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Il Foglio Rassegna Stampa
15.04.2017 L'islam incompatibile con democrazia e laicità
Commento di Eric Zemmour

Testata: Il Foglio
Data: 15 aprile 2017
Pagina: 2
Autore: Eric Zemmour
Titolo: «Jamais l'islam»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/04/2017, a pag. II, con il titolo "Jamais l'islam", il commento di Eric Zemmour

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Eric Zemmour

Il quinquennio di Hollande è sfociato nel sangue. Con una macchia di un rosso vivo indelebile. Gli attentati contro Charlie, l’Hyper Cacher della porte de Vincennes e il massacro del Bataclan annunciano l’inizio di una guerra civile francese, o peggio europea, e la grande sfida lanciata dall’islam alla civiltà europea sulla sua terra d’elezione. Questo ritorno del tragico si scontra con una bonarietà presidenziale ai limiti della vacuità. Come se la storia avesse atteso, ironica, che all’Eliseo si installasse il presidente più mediocre della Quinta Repubblica per prendere il sopravvento. Come se il destino funesto del nostro paese dovesse nuovamente dar corpo alla celebre formula del generale De Gaulle dopo la sua visita al povero presidente Lebrun, frastornato dalla débâcle del 1940: “In fondo, come capo dello stato, gli erano mancate due cose: essere un capo, avere uno stato”. Come se la caduta da Pompidou a Sarkozy non fosse stata sufficiente, non abbastanza umiliante. Quest’ultimo era stato eletto per diventare primo ministro; il suo successore per diventare ministro del Tesoro. Sul piano economico, il suo mandato potrebbe riassumersi in un aumento massiccio delle tasse per ridurre i deficit di bilancio e rispettare finalmente i vincoli europei disprezzati dal suo predecessore, poi in un alleggerimento della fiscalità (in particolare quella delle imprese) per rilanciare una crescita atona, ripristinare la competitività delle imprese bistrattate dall’eccessiva tassazione e riavviare il motore del consumo popolare che era stato imprudentemente tenuto a freno. Dare con una mano quello che aveva preso con l’altra. Un quinquennio per nulla. (…) Philippot e Mélenchon sono in ritardo di venticinque anni: la battaglia della sovranità è stata quella del referendum di Maastricht nel 1992. E’ stata persa. Ciò non significa che non si debba cercare una rivincita. Ma il terreno si è spostato, la situazione si è degradata. La questione della sovranità si pone ancora, ma non è più centrale. Quella dell’identità l’ha sostituita nel firmamento delle urgenze storiche. Ormai, la Francia non si batte più per recuperare la sua sovranità perduta, ma per non perdere la sua identità. Non si batte più per vivere libera, ma per non morire. Non deve più soltanto affrontare Berlino, Bruxelles, Washington, per ritrovare, alla maniera del generale De Gaulle, la sua “indipen - denza”. Deve rispondere a una sfida esistenziale che le è stata lanciata dall’islam, che è quella del suo essere, della sua natura, della sua civiltà. Una Repubblica islamica francese potrebbe essere sovrana, ma non sarebbe più la Francia. Se si cambiano la lama e il manico di un coltello, possiamo pure continuare a chiamarlo coltello, ma non sarà più lo stesso coltello. Se un domani ci fossero 20, 30 milioni di musulmani francesi determinati a mettere il velo alle loro donne e ad applicare le leggi della sharia, soltanto con una dittatura potremmo preservare le regole minime della laicità. E’ ciò che hanno capito nelle loro epoche rispettive Atatürk, Bourghiba e persino Nasser. Sono i costumi che comandano e dominano le leggi. In un paese di costumi musulmani, soltanto una dittatura può salvare lo stato dal diktat che l’islam impone a una società prigioniera e sottomessa. Tutti si ricordano della risposta infastidita di Jospin a proposito dell’affaire dei foulard nel liceo di Creil nel 1989: “Ma cosa me ne importa se sono musulmani!”