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Il Foglio Rassegna Stampa
22.12.2016 Sicurezza, modello Israele per l'Europa sotto attacco
Due servizi di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 22 dicembre 2016
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Nuove leggi, modello Israele - Dopo Aleppo, Idlib»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/12/2016, a pag. 1-3, con i titoli "Nuove leggi, modello Israele", "Dopo Aleppo, Idlib", due servizi di Daniele Raineri.

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Daniele Raineri

"Nuove leggi, modello Israele"

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Due agenti di sicurezza in Israele

Roma. I governi europei adottano leggi e contromisure per reagire alla serie di attentati cominciata nel maggio 2014 (attacco al museo ebraico di Bruxelles, il responsabile era un uomo dello Stato islamico). Le nuove norme riguardano materie come polizia e uso delle armi da fuoco, telecamere nelle strade, sorveglianza su internet e fanno parte di un processo di adattamento che va avanti con lentezza e che è appena cominciato. Ieri i media tedeschi avevano il nome e la foto del presunto stragista di Berlino (presunto, meglio rafforzare il concetto considerato che il giorno prima la polizia aveva preso e poi rilasciato un pachistano che non c’entrava nulla) ma pure in mezzo a una caccia all’uomo su scala nazionale hanno fornito al pubblico soltanto le iniziali del nome e hanno coperto il volto con una pecetta nera, perché la legge tedesca così impone. Così, mentre i media inglesi e italiani mettevano nome e immagini sui loro siti, la Germania offriva una rappresentazione dell’Europa del 2016 presa in mezzo a due forze opposte. Da una parte un’architettura di leggi sofisticate e molto rispettose dell’individuo, dall’altra la necessità di cambiare e di adeguarsi alla minaccia del terrorismo islamista. Il nome e le foto sono poi usciti anche per i tedeschi quando nel pomeriggio la polizia ha chiesto aiuto per trovare il presunto attentatore e ha offerto fino a centomila euro per le segnalazioni: un tunisino di 24 anni, Anis Amri, che aveva già attirato l’attenzione dei servizi di sicurezza tedeschi e che aveva passato quattro anni in carcere in Italia, a Palermo, a partire dal 2011.

Ieri il governo tedesco ha approvato la bozza di una legge scritta un mese fa che espanderà la videosorveglianza nelle strade e in posti pubblici come centri commerciali, stadi e parcheggi e così – se diventerà legge – colmerà un ritardo che è tutto tedesco ed è dovuto allo spettro della sorveglianza di massa dei cittadini nella Germania dell’est durante gli anni del comunismo. Sempre ieri un articolo del giornale francese Monde che cominciava “Aux grands maux, les grands remèdes” (a mali estremi, estremi rimedi) ha spiegato che il ministro dell’Interno, Bruno Le Roux, ha presentato al governo una bozza di regolamento più permissiva per i poliziotti in caso di conflitti a fuoco con attentatori. Secondo le leggi in vigore, la polizia francese può rispondere al fuoco soltanto se c’è una situazione di “riposte immédiate”, risposta immediata al fuoco: quelli sparano a voi, o stanno per sparare a voi, e allora voi potete sparare a loro. Secondo la nuova regola invece la polizia potrà sparare anche in caso di “périple meurtrier”, che è la situazione che si verifica quando un attentatore si allontana dal luogo di un attacco e c’è la probabilità che ne commetterà un altro. In pratica, se i poliziotti francesi intercettassero l’automobile di un jihadista in fuga e non c’è altro modo di fermarla, sono autorizzati a sparare senza stare a verificare che le circostanze (legittima difesa) siano dalla loro parte.

Sembrano sottigliezze, ma sono cambi di legge che i sindacati della polizia francese chiedono con insistenza “da quindici anni”, come hanno detto ieri, e fanno parte del nuovo clima. Da mesi il ministero ha anche fornito alla Brigata anticrimine della polizia e al reparto equivalente della Gendarmerie nuovi fucili, gli Heckler & Koch G36 – che sono fucili d’assalto usati dai militari nelle missioni d’oltremare (del resto i soldati dispiegati nelle strade e nelle piazze a guardia degli obiettivi sensibili in Italia usano l’equivalente nazionale, il Beretta Arx 160). Le leggi che cambiano con più velocità riguardano la sorveglianza su internet. Una proposta discussa a livello europeo il 30 novembre – e che dovrebbe trasformarsi in una direttiva dell’Unione europea – prende a modello una legge francese di quest’anno che è considerata molto restrittiva. La legge permette alle autorità di chiedere ai gestori privati di oscurare i siti di cui sono responsabili senza che prima ci sia il giudizio di un magistrato. Questo vuol dire che il ministero dell’Interno può chiedere il blocco di un sito a sua discrezione, e ci sono già stati errori e incomprensioni imbarazzanti. A ottobre la Orange, un’impresa di telecomunicazioni francese, ha oscurato Google e Wikipedia per gli abbonati per tutta una mattina perché aveva inserito per sbaglio i due siti in una lista di indirizzi pericolosi. Un’altra legge entrata in vigore a giugno inoltre prevede l’arresto per chi visita alcuni siti considerati compromettenti perché diffondono la propaganda dei gruppi come lo Stato islamico – e già venti francesi sono stati incarcerati.

