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Il Foglio Rassegna Stampa
23.12.2016 La rete del jihad in Europa e le accuse di 'islamofobia' a chi si oppone
Analisi di Cristina Giudici, Mauro Zanon

Testata: Il Foglio
Data: 23 dicembre 2016
Pagina: 1
Autore: Cristina Giudici - Mauro Zanon
Titolo: «I 'nostri' tunisini - 'E' terrorismo intellettuale', ci dice Ménard, accusato di islamofobia»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 23/12/2016, a pag. 1-3, con il titolo "I 'nostri' tunisini", il commento di Cristina Giudici; a pag. 3, con il titolo " 'E' terrorismo intellettuale', ci dice Ménard, accusato di islamofobia", l'analisi di Mauro Zanon.

L'autore della strage di Berlino è stato identificato nel milanese. Ucciso mentre armato urlava Allah Uakbar.

Ecco gli articoli:

Cristina Giudici: "I 'nostri' tunisini"

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Cristina Giudici

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Anis Amri, l'assassino di Berlino, ucciso stamane nel milanese

Milano. L’intelligence italiana nega che il super ricercato Anis Amri, il tunisino ritenuto l’autore della strage di Berlino si sia radicalizzato nelle carceri italiane. Ma resta la domanda imbarazzante: com’è che, una volta espulso ma respinto dalle autorità tunisine, è finito in Germania? C’è un sistema giudiziario e di controllo con troppe falle, questo è chiaro. Ma soprattutto esiste, fin dagli anni 90, una filiera terrorista di nazionalità o provenienza tunisina che nel nostro paese ha messo radici – soprattutto nel triangolo oscuro tra Milano, Cremona e la Brianza – da cui sono transitati molti divenuti personaggi importanti del jihadismo, in Europa e nel medioriente. La ricostruzione dei nomi, dei percorsi, delle affiliazioni e dei meccanismi di radicalizzazione è lunga e istruttiva. Le forze dell’ordine italiane sanno da tempo che la filiera tunisina è tra le più pericolose. la novità è che i nuovi terroristi sono di seconda generazione. E si radicalizzano molto in fretta.

La nostra intelligence nega che il super ricercato Anis Amri, il tunisino ritenuto l’autore della strage di Berlino si sia radicalizzato nelle carceri italiane. Eppure, sbarcato nel 2011 a Lampedusa, gli investigatori che si occupavano di immigrazione clandestina se lo ricordano bene. Stazza da pugile, entrava e usciva dalle carceri siciliane per reati comuni. Bisogna chiedersi come mai, una volta espulso ma respinto dalle autorità tunisine, sia finito in Germania.

E’ ancora presto per conoscere a ritroso tutti i suoi movimenti in Italia e capire dove e quando sia scattata la molla che ha convertito un criminale comune all’islamismo, ma dobbiamo porci qualche domanda sul fronte tunisino che in Lombardia – fra Milano, Cremona e la Brianza – è sempre stato attivo, sin dagli anni 90. La cronologia delle indagini, degli arresti e delle espulsioni riguarda diversi gruppi tunisini che ruotavano intorno alla moschea di viale Jenner, crocevia per i combattenti che andavano e venivano da Afghanistan, Bosnia, Iraq. E dimostra l’iperattività di tunisini, spesso contigui ai marocchini, nelle reti integraliste. Come il gruppo di Ansar al Sharia, poi finito nelle file dell’Is in Libia. Fra loro c’era anche Fezzani, attivo in Italia tra il 1997 e il 2001. Allora non era una figura di primo piano, ma poi in Libia ha scalato i vertici dell’Is. Detenuto a Guantanamo, tornò in Italia nel 2009 ed espulso nel 2012. Nel 2014 Fezzani è stato condannato definitivamente a Milano per associazione a delinquere con finalità di terrorismo. E infine preso recentemente in Somalia. E anche se la nuova leva dei terroristi è di persone di seconda generazione, forse c’è stata in qualche caso una staffetta con i primi combattenti. Infatti un tunisino espulso a Como recentemente perché faceva propaganda per l’Is è finito anche lui nelle indagini sui gruppi della galassia di Al Qaeda che operava fra Como, Gallarate e Varese. Secondo gli inquirenti Mohamed Belgacem Belhadj avrebbe combattuto nei Balcani.

Dopo trent’anni in Italia, pare avesse rapporti con reclutatori in Svizzera. Gli investigatori che se ne occuparono allora, negli anni 90, erano convinti che fosse stato espulso: invece viveva ancora in Italia. Poi tantissimi che facevano e fanno attività logistiche finalizzate a supportare il jihad con documenti falsi, alloggi, finanziamenti. E’ impressionante vedere l’elenco degli arrestati, espulsi che sono in maggioranza della stessa nazionalità. Nel gennaio del 2015 è stato espulso da Novara Ben Salah Brahim, poi seguito dalla moglie immortalata con il velo integrale mentre si recava all’aeroporto. Due tunisini trovati nel settembre del 2015 fra i profughi in Sicilia avevano rapporti con le milizie dell’Is. Sahbi Chriaa, 37 anni, tunisino nato a Montreuil e residente a Bordeaux, arrestato il 10 gennaio scorso per resistenza alla polizia. Espulso dall’Italia, si era radicalizzato in carcere, in Francia, ma anche in Italia sono tantissimi i tunisini finiti in galera per spaccio o reati minori e poi confluiti nella rete integralista dentro le celle. E ancora: è tunisino il giovane spirante martire che voleva andare in Siria, grazie alla rete albanese, salvato dai genitori, che era stato indottrinato via Skype dal cugino poi morto in Siria.