. (…) L’islam è un “giudaismo riscaldato”, come aveva ben capito Voltaire, un’or - toprassi che poggia sul rispetto e il controllo delle regole che inquadrano la vita dal mattino alla sera, durante tutta l’esistenza. Il cristianesimo è uscito dall’ortoprassi giudaica attraverso l’ortodossia: la fede e l’amore che sovvertono la Legge. Il giudaismo stesso, a contatto con la filosofia greca, e costretto dall’esilio, è uscito dalla propria rigidità teocratica attraverso la disputa e l’interpretazione libera di tutti i testi sacri. E’ il Talmud. E il verbo chamailler trova la sua origine nel nome del rabbino Chamaï che si opponeva al suo grande rivale Hillal. Un Talmud dov’è scritto nero su bianco per tutti gli ebrei in esilio: “La legge del tuo paese è la tua legge”. Infine, il giudaismo francese ed europeo ha avuto la fortuna storica di incontrare Napoleone che ha aperto tutti i ghetti dove sono passati i suoi eserciti e che ha preteso dai francesi di confessione ebraica di cancellare dai loro testi ciò che contravveniva alle leggi, ai codici e anche alle tradizioni francesi, forgiando dei cittadini francesi di confessioni ebraica, individualizzati, senza confessione, senza nazione, secondo la celebre invettiva di Clermont-Tonnerre: “Bisogna rifiutare tutto agli ebrei come nazione e accordare tutto agli ebrei come individui”. La storia dei musulmani cominciò allo stesso modo. A contatto con i testi greci, e in particolare con Aristotele, alcuni pensatori musulmani tentarono anch’essi il trapianto greco nella tradizione islamica. I mutaziliti nel Nono secolo vollero interpretare il sacro attraverso la ragione umana. Questa dissidenza fu repressa, punita con la pena di morte. Si ricordò con forza che, contrariamente ai Vangeli e alla Torah, il Corano non è opera degli uomini ma di Dio; non creato dagli uomini, ma “in - creato” da Dio. Un testo divino perfetto che non tollera alcuna interpretazione né adattamento. Il Corano è sulla Tavola conservata, presso il Trono divino, dalla Creazione. Le leggi di Allah sono superiori a quelle degli uomini. Emanano direttamente da Dio. Il califfo chiuse le porte dell’inter - pretazione e del rinnovamento (ijtihad). Da allora sono rimaste ostinatamente chiuse. Per questo motivo l’“islam dei Lumi” è un’impostura, un’invenzione degli occidentali ignoranti o militanti. Un mito. La libertà di coscienza nell’islam non ha mai ottenuto la minima legittimità nel diritto. Le filosofie critiche sono le grandi sconfitte della storia dell’islam. Il loro idolo, Averroè, fu cacciato da Cordoba e vide i suoi libri bruciati nel 1195 in Andalusia. Da molto tempo, a Baghdad non era più possibile interpretare i suoi testi. E Rémi Brague, eminente specialista dell’islam, ci ricorda con ironia che Averroè stesso, erede di una dinastia di giuristi degli almohadi, non è mai stato ostile al jihad armato e si è sempre definito come un musulmano di rigida obbedienza: “La negazione e la messa in discussione dei principi religiosi mettono in pericolo l’esistenza stessa dell’uomo; per questa ragione bisogna uccidere gli eretici”. La contraddizione tra un islam “di pace” scritto alla Mecca quando Maometto era un profeta solitario e cercava degli alleati, fra le tribù ebraiche in particolare, e il Corano di guerra, redatto a Medina, dal capo politico e militare che era divenuto, ordinando di sterminare i suoi nemici e di convertire ebrei e cristiani, non è altro che una pura apparenza, propria a turbare gli spiriti che aspirano ad essere turbati: la cronologia comanda, e l’ultimo testo, nella fattispecie le sure sterminatrici, ha la meglio. Gli intellettuali