Questo approccio fa rizzare i capelli alle organizzazioni non governative francesi che si occupano di internet e libertà d’espressione, che notano come non c’è nessuna prova che gli arrestati che hanno visto siti jihadisti fossero davvero pericolosi o radicalizzati. Nel Regno Unito il 29 novembre è entrata in vigore una legge molto dura che regola la sorveglianza su internet. I gestori dei servizi dovranno conservare per un anno i dati dei clienti: quali siti hanno visitato, quando, per quanto tempo, e questo include anche le app e le visite fatte con i telefonini. Gli archivi non conserveranno le url precise, ma i dati cosiddetti Icr (Internet connection record): in pratica se, per fare un esempio, andate su una specifica pagina del sito del Foglio, il governo inglese potrà soltanto sapere (nel caso facesse domanda al gestore entro un anno) che siete stati sul sito del Foglio, quando e per quanto tempo, ma non su quali pagine specifiche.

"Dopo Aleppo, Idlib"

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Idlib, Siria

Roma. Ora che è caduta Aleppo, molti gruppi armati che fanno la guerra al presidente siriano Bashar el Assad si concentrano a ovest, nell’area della città di Idlib, ed è lì che bisogna guardare per capire cosa succederà nel seguito della guerra civile (altri gruppi combattono contro lo Stato islamico assieme ai soldati turchi vicino ad Aleppo ma a nord, e altri ancora tengono le loro posizioni vicino alla capitale Damasco). Il gruppo più conosciuto è la Jabhat Fateh al Sham, l’esercito per la conquista del Levante, che fino a luglio è stata la divisione di al Qaida, prima di una presa di distanze a cui nessuno crede. Ieri il gruppo ha preso le distanze anche da un comunicato farlocco che rivendicava l’uccisione dell’ambasciatore russo Andrey Karlov ad Ankara: un falso. E ha anche preso le distanze da un video orrendo in cui un estremista manda una bambina di nove anni, sua figlia, a farsi esplodere in una stazione della polizia siriana. “E’ un pazzo, con noi non c’entra nulla da tempo”. Ma a dispetto di tutto questo prendere distanze, il gruppo filo al Qaida è una presenza tossica per tutti gli altri: rende tutti un bersaglio legittimo per i bombardieri siriani, russi e anche americani, rapisce giornalisti e operatori umanitari, eccita la macchina della propaganda governativa (che dipinge tutti gli oppositori come qaidisti) blocca ogni ipotesi di aiuto dall’esterno – perché quale governo vorrebbe essere accusato con prove di fornire armi o altra assistenza anche ad al Qaida?

La Jabhat al Nusra (pure se rinominata) tiene in ostaggio con la sua presenza molti altri gruppi, che – a differenza di quello che si sente dire – non appartengono al campo dei salafiti-jihadisti, ma “sono laici nello stesso senso che diamo noi all’aggettivo”, dice Aron Lund, che fin da prima della guerra civile era già un ricercatore specializzato in Siria per il think tank Carnegie. Sigle come il Free Idlib Army, il Jaysh al Tharir (in arabo: l’esercito del cambiamento), la Prima brigata della costa (che si riferisce alla costa del Mediterraneo, quindi provincia di Latakia) e altre ancora indicano gruppi non jihadisti che hanno passato una selezione dell’intelligence americana per ricevere armi controcarro da usare in battaglia contro le forze che combattono in nome di Assad. Del resto, se condividessero l’ideologia qaidista dopo cinque anni si sarebbero fusi con i rappresentanti di al Qaida, ma se ne sono sempre tenuti distaccati.

Tuttavia nessuno di questi gruppi, come nota Aymen al Tamimi, un ricercatore inglese che lavora sui gruppi armati siriani da Israele, è forte abbastanza per sfidare la Jabhat al Nusra in una sfida diretta. E per questo sono destinati ad affondare nella stessa barca, ovvero a subire nella stessa zona l’offensiva mista russo-iraniana-siriana che presto o tardi arriverà nella zona di Idlib. Ieri in quell’area si aspettava una decisione importante, la possibile fusione tra la Jabhat al Nusra (o Jabhat Fateh al Sham che dir si voglia) e uno dei gruppi più importanti della guerra siriana, Ahrar al Sham, di rigido orientamento salafita ma non interessato a programmi internazionali come al Qaida e sponsorizzato con discrezione dal governo turco. In molti attendevano la notizia di una fusione, soprattutto dopo il disastro militare di Aleppo, dove oggi l’arcinemico dei gruppi armati, il generale iraniano Qassem Suleimani, passeggia per la cittadella vecchia della città (che è stata in mano ai guerriglieri per quattro anni). Invece i capi di Ahrar al Sham hanno votato e hanno respinto la fusione, perché è probabile che puntino ancora sulla speranza esilissima di qualche aiuto dall’esterno.

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