel punto, però, il danno d’immagine per le capacità difensive degli alleati sarebbe irreparabile. Non è la prima volta che il Giappone viene sorvolato da un missile nordcoreano. L’ultima volta è accaduto nel 2009, e in quel caso non si trattava di un missile ma, formalmente, di un razzo lanciatore nordcoreano che avrebbe dovuto portare un satellite in orbita. I razzi e i missili vivono della stessa tecnologia, ma otto anni fa Pyongyang aveva coperto l’operazione con la scusa del programma spaziale. Stavolta, invece, ha mostrato la faccia.

Ieri un’analisi di Stratfor sottolineava come a rendere più difficile la previsione di quando e come un missile nordcoreano viene lanciato sia il fatto che da qualche tempo vengono usati i lanciatori mobili, e da zone apparentemente non militari. La traiettoria del missile di ieri non coincide con il “piano d’attacco” dichiarato da Kim Jong-un nel periodo di Ferragosto: l’esercitazione, che prevedeva il sorvolo del Giappone, sarebbe dovuta avvenire contro Guam – e quindi avrebbero dovuto lanciare il missile verso sud, mentre ieri hanno lanciato verso nord. C’è un problema tecnico e geografico, spiega Stratfor: i confini nordcoreani rendono difficile per Pyongyang testare un missile balistico in condizioni di attacco realistiche senza sorvolare un paese vicino. Solo che fino a ieri, proprio per evitare la provocazione, i missili a medio e lungo raggio erano lanciati molto in alto, ieri invece la traiettoria è stata più orizzontale. E’ per tutti questi motivi che Shinzo Abe ha definito il lancio di ieri “senza precedenti”.

 

 

Tra virgolette: "Iran, Iraq, Corea del nord. 15 anni dopo il discorso di Bush sull’Asse del male non è cambiato niente"

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L' "Asse del male"

Roma. Il 29 gennaio 2002, quattro mesi dopo gli attentati alle torri gemelle e al Pentagono, il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush decise di lanciare la “War on Terror”, la guerra al terrore. Il presidente indicò come nemici non solo i terroristi islamici, ma anche e soprattutto i paesi che li sostenevano dal punto di vista ideologico e logistico. Bush identificò tra i protagonisti di questo “asse del male”, come lo definì, tre stati in particolare: la Corea del nord, l’Iraq e l’Iran. Quindici anni dopo, nelle relazioni internazionali americane non sembra essere cambiato granché. Gli Stati Uniti sono ancora impegnati in Iraq, e non possono abbandonare il paese, dilaniato dalla guerra allo Stato islamico, dal pericolo dell’influenza iraniana e dalla lotta tra le varie tribù; i rapporti con l’Iran, migliorati grazie all’accordo sul nucleare voluto dall’Amministrazione Obama, sono di nuovo molto tesi.

Il Congresso ha da poco approvato nuove sanzioni, il presidente Donald Trump non ha mai nascosto la propria ostilità a un accordo con i persiani, che dal canto loro si fidano sempre meno della controparte americana; la Corea del nord è una minaccia sempre più concreta a causa dei notevoli passi in avanti nel programma missilistico e le ripetute dimostrazioni di forza che mettono alla prova i sistemi di sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Il test di ieri, che ha visto un missile nordcoreano sorvolare il nord del Giappone, lo dimostra. “Le nostre scoperte in Afghanistan hanno confermato le nostre peggiori paure. Abbiamo visto la profondità del loro odio nei video dove ridono della morte di innocenti. E la profondità del loro odio è proporzionale alla follia della distruzione che intendono perpetrare. Abbiamo trovato piantine delle centrali nucleari americane e degli acquedotti, istruzioni dettagliate per produrre armi chimiche, mappe di sorveglianza delle nostre città e accurate descrizioni dei monumenti americani e del mondo intero. Quello che abbiamo trovato in Afghanistan conferma che, lungi dall’essere terminata, la nostra guerra contro il terrore è solo all’inizio.

La maggior parte dei 19 uomini che hanno dirottato gli aeroplani erano stati addestrati nei campi afghani, dove erano addestrati per assassinare. Questi uomini sono spesso supportati da regimi fuorilegge, e ora sono sparsi per il mondo come bombe a orologeria pronte per essere usate senza avvertimento. Grazie al lavoro dei nostri ufficiali e dei nostri alleati migliaia di terroristi sono stati arrestati. Ciononostante, decine di migliaia di terroristi addestrati sono ancora a piede libero. Questi nemici vedono l’intero mondo come un campo di battaglia, e noi dobbiamo combatterli ovunque siano. Finché i campi di addestramento restano operativi e le nazioni ospitano i terroristi, la libertà è a rischio. L’America e i nostri alleati non lo permetteranno. Le nostre nazioni continueranno a essere decise, pazienti e insistenti nel perseguire due grandi obiettivi. In primo luogo distruggeremo i campi di addestramento e le fabbriche dei terroristi, che verranno consegnati alla giustizia. In secondo luogo dobbiamo impedire che i terroristi e i regimi che cercano di ottenere armi chimiche, biologiche o nucleari minaccino gli Stati Uniti e il mondo.