minoritari che provano oggi ad aprire nuovamente le porte dell’ijtihad sono una manciata e vivono tutti in Occidente. L’influenza dominante sulle masse arabe, laggiù e qui, è quella di un rigido ritorno al dogma inaugurato dai teologi di AlNahda (“la rinascita”) e tutti i teologi salafiti. Questa “rinascita” dell’islam è una risposta all’umiliazione causata dalle invasioni europee del Diciannovesimo secolo. La grande riforma dell’islam ha preso allora la forma di un ritorno alla purezza originale della Legge per rispondere a questa umiliazione della sconfitta (islah). Abbiamo vissuto un fenomeno comparabile nella società cristiana rivoluzionata dall’invenzione della stampa. Il protestantesimo manifestava all’epoca la stessa volontà di ritorno alle origini e alla purezza del messaggio evangelico, deviato dall’ignoranza dei preti e dalla perversità dei papi. Il salafismo ritorna anch’esso alle origini dell’islam per portare a termine la rinascita di un mondo musulmano umiliato dalla sconfitta dove l’hanno portato le sue cattive guide. Tutti si dicono salafiti. Il fondatore dei Fratelli musulmani si diceva salafita. Il salafismo, ritorno dell’islam alla sua “purezza” originale, è l’islam, l’islam delle origini, l’islam di sempre. I riformatori progressisti musulmani lo riconoscono, pur dispiacendosene: “La base nascosta e molto ampia del salafismo è lì, in questo tradizionalismo ancorato in troppi spiriti che sacralizzano abusivamente una tradizione che ha fatto dell’islam un sistema rigido di leggi” (Abdennour Bidar). La differenza tra i salafiti e i Fratelli musulmani è di grado, non di natura. La dinastia di Saud, che ha impiegato centocinquant’anni per conquistare i luoghi santi e imporre il suo dominio sull’Arabia Saudita, si richiama anch’essa al salafismo; sono i loro nemici che li qualificano come wahabiti. Il petrolio è guardato come il frutto della Provvidenza, una prova che Allah è di nuovo accanto ai musulmani. Gli introiti del petrolio gli hanno permesso di “wahabizzare” una gran parte dell’islam. Di riportarla al salafismo, e dunque alla sua purezza originale. Gli orientalisti francesi e i loro successori dovranno farsene una ragione: le sottigliezze d’antan tra i riti sunniti e le innumerevoli sfumature dell’islam integrate nel loro paese d’adozio - ne sono in procinto di essere gettate nella spazzatura della storia dalla wahabizzazione. Quest’ultima unificando il sunnismo con il suo islam purificato lascia sopravvivere una sola divisione, fondatrice e spietata, quella con lo sciismo. Dopo la dissidenza protestante, ci fu la guerra dei Trent’anni tra protestanti e cattolici, così come oggi si affrontano, in una nuova guerra dei Trent’anni, sunniti e sciiti. Non tutti i musulmani sono salafiti, ma quanti aspirano a esserlo? Non tutti i salafiti sono jihadisti, ma quanti si vergognano di non esserlo? Esistono dei salafiti pietisti non violenti che vivono tra di loro il puro islam. Non violenti, ma non nei confronti dei musulmani che giudicano miscredenti. Non violenti, ma nemmeno non proseliti. Non violenti, ma considerando la Francia come un terreno di guerra dove bisogna seminare il puro islam per salvarla dalla miscredenza. Non violenti, ma mettendo continuamente in pratica un isolamento, un’auto-segre - gazione, ridicolizzando i portavoce infaticabili e amorosi del vivre-ensemble e vanificando l’applicazione delle leggi della République e più ancora l’as - similazione a una cultura francese anatemizzata. Bisogna essere un grande ignorante come François Hollande per proclamare: “L’islam è compatibile con la democrazia”. L’islam è incompatibile con la laicità, con la democrazia, con la Repubblica laica. L’islam è incompatibile con la Francia. Il progetto dei rinnovatori dell’islam non