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Il Foglio Rassegna Stampa
19.08.2017 Che cosa vogliono i terroristi: stragi e visibilità
Analisi di Daniele Raineri, Francesco Maselli

Testata: Il Foglio
Data: 19 agosto 2017
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri - Francesco Maselli
Titolo: «Un secondo pezzo di Stato islamico viene alla luce in Europa - I terroristi vogliono che si parli di loro perché altrimenti sono costretti a sparire»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/08/2017, a pag. 1, con il titolo "Un secondo pezzo di Stato islamico viene alla luce in Europa", l'analisi di Daniele Raineri; a pag. 2, con il titolo "I terroristi vogliono che si parli di loro perché altrimenti sono costretti a sparire", l'analisi di Francesco Maselli.

Ecco gli articoli:

Daniele Raineri: "Un secondo pezzo di Stato islamico viene alla luce in Europa"

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Daniele Raineri

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Alcuni feriti a Barcellona dopo l'attentato

Roma. Forse non si saprà mai quanto era grande l’attacco che gli uomini dello Stato islamico stavano preparando in Spagna, prima che un colpo di sfortuna o di incompetenza mandasse il loro piano all’aria. E’ molto probabile che avrebbero lanciato non un attacco singolo, ma piuttosto un’ondata di attacchi portati allo stesso tempo contro bersagli diversi in una o più città. Com’è successo a Mumbai in India nel novembre 2008, quando dieci terroristi votati alla morte furono sguinzagliati per le vie della città a creare il panico, a prendere ostaggi, a colpire stazioni e grandi alberghi. Oppure com’è successo a Parigi nel novembre 2015, anche in quel caso dieci terroristi mandati a farsi esplodere allo stadio, a sparare contro la gente seduta ai tavolini nelle strade, a prendere in ostaggio il Bataclan.

Operazioni che fecero più di centocinquanta morti ciascuna (e anche così, in misura ridotta, il singolo attentato di Barcellona ha fatto centotrenta feriti). La consistenza del gruppo di fuoco spagnolo coincide con quella dei gruppi di fuoco di altri grandi attentati e fa pensare che questa potesse essere la grande rivincita dello Stato islamico che perde terreno in Siria e in Iraq e che quindi deve colpire in occidente, non in Francia, Belgio e Gran Bretagna all’erta come non mai, ma in Spagna. Se le informazioni date dalla polizia catalana sono esatte, questo è il conto degli uomini: tre arrestati, nella piccola città di Ripoll invece che a Barcellona, il che fa pensare ancora di più a una rete estesa; il latitante, il giovane Moussa Oubakir, che è sospettato di essere il guidatore del furgone che ha ucciso quattordici persone sulla Rambla ed era tornato quattro giorni prima dal Marocco e questo fa credere che ci fosse una regia più generale magari fuori dalla Spagna; suo fratello Driss, arrestato dopo essere andato dalla polizia a denunciare il furto dei suoi documenti (e questo ha dato il via alle identificazioni iniziali); i cinque morti di un gruppo d’assalto a Cambrils, cittadina sulla costa, uccisi ieri notte dalla polizia prima che potessero replicare l’attacco del London Bridge di inizio giugno (auto che investe più coltelli); infine, un uomo morto nell’esplosione del casolare di Alcanar mercoledì sera. Tolto il fratello, di cui ancora non si conosce la posizione con chiarezza, sono dieci, e non è detto che dietro di loro ci fossero altri uomini ancora da trovare. Infatti ci sono almeno altri tre fuggitivi oltre il giovane Oubakir. In pratica, dopo il grande pezzo di Stato islamico in Europa che nel 2015 e 2016 ha compiuto gli attacchi di Parigi e di Bruxelles – in parte arrivava da Siria e Iraq e ci vollero sei mesi per smantellarlo, anzi si smantellò da solo in operazioni suicide – la strage di Barcellona ha portato alla luce un altro pezzo sommerso di Stato islamico in Europa, che molto probabilmente è collegato al Marocco. Non è ancora dato sapere da quanto si fosse impiantato nella regione di Barcellona e se ne fanno parte i molto temuti foreign fighters di ritorno.

