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Il Foglio Rassegna Stampa
28.07.2016 E' una guerra di religione, ma non per Bergoglio
Analisi di Giuseppe Laras, Matteo Matzuzzi

Testata: Il Foglio
Data: 28 luglio 2016
Pagina: 1
Autore: Giuseppe Laras - Matteo Matzuzzi
Titolo: «'L'imam di Al Azhar condanni anche gli attacchi agli ebrei' - Guerra di religione, ma non per il Papa. La Chiesa dopo Rouen»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 28/07/2016, a pag. 1-3, con il titolo "L'imam di Al Azhar condanni anche gli attacchi agli ebrei", l'analisi di Giuseppe Laras; con il titolo "Guerra di religione, ma non per il Papa. La Chiesa dopo Rouen", l'analisi di Matteo Matzuzzi.

E' ormai chiaro che siamo di fronte a una guerra di religione, scatenata dall'islamismo contro l'Occidente e le sue libertà. Ma non è chiaro a tutti: non a Papa Bergoglio, tra gli altri.
Persino l'imam di Al Azhar ha capito e dichiarato che l'islam con il terrorismo c'entra. Papa Bergoglio, invece, preferisce affidarsi ancora al politicamente corretto.

Ecco gli articoli:

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Papa Bergoglio

Giuseppe Laras: "L'imam di Al Azhar condanni anche gli attacchi agli ebrei"

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Giuseppe Laras, ex rabbino capo di Milano (1980-2005) e attuale Presidente emerito dell’Assemblea Rabbinica Italiana

Folle o non folle, lupo solitario o branco, con l’uccisione di padre Hamel in chiesa, l’ultima diga è stata rasa al suolo. Uccidere i cristiani nei loro luoghi di culto durante le preghiere non è una novità: si pensi ai copti in Egitto, massacrati nel silenzio dell’occidente; ai cristiani filippini; ai cristiani in Pakistan; ai cristiani iracheni e al loro sterminio. Alcune immagini le abbiamo perfino viste in diretta, comprese le donne vendute schiave, rinchiuse in gabbia come polli. Le femministe in occidente tacquero e non manifestarono, le chiese europee furono troppo tiepide o comunque troppo silenti nei confronti dei loro fratelli di oriente.

Da questa prospettiva, non stupisce che drammaticamente in Europa, in una chiesa, un sacerdote, oggi martire, sia stato sgozzato come un animale. Dalla Normandia alle Filippine, dai fatti di questi mesi a quelli che perdurano ormai da decenni, il minimo comune denominatore è l’islam jihadista, di cui Daesh è solo un’espressione acuta, assieme al silenzio assordante – o alle parole non bastanti – di tanti altri musulmani per bene, contrari sì ma titubanti o impauriti. Non stupisce tristemente che, dopo le sinagoghe, si sia passati alle chiese: dopo “quelli del sabato”, “quelli della domenica”. Eppure l’oscenità perpetrata martedì scorso in casa nostra, verso un nostro concittadino europeo, verso un nostro fratello anziano, è talmente un “inedito” da rappresentare simbolicamente l’ultimo baluardo abbattuto. Un fatto tremendo, espressione di una realtà polimorfa che si sente sufficientemente forte e che percepisce l’occidente e le sue espressioni simboliche (religiose, culturali e politiche) sufficientemente deboli e vecchie. Un simile atto, contro chiesa o sinagoga che sia, avrà certamente epigoni, silenzi e – temo! – ancora molte parole a vanvera.

Il Grande imam di al Azhar, Ahmad Al Tayyieb, caro alla Comunità di S. Egidio e ad alcuni politici italiani, condanna quanto è accaduto ieri, giustamente. Mi chiedo però dove fosse quando è accaduto altrettanto nei centri ebraici europei, da Tolosa a Parigi. E mi chiedo – e lo chiedo, in relazione a lui e alle sue dichiarazioni – con acribia a cristiani, ebrei e musulmani, come pure a politici e intellettuali – che pensi del libro “Banu Israil fi al Quran wa-al Sunna” del suo insigne predecessore alla medesima cattedra, l’imam Muhammad Sayyid Tantawi (morto recentemente nel 2010), ove questi così scriveva a chiare lettere: “Il Corano descrive gli ebrei con le loro proprie caratteristiche degenerate, quali uccidere i profeti di Allah, corrompere le Sue parole inserendole in luoghi sbagliati, consumare frivolmente il benessere degli altri popoli, rifiutare di prendere le distanze dal male che essi compiono e altre oscene caratteristiche originate dalla loro profondamente radicata lascivia… soltanto una minoranza degli ebrei mantiene la parola data… Non tutti gli ebrei sono uguali. Quelli buoni diventano musulmani, i cattivi no”.