è quello di modernizzare l’islam, come credono le nostre élite incolte, ma di islamizzare la modernità. E anzitutto di islamizzare la Francia. Non può esserci un islam di Francia; può esserci soltanto una Francia islamica. L’islam non è una religione, ma una legge, un Din. E’ un progetto politico che si avvale della Legge divina per imporre il suo ordine totalitario. L’islam moderato non può esistere, anche se possono esistere dei musulmani moderati. Tuttavia sono di rado moderatamente musulmani. O allora, si allontanano dall’islam perché lo trasformano in qualcosa di privato, in una semplice spiritualità, astorica e apolitica. Ciò che Napoleone aveva preteso e ottenuto dal giudaismo. Ciò che l’islam non è mai stato nella sua storia. E ciò che rifiutano con veemenza il 99 per cento dei musulmani. I successori di Clermont-Tonnerre possono tuonare invano: rifiutare tutto ai musulmani come nazione e accordare tutto ai musulmani come individui. L’islam è una nazione. Il musulmano è un uomo politico che non sa di esserlo. L’islam è insieme una religione, una nazione, una legge e una civiltà. (…) Non bisogna più lasciar credere che ogni straniero entrato nel territorio francese è lì per restare. Ci portano giustamente a esempio le immigrazioni del passato, italiana, spagnola, polacca, che, dopo un inizio caotico e conflittuale, hanno finito per integrarsi e “arricchire” la nazione francese. Ma viene dimenticato, ignorato, o occultato l’essenziale. Secondo i calcoli del grande storico Pierre Milza, su 3,5 milioni di italiani venuti in Francia tra il 1870 e il 1940, due terzi sono ripartiti. Stima ugualmente al 60 per cento i polacchi ritornati a casa loro. La Repubblica francese era allora sagace ed efficace. Sapeva separare il grano dalla crusca, espelleva i delinquenti e i disoccupati, e spingeva alla partenza tutti coloro che non sopportavano le rigidità dell’assimilazione. Nessun diritto assoluto al ricongiungimento familiare; nessuna nazionalità francese accordata d’ufficio a ogni coniuge di una persona avente già la nazionalità francese; nessun flusso massivo di studenti stranieri che poi non ripartivano mai; nessuno ius soli automatico; nessuna naturalizzazione senza una reale assimilazione; nessuna scolarizzazione obbligatoria dei figli dei clandestini; e rispetto rigoroso della legge dell’anno XI che stabiliva l’obbligo di scegliere per i bambini un nome derivante dal calendario dei santi e dalla religione cristiana. Era meglio per tutti: quelli che desideravano assimilarsi alla nazione francese non subivano più i sarcasmi o l’ostilità dei loro compatrioti che non lo desideravano; e per questi ultimi, il ritorno a casa loro era la miglior soluzione al loro legittimo mal del paese, che rispondeva alla volontà di perpetuare il loro essere culturale e civile. L’errore funesto degli anni 80, sotto l’egida delle associazioni antirazziste, fu quello di spezzare, in nome dei diritti dell’uomo, il legame tra assimilazione e nazionalità. Dobbiamo ricucirlo. E’ il solo modo per ricostituire un popolo francese degno di questo nome, unito da una storia, da uno stile di vita, da dei valori comuni, e che desidera far valere “l’eredità ricevuta indivisa”, secondo la celebre espressione di Renan. I musulmani dovranno scegliere tra l’islam e la Francia. Tra una Francia cristiana e un islam che non concepisce la coesistenza senza la dominazione. La Francia è una terra di miscredenza e che vuole restarlo. La scelta deve essere chiara e definitiva. E’ la maniera più onesta e più rispettosa di ognuno, contrariamente a ciò che ci ha lasciato credere una propaganda mielosa e “inclusiva”. E’ la nostra politica che li definirà e obbligherà ciascuno a posizionarsi.

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