Il colpo di fortuna o di incompetenza che ha rovinato il piano è l’esplosione con un morto di mercoledì sera. La polizia credeva fosse una fuga di gas, ma sul posto c’erano almeno venti bombole, troppe per le necessità di una famiglia normale. Può essere che servissero come materiale esplosivo per farcire due furgoni, come aveva fatto a metà giugno l’attentatore degli Champs Elysées, però male perché la sua automobile al dunque non era esplosa. Poi che cosa è successo? Il gruppo d’assalto, rimasto senza esplosivo e forse senza più artificiere, ha cominciato a muoversi in fretta perché temeva che sarebbe stato scoperto. Doveva infliggere danni in fretta, altrimenti tutto il capitale umano, dieci persone, rischiava di finire in cella senza avere combinato nulla. Il giornalista tedesco Björn Stritzel che su Telegram (è una app per comunicare, come WhatsApp, molto usata dallo Stato islamico) si è finto un volontario suicida per compiere un attentato ed è stato contattato dagli istruttori del gruppo terrorista per essere guidato passo passo, racconta che gli dicevano una sola cosa: “Fai presto, non perdere tempo, più passano le ore e più c’è la probabilità che i servizi segreti ti scoprano”.

Quelli dello Stato islamico parlano, è chiaro, per esperienza. Dice il giornalista: “Non gli importava nulla di come avrei attaccato, se avrei fatto molto danno oppure no, la cosa importante per loro è che facessi presto altrimenti mi avrebbero scoperto e fermato”. Possiamo immaginare che la stessa cosa sia successa mercoledì notte dopo che il covo è saltato in aria. Fare presto, andare a investire la folla nel centro di Barcellona, e gli altri a fare lo stesso poche ore dopo a Cambrils. Cinture esplosive finte invece che le bombole di gas ormai andate. Più attacchi di seguito, secondo una tecnica affinata dallo Stato islamico nel 2011, quando il capo Abu Bakr al Baghdadi cercava di riportare il gruppo iracheno alla fama di pericolosità di un tempo ma disponeva di poche forze: tanti attentati nella stessa giornata contro bersagli facili per conquistare i notiziari internazionali. C’è un altro particolare che fa pensare che questa costola dello Stato islamico in Spagna avesse l’ambizione di colpire più volte. Dopo l’attacco con il furgone sulla Rambla, la polizia ha trovato un altro furgone già noleggiato dalle stesse persone. O serviva per gli attacchi multipli di cui si è parlato, oppure per fuggire e per sopravvivere al primo assalto. Forse volevano fare come Abdelhamid Abaaoud, il capo della cellula di Parigi (anche lui di origine marocchina e con contatti in Marocco), che dopo la notte di massacri trovò rifugio per tre giorni in un appartamento di Saint Denis, dove però fu scoperto e si fece esplodere durante l’assalto delle forze speciali francesi. Questa volta siamo in presenza di qualcosa di differente rispetto allo stillicidio di attacchi improvvisati a cui ci eravamo assuefatti nel 2017, l’ultimo ancora ieri a Turku, in Finlandia, dove un attentatore ha ucciso due persone a coltellate e ne ha ferite altre sei, prima di essere neutralizzato dalla polizia (nota a margine: una settantina di persone sono partite come volontari per Siria e Iraq dalla Finlandia, è un numero molto alto), siamo al cospetto di un avvistamento raro, una cellula dello Stato islamico in Europa che si palesa e forse si autodistrugge nel giro di poche ore. La rivendicazione del gruppo terrorista è arrivata dopo soltanto quattro ore, in pratica subito, e ha parlato di “soldati” dello Stato islamico, al plurale – e questo è un segno che ci potrebbe essere un collegamento diretto con la base madre dello Stato islamico. Ma per ora il braccio della propaganda non dice nulla sui nomi, come di solito fa quando le indagini sono ancora incomplete, per non dare una mano agli investigatori infedeli.