La chiesa cattolica, nelle sue massime istituzioni, nei suoi dirigenti e persino, talora, nei suoi teologi per secoli ha spesso saputo essere – e purtroppo è stata – una persecutrice eccezionale. Questo, almeno, è stato per lo più il rapporto tra cristiani ed ebrei sino a tempi recenti. Leggendo i giornali di questi giorni e molte esternazioni di vescovi e cardinali, il fatto di essere divenuta vecchia e tremebonda, almeno in occidente, non rappresenta purtroppo in sé un progresso morale. Specie se risulta difficile persino chiamare il male per nome e dire che si tratta di islam jihadista e che l’islam jihadista, che non esaurisce l’islam e il mondo variegato dei musulmani, ma che comunque ne è disgraziatamente parte attiva, nutrita, ben radicata e ricca, è un’ipoteca epocale per il sussistere, almeno in Europa, della nostra civiltà.

Al riguardo, l’ultimo discorso meritorio, serio e puntuale è stato il magistrale e profetico discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, che andrebbe rivendicato, diffuso, riletto e profondamente meditato. Difendere la nostra civiltà, pur con tutti i suoi molti limiti e la sua storia difficile e contraddittoria, ha dei costi. Costi in vite umane, che abbiamo già iniziato a pagare. E costi in arte, letteratura, poesia, architettura, filosofia, teologia, musica, libera ricerca scientifica e, infine, scienza politica. Tutto questo ha richiesto infinito tempo e infinita fatica. Pensare che tutto ciò, che è preziosissimo, non meriti la fatica e le lacrime di essere difeso, costi quel che costi, anche la vita, è o perversione e corruzione oppure già la stessa resa. E il fattore “tempo” è anch’esso non a nostro favore.

Circa i cristiani di oriente e gli ebrei – o almeno parte di loro –, non posso che rallegrarmi interiormente, a fronte di sì inaudito sfacelo in occidente, che vi siano oggi almeno gli stati di Armenia e di Israele, ben difesi e determinati a resistere a ogni costo. Io ringrazio Dio che vi siano questi due stati che, da quando esistono, hanno insegnato ai nostri rispettivi nemici, antichi e presenti, in oriente e in occidente, che, per la prima volta nella storia, il nostro sangue ha finalmente un prezzo. E un prezzo elevato. Mentre prima, per secoli, fu possibile che venisse versato a ettolitri senza che nessuno fiatasse, ne chiedesse conto e ne esigesse non vendetta ma giustizia. Il Libro dei Salmi, il libro per ebrei e cristiani universalmente conosciuto e citato, da entrambi quotidianamente impiegato per la preghiera, è un inno altissimo alla religiosità, ma è anche un fermo monito contro la violenza – o, meglio, contro i malvagi –, che attentano al prossimo, che perseguitano, uccidono e violentano il mondo. E lì se ne invoca la dispersione e la neutralizzazione.

Oggi gli europei e, nello specifico, i cristiani europei, si trovano a dover operare, volenti o nolenti, una vera rivoluzione della sensibilità e dell’intelletto, dello studio e dell’informazione, scegliendo se vorranno – se non per loro stessi, almeno per i loro figli e nipoti! – affrontare un lungo ed estremamente rigido inverno, dagli esiti incerti, oppure sollazzarsi con le ultime giornate estive, ancorché già perturbate, di sole e di chiacchiere. Giornate che, allora, non torneranno.

Matteo Matzuzzi: "Guerra di religione, ma non per il Papa. La Chiesa dopo Rouen"

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Matteo Matzuzzi

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Roma. “Quando io parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Non è una guerra di religione. Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri. Capito?”. Papa Francesco non stava parlando ex cathedra né stava intrattenendo un dotto parterre di luminari professori di qualche università centroeuropea, ma più semplicemente si rivolgeva a settanta giornalisti a bordo d’un aereo in volo verso Cracovia, patria di Giovanni Paolo II e sede della Giornata mondiale della gioventù che si chiuderà domenica. Richiesto d’un commento da padre Lombardi, portavoce, su “quello che è successo ieri” – e cioè lo sgozzamento sull’altare di un prete ottuagenario che s’era rifiutato di inginocchiarsi davanti a due terroristi che urlavano “Allahu Akhbar” – Francesco ha osservato che “questo santo sacerdote, che è morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per tutta la chiesa, è uno; ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini… Pensiamo alla Nigeria, per esempio. E’ guerra. Non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra, perché ha perso la pace”.