Il nostro esercito ha eliminato i campi di addestramento del terrore in Afghanistan, ma continuano a essercene in almeno una dozzina di paesi. I terroristi di tutto il mondo, inclusi gruppi come Hamas, Hezbollah, Islamic Jihad, Jaish e Mohammed, operano in giungle remote, deserti o si nascondono nel centro delle grandi città. Anche se l’operazione militare più visibile è in Afghanistan, l’America sta agendo anche altrove. Abbiamo truppe nelle Filippine, che aiutano ad addestrare le forze armate locali che poi contrastano i terroristi che hanno giustiziato un americano o trattengono ostaggi. I nostri soldati, che ora lavorano con il governo bosniaco, hanno arrestato i terroristi che stavano organizzando un attentato alla nostra ambasciata. La nostra marina sta pattugliando le coste africane per bloccare il traffico di armi e la costruzione di campi di addestramento dei terroristi in Somalia. La mia speranza è che tutte le nazioni ascolteranno il nostro appello eliminando i terroristi parassiti che minacciano i loro paesi e il nostro. Molte nazioni stanno agendo. Il Pakistan sta eliminando il terrorismo, e io ammiro la forte leadership del presidente Musharraf. Ma altri governi sono ancora timidi davanti al terrore. E non si illudano: se non agiscono, lo farà l’America.

Il nostro secondo obiettivo è impedire ai regimi che sponsorizzano il terrore di minacciare l’America o i nostri amici e alleati con armi di distruzione di massa. Alcuni di questi regimi sono rimasti silenti dopo l’11 settembre, ma noi conosciamo la loro vera natura. La Corea del nord è un regime che si arma con missili e armi di distruzione di massa, nonostante affami i suoi cittadini. L’Iran persegue aggressivamente la ricerca di queste armi e esporta terrore, mentre pochi non eletti reprimono la speranza per la libertà del popolo iraniano. L’Iraq continua a sfoggiare la sua ostilità nei confronti dell’America e a supportare il terrore. Il regime iracheno ha cercato di sviluppare l’antrace, il gas nervino e armi nucleari per oltre un decennio. E’ un regime che ha già usato gas per uccidere migliaia di cittadini lasciando i corpi delle madri ammassati su quelli dei loro figli. E’ un regime che ha accettato le ispezioni internazionali per poi espellere gli ispettori. E’ un regime che ha qualcosa da nascondere al mondo civilizzato. Stati come questo e i loro alleati terroristi costituiscono l’asse del male, e sono armati per minacciare la pace del mondo.

Cercando di ottenere armi di distruzione di massa, questi regimi pongono un grave e crescente pericolo. Possono consegnare queste armi ai terroristi dandogli la possibilità di soddisfare il proprio odio, possono attaccare i nostri alleati o cercare di ricattarci. In ognuno di questi casi il prezzo dell’indifferenza sarebbe catastrofico. Lavoriamo senza sosta con la nostra coalizione per impedire ai terroristi e ai loro stati sponsor di ottenere il materiale, la tecnologia e la capacità di sviluppare e consegnare armi di distruzione di massa. Svilupperemo e installeremo difese missilistiche per proteggere l’America e i nostri alleati da un attacco improvviso. E tutte le nazioni devono saperlo: l’America farà il necessario per assicurare la nostra sicurezza. Il tempo non è tuttavia dalla nostra parte. Non aspetterò mentre i pericoli aumentano. Non starò fermo mentre il pericolo cresce ed è sempre più vicino. Gli Stati Uniti d’America non permetteranno che i più pericolosi regimi al mondo ci minaccino con le armi più distruttive al mondo. La nostra guerra al terrore è cominciata bene, ma è solo all’inizio. Questa campagna potrebbe non essere terminata sotto il nostro mandato, ma sarà condotta e finanziata da noi. Non possiamo fermarci adesso: se lo facciamo, lasciando i campi di addestramento intatti e gli stati terroristi liberi di fare ciò che credono, il nostro senso di sicurezza sarebbe falso e temporaneo. La storia ha chiamato l’America e i nostri alleati all’azione, ed è sia nostra responsabilità sia nostro privilegio combattere la battaglia della libertà”.

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