Francesco Maselli: "I terroristi vogliono che si parli di loro perché altrimenti sono costretti a sparire"

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Mathieu Guidére

Roma. Lo Stato islamico continua a perdere terreno in Siria e Iraq, è stato sconfitto a Mosul e ha subìto una drastica riduzione del flusso di foreign fighters. Eppure esistono ancora persone disposte a farsi ammazzare pur di portare avanti l’utopia islamista fuori dai confini della Siria, come accaduto a Barcellona. Mathieu Guidére, professore all’Università di Paris VIII ed esperto di radicalismo islamico, spiega al Foglio che proprio la debolezza dello Stato islamico favorisce ulteriori attentati suicidi: “E’ vero, l’utopia è finita, lo Stato islamico è sconfitto. Tuttavia è allo stesso tempo cresciuto il bisogno di pubblicità: se, complice la ritirata in Siria, in occidente smettiamo di parlare del terrorismo jihadista, ecco che la loro propaganda s’inceppa, hanno più difficoltà a reclutare, sembrano finiti. Questi attacchi sono necessari dal loro punto di vista perché alzano l’attenzione mediatica, fanno sì che si continui a parlare di loro, dimostrano che esistono, che non sono scomparsi”.

L’attacco non sembra preparato alla perfezione come quello del 13 novembre 2015 a Parigi, ma nemmeno un’iniziativa solitaria come quella del 14 luglio 2016 a Nizza: “A Barcellona si sono incontrate le due componenti che finora avevamo visto in azione”, spiega Guidére “hanno agito sia potenziali lupi solitari, radicalizzati in autonomia e senza legami diretti con lo Stato islamico, sia uomini di origine europea o marocchina che hanno combattuto in Siria e in Iraq e ora sono tornati per compiere attentati come questo”. La Spagna non è il primo paese che viene in mente quando si immagina un possibile obiettivo dello Stato islamico: non è un perno della coalizione internazionale in Siria e ha un ruolo molto marginale in Iraq.

Eppure ha una presenza jihadista notevole, e ha subìto un attacco violentissimo: “Non è certo per il suo ruolo in medio oriente che la Spagna è stata colpita, ma per i suoi legami con il Marocco”, nota il professore, “gli spagnoli controllano ancora due città in Marocco, Ceuta e Melilla: questo attentato può rappresentare la vendetta per la presenza spagnola nel Maghreb”. Sono sempre di più i paesi europei a essere colpiti, è possibile che i terroristi inizino ad attaccare in tutta Europa, scegliendo semplicemente il paese che ritengono più impreparato? “No, non credo” risponde Guidére, “i terroristi cercano uno stato che abbia avuto un ruolo in medio oriente o dei legami con il mondo arabo. L’Italia non è stata finora toccata dagli attentati, possiamo dire che non sia un bersaglio? Sarà colpita proprio perché costituisce un obiettivo sensibile: ha un numero di migranti eccessivo da gestire e gioca ruolo molto attivo in Libia e in Siria. Gli islamisti ragionano ancora in termini di bersaglio, paesi periferici come il Portogallo o la Polonia, per fare degli esempi, non avrebbero la stessa copertura mediatica, che invece è proprio quanto cercano gli attentatori. L’Italia, purtroppo, è un bersaglio perfetto”.

Per l’attentato è stato ancora una volta utilizzato un veicolo: è possibile difendersi da “armi” del genere? “Non mi stupisce che le auto e i camion siano diventati le armi preferite dai terroristi: il mezzo è facile da reperire e difficile da scoprire; soprattutto le città europee non si sono dotate di dispositivi di sicurezza efficaci. Non c’è bisogno di fare come in Israele, dove i dissuasori di cemento armato proteggono persino le fermate degli autobus, basterebbe mettere in sicurezza le aree pedonali impedendo l’ingresso dei veicoli di qualunque tipo”.

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