Non una parola di più, se non riperticare ancora una volta la teoria della terza guerra mondiale a pezzi. Se il vescovo di Roma non concede neppure un accenno all’elemento religioso, neppure sul martirio di padre Jacques Hamel, a farlo è per paradosso la massima autorità sunnita del pianeta, il Grande imam di al Azhar, che ieri ha tuonato contro “il pensiero estremista” insito nella religione islamica. Ahmed al Tayyeb nomina l’islam, a differenza del cardinale JeanLouis Tauran (responsabile vaticano del dialogo interreligioso) che liquida la questione dicendo che “siamo davanti al nulla e portare tutto sul piano religioso non ha alcun senso” Il messaggio del Grande imam di al Azhar è chiaro: “Coloro che hanno compiuto questo selvaggio attacco sono privi di qualunque senso di umanità e di tutti i valori e princì- pi di tolleranza islamica, che invitano alla pace e alla prevenzione del sangue degli innocenti, senza distinzione alcuna di religione, colore, genere o appartenenza etnica. L’islam ordina di rispettare i luoghi sacri e di culto e la sacralità dei non musulmani”.

Da qui l’appello affinché “si intensifichino gli sforzi e le iniziative comuni per fronteggiare il cancro del terrorismo che minaccia ormai il mondo intero, distrugge anime innocenti e mette a rischio la pace mondiale”. Confermata la volontà di al Azhar di continuare “il cammino di lotta contro il pensiero estremista, riformando il lessico usato in religione fino a quando il terrorismo non verrà strappato definitivamente dalle sue radici e saranno prosciugate le sue fonti”. Nella chiesa cattolica si riaffaccia la divisione che già era emersa dinanzi ai massacri nel vicino e medio oriente, praticati dalle milizie califfali, infarcite di tanti giovani europei pronti a perdere la propria testa pur di tagliarne altre in nome dell’ideologia cui hanno dichiarato fedeltà – quelli che per lo storico Alberto Melloni “sono solo dei banali consumatori di pornografia religiosa e di Captagon”, che però hanno tutto il tempo per pianificare attentati nel cuore d’Europa e per scegliersi gli obiettivi da colpire per rendere epiche le proprie gesta.

Se a Roma si richiamava alla prudenza, bilanciando ogni parola per il pur comprensibile obiettivo di non mettere ancora di più a repentaglio la sopravvivenza delle già stremate comunità cristiane della piana di Ninive e della Siria – la lezione dei vescovi olandesi che sotto il Nazismo osarono con coraggio denunciare le retate delle Ss ad Amsteradam e per questo finirono in campo di concentramento – le gerarchie episcopali locali erano in prima fila nel parlare di genocidio (con rare eccezioni) e nel condannare il marchio fondamentalista islamico presente nell’epurazione dei cristiani.

La diplomazia vaticana – vuoi per insistere sulla strada della “condanna al dialogo” (ancora definizione del cardinale Tauran), vuoi per evitare di condannare le chiese d’Europa e di Siria a subire assedi e attentati quotidiani, già triste routine nell’Africa subsahariana e in larga parte dell’Asia – si limitano alla condanna della “violenza insensata”, del sempre opportuno “orrore” o della classica “follia”. Chi va al sodo e poco bada a perbenismo e politicamente corretto è Pascal Gollnitsch, monsignore francese e direttore dell’Opera vaticana per i cristiani d’oriente, che in un’intervista a Les Echos all’indomani dello sgozzamento del sacerdote dI Saint-Etienne-du-Rouvray di auspica “la neutralizzazione dello Stato islamico”. Si presume con ogni mezzo. “Il mio appello – dice – non è ovviamente in contrasto con il loro (dei vertici d’oltretevere, ndr) messaggio di perdono e di amore che condivido. Ma a ogni attentato ci ricordiamo che questi tragici eventi sono supportati dall'organizzazione dello stato islamico. Ed è contro di lei, contro questa organizzazione che dobbiamo agire per porre fine a queste atrocità. Lo Stato islamico deve essere neutralizzato.

Intanto mi domando: perché le sue reti di comunicazione, tra cui Internet, non sono ancora neutralizzati? Questo è uno dei mezzi attraverso i quali lo Stato islamico trasmette la sua propaganda e talvolta l’unico contatto che le persone hanno con esso prima di agire. Inoltre, bisogna chiudere definitivamente il confine turco-siriano attraverso il quale molti jihadisti e candidati jihad passano”. Anche qui, nessun accenno a guerre per soldi e potere, nell’analisi di mons. Gollnitsch, ma realismo politico: “Viene detto che l’Isis sta perdendo terreno, ma è una perdita relativa. Sulla riva sinistra del Tigri, nella piana di Ninive, non un metro quadrato di questa zona vede più presente un insediamento cristiano. I cristiani sono tutti stati cacciati o uccisi e nessuna comunità precedente allo Stato islamico è stata recuperata negli ultimi due anni. Eppure, lo Stato islamico in quell’area non rappresenta un notevole potere. Basterebbe un quarto dei diecimila soldati dell’operazione Sentinel annunciata da Hollande per neutralizzare l’Isis in Iraq e Siria.

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