Insomma l’elenco è lungo (dopo la rivoluzione dei gelsomini, nel 2011 sono arrivati 22 mila tunisini in Italia) ma a a differenza degli anni 90 sono soprattutto giovani che si radicalizzano in poco tempo. Ma c’è un filo rosso che lega le cellule della galassia di Al Qaeda del passato ai lupi solitari del presente. La paura dei tunisini, noti per essere i più accaniti nelle trincee e meno sul fronte dell’ideologia è tale che recentemente è partito un allarme sulle occupazioni abusive dei tunisini nel ghetto del quadrilatero di San Siro, dove il viavai viene sorvegliato dai servizi segreti perché si teme possano creare enclave islamiste negli alloggi popolari, dove ci si affida al racket degli appartamenti sfitti gestiti da maghrebini.

Mauro Zanon: " 'E' terrorismo intellettuale', ci dice Ménard, accusato di islamofobia"

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Mauro Zanon

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Robert Ménard

Roma. Da quando è stato eletto sindaco di Béziers con l’appoggio del Front national, Robert Ménard è stato estromesso dal novero dei “presentabili”, i suoi vecchi compagni della Ligue communiste révolutionnaire (Lcr) lo accusano di apostasia, e assieme al polemista réac Eric Zemmour si contende il primato di uomo più processato di Francia. “Ho perso il conto delle cause che mi sono state intentate”, dice al Foglio Ménard. L’ultima viene dalla Licra, associazione antirazzista notoriamente vicina al Partito socialista, e dal Mrap, il Mouvement contre le racisme, che il prossimo 8 marzo sperano di vederlo condannato per provocazione diretta alla discriminazione, all’odio o alla violenza contro i musulmani. “Sono manifestamente al centro di un accanimento giudiziario. Non sono mai stato condannato su questi temi, ho vinto tutte le cause e vincerò anche questa, perché ho soltanto descritto la realtà”, dice Ménard.

Le frasi che hanno spinto le due associazioni antirazziste a trascinarlo davanti al giudice risalgono all’inizio di settembre. Il primo del mese, Ménard scrive così su Twitter: “#Rientroscolastico: la prova più eclatante della grande sostituzione di popolazione in atto. E’ sufficiente dare uno sguardo alle vecchie foto di classe…”. La seconda frase incriminata è pronunciata dal sindaco di Béziers durante un’intervista sul canale televisivo Lci. “In una classe del centro storico della mia città, il 91 per cento dei bambini è musulmano. E’ chiaramente un problema. Ci sono delle soglie di tolleranza”. E’ bastato questo, un richiamo all’espressione “Grand remplacement” dell’intellettuale reazionario Renaud Camus e la comunicazione delle quote di bambini di confessione musulmana presenti in un istituto di Béziers, per scatenare l’indignazione del mondo progressista e la gogna mediatica della stampa islamofila.

“La Parigi multiculturalista, oggi, grida allo scandalo perché sono io a parlare di ‘seuils de tolérance’, nessuno invece osò criticare Mitterrand quando pronunciò la medesima formula a proposito dell’immigrazione”, dice Ménard. Così come nessuno alzò il dito quando negli anni Ottanta era George Marchais, allora segretario generale del Partito comunista francese, a dichiarare che bisognava “fermare l’immigrazione” e che la presenza di “lavoratori e famiglie con tradizioni, lingue e modi di vivere differenti rende difficile le loro relazioni con i francesi”. Insomma, c’è chi può e chi non può toccare certe tematiche, soprattutto quando di mezzo c’è l’islam, su cui in Francia sembra impossibile dibattere in maniera serena. “E’ terrorismo intellettuale, in Francia non vengono più accettate opinioni diverse dal discorso dominante”, si lamenta il sindaco di Béziers.

Quella contro Ménard è una caccia all’uomo che è iniziata nel 2014, quando è stato plebiscitato dai cittadini di Béziers, ma per la sua vicinanza a certe idee del Front national e ai milieu intellettuali della destra sovranista è stato bollato come “neofascista” dai salotti di Parigi (il Nouvel Obs gli dedicò un dossier, infilandolo tra i “néo-fachos”, accanto a Ivan Rioufol, Richard Millet e Alain Finkielkraut). Nell’ottobre del 2015 denunciò la presenza di troppi ristoranti kebab nel centro storico della sua città, parlando di “grande sostituzione culinaria” che andava rapidamente arrestata, e a Parigi Libération titolò contro l’“islamophobe” Ménard. A novembre, per le edizioni Pierre-Guillaume de Roux, Ménard ha pubblicato “Abécédaire de la France qui ne veut pas mourir”, un manuale di resistenza culturale, in forma di abbecedario, destinato a quella Francia profonda che non vuole morire sacrificata sull’altare del multiculturalismo. “Abbiamo così tanta paura di essere accusati di islamofobia che non osiamo dire nulla sull’islam”, ha attaccato Ménard. Che per le presidenziali del 2017 spera in una vittoria di François Fillon, in un sussulto della France éternelle.

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